domenica 4 maggio 2014

Forse Marx non voleva fondare il comunismo!

E se Marx non fosse mai stato comunista?




Annalisa Terranova

La “Marx renaissance” non è ormai confinata solo nel dibattito degli addetti ai lavori. Anche un romanzo può far parte a pieno titolo del filone che riscopre oggi le intuizioni di uno dei maggiori critici del capitalismo, cioè Karl Marx. Autore imprescindibile, complice la crisi che dal 2008 stravolge gli assetti sociali dell’Occidente. Autore che – nonostante clamorosi errori di previsione sulla lotta di classe - può persino prestarsi a diventare il personaggio quasi comico di una storia singolare: questa la scommessa di Errico Buonanno con il suo Lotta di classe al terzo piano (Rizzoli, pp. 316, euro 18). La vicenda narrata prende le mosse nella Londra del 1861, dove tra spie e attivisti politici che tramano per la rivoluzione, vivono due uomini molto diversi tra loro. Il primo è Karl Marx, il padre del comunismo, il filosofo più influente della modernità, che da anni lotta per portare a termine il libro che tutti attendono, Il Capitale. L’altro si chiama Alan John Huckabee, ed è il padrone del fatiscente condominio di Soho che il pensatore tedesco, tramite l’amico e mecenate Engels, ha preso in affitto.

Borghese ricco e ingrigito, che ha rinunciato da tempo ai suoi sogni giovanili da romanziere, Huckabee è pagina dopo pagina sempre più attratto dal suo misterioso affittuario, un uomo che non si mostra mai ma la cui semplice presenza sembra capace di dare al resto dei condomini nuova energia. Eppure presto proprio lui, il padrone dell’uomo che vuole combattere i padroni, scoprirà che la rivoluzione è possibile, e che lui stesso vi ha un ruolo cruciale. Quale? Sostituirsi ad un Marx in crisi di ispirazione per svelare al mondo la formula rivoluzionaria e liberatoria della “felicità”. Una formula che ovviamente non piacerà ai marxisti ortodossi e che tuttavia ridisegna un Marx creativo e libertario, forse non poi così distante dal Marx autentico. Pur essendo opera di fantasia il romanzo di Buonanno si ricollega a un dibattito filosofico più vivo e reale che mai: entro il 2020 infatti verrà portato a termine il progetto “Mega”, ossia la pubblicazione dell’opera integrale di Marx, comprendente varie pagine manoscritte che la censura staliniana decise di tenere nascoste, arrivando a fucilare gli esperti che ne erano entrati in possesso. Pagine in grado di rivelare un volto totalmente nuovo del filosofo, più umano, aperto alla libertà di stampa e di opinione, nettamente contrario ai rigori del dogma del socialismo reale.

Buonanno lavora su fonti reali, porta l’attenzione del lettore su un Marx fantasioso ma di cui restano tracce nella biografia reale: aspirante poeta e romanziere in gioventù, che abbandonò le sue aspirazioni e si dedicò alla dottrina in cui meglio riusciva ma che detestava: l’economia. Incalzato continuamente da Engels (che lo spesava ma al contempo ne sfruttava il talento per la scrittura del Capitale), Marx tergiversò per anni accampando scuse pur di non redigere il canone del nuovo pensiero politico. Il romanzo mette in evidenza così la figura di uomo vittima dei suoi seguaci, un sognatore, costretto suo malgrado a diventare un profeta e successivamente un marchio ideologico.  Un libro che si inserisce nella discussione sulla riscoperta del marxismo facendo balenare al lettore un interrogativo assai intrigante: e se Marx non fosse mai stato comunista? Del resto, avvertiva il filosofo Costanzo Preve: “Marx non ha mai sistematizzato il suo pensiero in un ismo” e dunque la domanda non è poi così infondata…

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