Ne « il Silenzio degli innocenti » il cannibale Hannibal Lecter, impersonato da uno strepitoso Anthony Hopkins, così si rivolge a Sterling (Jodie Foster): “Leggi Marco Aurelio… Di ogni singola cosa chiedi cos’è in sé, qual è la sua natura”.
Nella statua bronzea che nel 1538 Michelangelo collocò nella piazza del Campidoglio, a Roma, l’imperatore filosofo è raffigurato col « sagum » da viaggio, in posa regale.
Fu l’imperatore Adriano a imporre al suo erede Antonino Pio di adottarlo come figlio, quando il ragazzo aveva 17 anni.
Questa scelta favorì la sua ascesa sociale guadagnandogli in rapida successione le cariche di “tribunus monetalis” e di “tribunus militum”.
Dopo la scomparsa di Adriano, Antonino Pio volle rinsaldare i vincoli parentali con lui concedendogli in sposa sua figlia Faustina.
Diventato a sua volta imperatore nel 161, Marco Aurelio portò a compimento quella che fu “l’Età dell’oro” che, nel II secolo d.C., vide l’Impero Romano toccare il suo apogeo in termini di estensione territoriale, potenza e ricchezza.
Monarca illuminato, si dimostrò in ogni circostanza rispettoso delle prerogative del Senato, che coinvolse in tutte le decisioni importanti.
Istituì l’anagrafe, riformò il processo penale ripulendolo da abusi e condanne non basate su prove certe, regolarizzò le vendite pubbliche punendo severamente malversazioni e ruberie, colpì l’usura e preferì spendere il denaro in opere di pubblica utilità, piuttosto che in feste e giochi gladiatori.
Il suo più grande lascito alla posterità è tuttavia costituito dai dodici libri di meditazioni in lingua greca e forma aforistica.
Si tratta dei « Tà eis eautòn » (« I pensieri per se stesso ») destinati all’uso personale e improntati allo stoicismo classico di Epitetto.
Col passare dei secoli sono diventati un testo caro a molti e la lettura prediletta di tanti uomini di Stato e militari. Napoleone ne teneva sempre una copia sul comodino.
Il lettore, nei panni di un « ficcanaso » che sbircia nel diario personale di un’altra persona, si rende subito conto dell’importanza attribuita da Marco Aurelio alla provvidenza divina, forza ordinatrice dell’Universo.
E’ infatti con queste frasi che l’autore parla del Cosmo: “Da te ogni cosa, in te ogni cosa, verso di te ogni cosa”, ma anche “Pensa continuamente che il Cosmo è come un unico essere vivente che racchiude in sé una sostanza e una sola anima”.
Marco Aurelio ammette dunque la possibilità che l’anima dopo la morte si ricongiunga con la ragione cosmica, concetto prossimo al Dio dei Cristiani, da lui però perseguitati in ossequio alla fedeltà per la religione tradizionale dell’Impero.
Forse per questo motivo, il pensiero di Marco Aurelio per secoli cadde in un limbo fatto di oblio e ignoranza, dal quale sarebbe uscito soltanto nel 1559 con la prima edizione a stampa della sua opera, poi affermatasi in tutta la sua validità come metodo di ricerca interiore particolarmente adatta alla psiche dell’uomo contemporaneo.
Quando morì il 17 marzo del 180, certo non poteva immaginare che i suoi pensieri, a distanza di quasi due millenni dalla sua scomparsa, ancora tanta consolazione avrebbero arrecato all’uomo contemporaneo.
Accompagna questo scritto la “Statua equestre di Marco Aurelio”, 176 d.C., Musei Capitolini, Roma.
(Testo di Anselmo Pagani. Riprenditi consentita se recante il nome dell’autore)
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