sabato 22 giugno 2019

Riflessioni per il 21 giugno

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Sotto il nome di saggezza, la libertà di spirito fu considerata per tutta l’antichità come il Bene Sovrano. Essa era l’oggetto, il santo oggetto, e quasi l’unico oggetto delle ricerche dei filosofi. I metodi per raggiungerlo costituivano la materia di libri interi. Noi abbiamo mutato tutto questo. Nelle scuole si continua a far studiare ai giovani quegli antichi elogi della saggezza, ma – al pari di tante altre verità che s’insegnano loro, – con il divieto di servirsene. Oggi, la parola saggezza è screditata, o piuttosto non si usa più poiché non ha più un senso vivo: la parola è morta con la cosa. Quanto alla libertà di spirito, in tempi normali, essa non attira affatto l’attenzione; nei momenti di crisi, è vista con sospetto. Un rifugio per civili, durante l’allarme: provate ad esser calmi un po’ troppo ostentatamente, eccovi sul punto di essere insultato. Allo stesso modo, provate ad essere un po’ troppo calmi in un posto di comando sotto il fuoco, non sono affatto sicuro che ciò vi attiri tutte le simpatie che si potrebbe pensare. Per la gente di oggi, la saggezza è «egoismo» e niente altro. Con questo eccola scomparsa; è il grande motivo di risentimento nel nostro mondo moderno che, come è noto, è fondato sull’amore. Non si tratta tanto del fatto che voi abbiate un valore; ma soprattutto che non vi sottraiate ad avere le difficoltà che hanno gli altri: ciò significherebbe «disertare». Tanto che, a volte, si direbbe che la società misura il valore di un uomo dalla quantità delle sue preoccupazioni, e che gli uomini se ne facciano deliberatamente carico per farsi vedere, come i farabutti compiono opere di bene per farsi perdonare. Così, alcuni sono accusati di non soffrire abbastanza, quando si farebbe meglio a lodarli per quelle ragioni, sia d’intelligenza sia di carattere, grazie alle quali non soffrono di più. E gli uomini della libertà di spirito possono ben avere anch’essi le loro sofferenze: o non appaiono o sono contestate. Non potrei giurare, d’altronde che, se pure in misura minima, la stessa cosa non succedesse all’epoca pagana. Sarebbe molto interessante fare ricerche sull’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dei filosofi, e studiarne le immancabili variazioni. E’ soltanto all’approssimarsi del cristianesimo, quando il mondo antico si emaciava, aspirando ad una religione dell’intenerimento e della sofferenza, è soltanto allora che i filosofi furono mal visti, perché professavano la fermezza e la serenità, e le possedevano o pretendevano di possederle? Se non mi sbaglio, i testi che ho in mente, in cui dei filosofi si lamentano dell’opinione pubblica, sono di tutte le epoche. “Il popolo tiene duro contro la ragione; esso difende la sua malattia” dice educatamente Seneca. Infatti il popolo “difendeva la sua malattia” a sassate, e credo che è durante tutta l’antichità che i filosofi si fecero letteralmente lapidare, come alcuni raccontano essere loro accaduto… (…) …E poi bisogna proprio dire che il sentimento dell’alta libertà di spirito è un sentimento a tratti altamente inquietante. Si sente che ciò è abnorme. E’ abnorme il fatto di rimanere calmi, quando tutta la gente attorno a noi è inquieta. Ma ciò non è più abnorme di quanto non lo sia la stessa saggezza, né di quanto non lo sia ogni forma d’ascetismo, in questo mondo; l’una e l’altra, sono anch’esse, dei modi di costringere e superare la natura, e quindi di sfuggirle. In breve, possedere la libertà di spirito, significa essere saggio; ma non palesarla al primo venuto significa essere ancora più saggio. Ecco d’altronde un’antica lezione; essa fu impartita dagli stoici: “Fingi d’impietosirti, ma non t’impietosire”. Qualcuno ha detto che l’arte di governare è l’arte di nascondere la violenza. L’arte di farsi accettare è in gran parte l’arte di nascondere la propria libertà di spirito.

Henry de Montherlant, Il Solstizio di Giugno

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