“Rimanenze pagane nei Canti di Maggio della tradizione contadina in Frignano e nell’Alta Italia” 
da Arya n°2; di: Fedrìgh dij Bèli (Federico Fregni) 
 
 
Col procedere della Primavera, dell’allungarsi delle giornate e il progressivo avvicendarsi dei diversi ritmi di risveglio delle più svariate forme animali e vegetali, si avverte nettamente la sensazione che presso tutte le latitudini Europee tra la fine di Aprile e l’inizio di Maggio si ultimi e si coroni il Risveglio primaverile in tutto e per tutto, in un tripudio di fiori, colori e suoni. Se le specie più prolifiche e fertili sono fornite della loro prima cucciolata da almeno un mese, con l’insorgere di Maggio anche i più pigri tra gli esseri non possono evitare il richiamo della Vita verso la propagazione della specie e verso la fase attiva dell’Anno. Questo ed altro notarono i nostri Antenati indoeuropei d’Europa quando identificarono le feste di Maggio tra i raggi fondanti della Ruota delle celebrazioni religiose. Sul filone dell’identificazione delle Calende di Maggio come festa della Luce, della Salute e della Fertilità troviamo tra i Romani i Ludi Florealis dedicati alla primaverile dea Flora, deità di antichissima origine Italica introdotta a Roma da Tito Tazio, che si svolgevano nell’Urbe dal 28 di Aprile al 3 Maggio. Con la conquista romana delle antiche popolazioni dell’Italia centrale avviene una identificazione di Flora come figlia di Cerere o come emanazione di Cerere stessa, come possiamo dedurre fosse presso i Sanniti tra cui era appellata Fluusai Kerriiai, vale a dire “Flora di Cerere”.  Probabilmente è da ricercare in un sincretismo di origine italica anche la traslazione alle Calende di Maggio delle feste dedicate all’arcaica e materna figura divina di origine latina conosciuta con il nome di Bona Dea (presente forse anche trai Celti come denotano alcuni toponimi), la quale nonostante fosse associata al mese di Dicembre nel Kalendarium, aveva le sue feste celebrate dalle donne aristocratiche di Roma in un bosco sacro dell’Aventino proprio in occasione del primo giorno del mese primaverile. Difficilmente possiamo considerare casuale la presenza di questa celebrazione al centro dei festeggiamenti di Primavera dei Ludi Florealis, anche se va comunque detto che la celebrazione, benché pro romano populo, era celebrata in segreto e solo da parte di donne, o meglio femmine, siccome ci si premuniva di allontanare il più possibile gli animali di sesso maschile dall’area predisposta al Rito; benché probabilmente collegato alle feste di Primavera il rituale avveniva comunque a parte, nel suo bosco sacro al popolo Romano che possiamo supporre avesse dei suoi omologhi presso numerose altre compagini italiche. Troviamo invece presso l’insieme di popolazioni conosciute come Celti la festività tramandaci con il nome gaelico di Beltaine, approdato poi come “Beltane” in quasi tutti i neo-paganesimi dalla vera o presunta impostazione rituale e mitologica “celtica”. Beltaine è anche il nome del mese di maggio in irlandese ed è anche tradizionalmente il primo giorno di primavera in Irlanda. Fonti gaeliche piuttosto tarde, del X secolo, affermano che i druidi accendevano dei falò sulla cima dei colli e che vi conducevano attraverso il bestiame del villaggio per purificarlo ed in segno di buon augurio e che anche le persone attraversavano successivamente i fuochi con lo stesso scopo purificatorio e fertilizzante. Possiamo supporre data l’etimologia continentale del nome di questa festa proveniente dalla divinità apollinea Belenos presente nel Norico e nelle Gallie e che, come appellativo di Apollo, permane fino alla cristianizzazione dell’Occidente Romano, e dalla persistenza di falò di Maggio e riti contadini nelle aree celto-latine d’Europa, che rituali simili fossero celebrati anche dalle popolazioni celtiche continentali, quali quelle di origine gallica della Cisalpina e quelle di origine norico-danubiana del Friuli e dell’alto Adriatico.
 
Alla ricerca della persistenza dei rituali di Maggio nella nostra Penisola ci siamo ritrovati nuovamente nel Frignano, vale a dire l’alto Appennino Modenese, terra ricca di Tradizione e magia particolarmente cara al nostro Sodalizio, dove rivivono nei volti, nei nomi locali di cose e luoghi, nelle leggende e tradizioni e persino nella cucina praticamente tutte le diramazioni etniche e tradizionali che hanno contribuito a forgiare la particolarità di questa contrada appenninica, Celti, Liguri e Romani in primis, ma anche remote influenze Etrusche e più tardive commistioni Germaniche. Ascrivibili alle tracce che la Romanità ha lasciato nel Frignano sono probabilmente le tradizioni legate al Cantar di Maggio, festeggiamenti di natura canora e celebrativa. Queste feste contadine, diffuse non solo nel Frignano ma in tutta l’Alta Italia da Umbria e Toscana fino a Piemonte e Lombardia passando per la Liguria, con probabile epicentro nell’etno-regione delle Quattro Province sono grosso modo identificabili in due filoni principali, uno di aspetto ‘civile’ e giulivo, l’altro di aspetto legato alla sfera religiosa e funebre, attinente ad un altro e maggiormente inquietante aspetto che andremo a discutere in seguito.
Al filone ‘civile’ e popolare delle festività di Maggio troviamo nel Frignano e in particolare nella contrada di Riolunato (Ardunndlà) le tradizioni canore del Maggio delle Ragazze e delMaggio Epico (o” drammatico”). Trattasi il Maggio delle Ragazze di un piccolo componimento in quartine esprimente gli affetti inspirati dalla fiorente Primavera, che i giovani di Riolunato cantano, l’ultima sera d’Aprile, accompagnati da un concerto di violini, sotto alle finestre delle loro amanti a guisa di serenata, dopo aver fatto una sorta di saluto alle autorita’ del paese, vale a dire, al giorno d’oggi, al sindaco e al parroco. Includiamo qui il testo della canzone, anche se vi e’ da dire che alla stessa sono sempre aggiunte strofe improvvisate o piccole poesie, sovente in lingua locale, che non sono state raccolte dalle nostre fonti.
 
Ecco il ridente maggio
ecco quel nobil mese
che sveglia in alte imprese
i nostri cuori.
È carico di fiori
di rose e di vïole
dipinge come suole
ogni riviera.
Ecco la primavera
ecco il tempo novello
tornar più che mai bello
e più giocondo.
Ecco che tutto il mondo
si riempie d’allegrezza
di gaudio e di dolcezza
e di speranza.
La va per ogni stanza
la vaga rondinella
in questa parte e in quella
a farsi un nido.
 Fanciullin cupido
che per noi spiega l’ale
con arte tien lo strale
e le saette.
In ordine si mette
per salutar le ninfe
per salutar le ninfe
e varï augelli.
Ecco i pastorelli
co’ loro ardenti cani
intorno alle campagne
e Largo i campi.
Torniamci a ritrovare
in bel maggio fiorito,
che di nuovo fa invito,
qui al ritorno.
 
Questa versione, risalente all’800 e’ la più vecchia reperibile tra le trattazioni etno-musicologiche a noi pervenute. Un manoscritto dell’epoca recita, a commento del testo: “Questi sono i versi così detti maggio che cantano tutti sopra al medesimo versetto, poi aggiungono qualche piccola stroffa da loro improvisata, adatta alle circostanze. Ciò poi da luogo ad una delle più strepitose veglie, di lusso, montanine, poichè le ragazze a cui fu’ cantata la poesia, e fu loro dedicata qualche improvisata stroffa, che i toscani chiamerebbero rispetti, danno mano a manipolare dei dolci; e convenuto poi il giorno della festa, i giovani con solenne processione vanno a prendere queste torte e portandole, quali troffei  in trionfo, fra gli allegri brindisi ed il rumore che soffoca il suon degli strumenti a corde si conducono nella sala a bella posta apparecchiata e quivi celebrato un solenne banchetto passano alla danza finché stanchi poi ritornano alle proprie case contenti di avere anche per quell’anno esaurito il loro programma»
 
Difficile, siccome il tutto si svolge alla vigilia di Calendimaggio, nel bel mezzo degli antichi Ludi di Flora in cui vino, scherzi, folklore pastorale e allusione sessuale non furono mai mancanti, non notare una analogia tra le antiche celebrazioni primaverili di fertilità e questa antica tradizione locale. In questa ed altre zone dell’Alta Italia, a fianco di questa rimanenza di chiara origine romano-italica troviamo anche tutta una serie di motivi folkloristici che, per la loro persistenza oltralpe e nelle isole britanniche, possiamo invece ascrivere a tracce della presenza celtica, come il palo di Maggio, antichissima tradizione dall’Appennino fino al Piemonte che nulla ha a che vedere con i postumi e massonici “alberi della libertà” e l’elezione della bella del paese come Regina di Maggio, quest’ultima usanza talmente radicata tuttora nel folklore britannico ed irlandese da aver dato vita, distorta e passata oltreoceano, al fenomeno delle miss dei college americani. Come per quanto riguarda le tradizioni legate alla notte dei morti alle calende di Novembre storpiate di recente nel postmoderno Halloween di ritorno dall’America, occorrerebbe al più presto che i Cisalpini riconoscano e proteggano queste usanze folkloristiche e che non le scambino per “irlandesi” e per questa ragione le smarriscano magari ancora più in fretta.
E’ da notare la particolarità per cui il maggio delle ragazze e’ cantato in italiano, perlomeno già dall’800, in una contrada in cui la lingua locale differisce notevolmente da quella nazionale conservando palesi connotazioni gallo-romanze. Ma c’è di più: nel 1911 il Nascinbeni, letterato e studioso di usanze locali, dimostrerà la derivazione dei Maggi attuali da un piccolo componimento di Giulio Cesare Croce, vale a dire la “Canzonetta da cantarsi per le fanciulle nell’entrata del bel Mese di Maggio, su l’aria di A piè d’un colle adorno”. La poesiola del Croce la troviamo in parte storpiata dalla trasmissione orale, e in parte adattata alla pronuncia locale come, in differenti versioni attraversa, tutta l’area di diffusione delmaggio delle ragazze. Come mai una tradizione cosi’ antica, attestata almeno dal ‘300, utilizza un testo cosi’ relativamente recente? La poesiola del Croce deve essere stata introdotta per la sua semplicità ed agreste bellezza, facilmente comprensibile anche dal popolo, ad opera di un paesano istruito, o forse da parte di un sacerdote o di un aristocratico, in un qualche momento dell’era moderna, precedentemente ai primi manoscritti ottocenteschi. Probabilmente la natura improvvisata dei Cantar di Maggiofaceva si che i componimenti variassero di anno in anno, fino alla messa in musica della canzone del noto letterato persicetano, che ebbe un notevole successo nel ‘800 e nel ‘900 ed ancora oggi, complice forse l’essere in quella lingua franca che sempre più persone cominciavano ad apprendere e l’opera di diffusione instancabile dei musicisti erranti, e che  si diffuse rapidamente in tutto l’arco appenninico settentrionale. Un’altra ipotesi, che resta nella pura speculazione, potrebbe essere quella di un Giulio Cesare Croce che trascrisse a sua volta un Cantar di Maggio del suo periodo, proveniente dall’area toscana o comunque dall’Italia peninsulare a sud dell’Appennino. Musicalmente vi e’ da dire che il Maggio delle Ragazze, nonostante sia un canto intrinsecamente legato al centro-nord-ovest del Paese, suona forse atipico tra la musica tradizionale emiliana, risultando apparentemente simile a soluzioni musicali dell’Italia centrale. In ogni caso ci piace pensare che la canzonetta del Croce sia stata scelta come canzone topica dei riti paesani del Maggio proprio in virtù del suo essere estremamente vicina allo spirito originario e pre-cristiano delle celebrazioni di Primavera, con tutti i suoi rimandi paganeggianti a ninfe, pastori, cani da caccia e amorini, non importa se questo sia avvenuto in maniera consapevole o meno.
Altro dibattito che vorremmo affrontare, per ora senza soluzione alcuna, e’ quello riguardo a come questa tradizione di chiara origine pagana, romana o se vogliamo gallo-romano-ligure si sia preservata attraverso i secoli. Gli unici accenni che abbiamo sono rintracciabili in una agiografia di S.Francesco, dove come facezia a riguardo dei suoi anni giovanili, si accenna al fatto di come i ‘Chantar di Maggio’ si siano diffusi in Italia Centrale a partire dall’influenza della musica e della cultura occitana ed arpitana, da parte dei trovatori provenzali. Sarebbe interessante, ma purtroppo attualmente oltre la nostra portata sconfinando dall’etnografia alla filologia romanza comparata, dedurre se le rimanenze pagane dei canti di Maggio siano stati conservati nella loro forma attuale nella Francia centro-meridionale oppure nell’area ligure o cisalpina. In ogni caso la nostra piccola ricerca ci ha dato una ulteriore conferma di quanto il mondo occitano e il mondo ligure e cisalpino siano stati legati nella storia fin dalla più remota antichità e di quanto il mondo gallo-romano meridionale abbia conservato, pur con la sua specificità locale, del mondo romano pre-cristiano, forse per via della sua maggiore lontananza dalla presenza ammorbante dello stato temporale della Chiesa e dalla bizantinizzazione che nel Sud tanto ha infierito sulle rimanenze pagane autoctone.
 
Torniamo quindi agli aspetti tradizionali che i nostri Avi attribuirono al mese di Maggio. Sia tra i Celti che nel mondo Italico-Romano, oltre al tema della fertilita’ primaverile, troviamo anche altri aspetti, se vogliamo maggiormente inquietanti ma non per questo meno presenti, a proposito della natura sottile di questo Mese. Specularmente opposta e complementare a Samonios, festa dei morti attorno ai primi di Novembre, Beltane è una porta aperta sull’Altro Mondo, il gaelico Sidhe. Il folklore europeo, in particolare quello relativo alla Notte di Valpurga, parallela festività tedesca rimanenza di più antiche celebrazioni germaniche, mette in guardia dai ‘morti insoddisfatti’, defunti privati della degna sepoltura o morti in modo traumatico, che infesterebbero le campagne e i boschi nelle notti di Primavera, in maniera analoga alla ‘Caccia Morta’ che secondo la tradizione europea anche nord-italica prende luogo ad Ognissanti. Le precauzioni  verso ombre e spiriti maligni e’ probabilmente di origine indoeuropea antichissima o addirittura precedente e la ritroviamo nella Tradizione Romana con l’usanza di stornare i cattivi influssi dei lemuri, morti insoddisfatti, nelle celebrazioni private dei Lemuralia, usanza tra le più antiche di Roma, che si attribuisce a Romolo stesso, celebrata il 9, l’11 e il 13 di Maggio dal paterfamilias, che pronunziando le debite formule gettava alle spalle nove fave di colore nero. Anche questa tematica sopravvive nei riti agresti di Maggio del Frignano e dell’Alta Italia; troviamo, sempre a Riolunato, il caso esemplificativo del Maggio delle anime purganti, dai tratti maggiormente ritualistici e inerenti alla religiosità ufficiale. Si tratta di un componimento canoro che viene cantato la prima domenica di Maggio in processione al seguito del parroco, in cui si narra delle anime insoddisfatte del purgatorio, e si esortano i concittadini a donare piccole somme destinate alla liturgia in onore dei defunti. Per la semplice ragione che la religione ufficiale, il Cattolicesimo, probabilmente a partire dalla Controriforma,  non poteva tollerare che alla sfera dei defunti ci si appellasse con ritualità ‘profane’ e di origine pagana, il Maggio delle anime purganti appare come notevolmente aderente ai canoni cristiani, e deve essere presieduto da un prete cattolico. In ogni caso lo stornare i defunti insoddisfatti, le anime meschine, proprio in occasione della prima meta’ di Maggio chiarisce un ulteriore tassello per identificare l’entità della sopravvivenza di tematiche pagane nel nostro Appennino.