Ernst Jünger, Adriano Olivetti e la Città del sole
Giovanni Tarantino
C’erano una volta le utopie, o forse, dopo
tutto,
ci sono ancora oggi. «C’è un mondo reale
che diventa favola», diceva Nietzsche.
Spesso l’utopia coincide con un’idea di
polis,
di città. Utopia, per Tommaso Moro, era
d’altronde una città.
Tommaso Campanella, nel 1602,
immaginò La città del Sole: «Sorge
nell’alta
campagna un colle, sopra il quale sta la
maggior
parte della città; ma arrivano i suoi giri
molto
spazio
fuor delle radici del monte dentro vi sono
tutte l’arti, e l’inventori loro, e li diversi
modi,
come
s’usano in diverse regioni del mondo».
tutto,
ci sono ancora oggi. «C’è un mondo reale
che diventa favola», diceva Nietzsche.
Spesso l’utopia coincide con un’idea di
polis,
di città. Utopia, per Tommaso Moro, era
d’altronde una città.
Tommaso Campanella, nel 1602,
immaginò La città del Sole: «Sorge
nell’alta
campagna un colle, sopra il quale sta la
maggior
parte della città; ma arrivano i suoi giri
molto
spazio
fuor delle radici del monte dentro vi sono
tutte l’arti, e l’inventori loro, e li diversi
modi,
come
s’usano in diverse regioni del mondo».
La “città del sole” ha stimolato anche
l’interesse di Ernst Jünger, nato a
Heidelberg nel
1895, morto nel 1998, che ha attraversato
un
secolo, il Novecento, tempo di ideologie
e di
utopie.
Jünger è stato nichilista, poi spiritualista
libertario
(dirigendo per anni con Mircea Eliade la
rivista
Antaios) ma è morto cattolico, a seguito
di una
conversione profond maturata nel 1996,
a 101
anni. Il progressivo ripudio della tecnica
e della globalizzazione, predominanti nella
società occidentale, porta Jünger ad
assumere la
posizione dell’“anarca, e del Waldganger,
che alla
lettera sta per l’“uomo che si dà alla
macchia”, impropriamente presentato
nelle traduzioni
italiane come il “ribelle” («è il singolo,
l’uomo
concreto che agisce nel caso concreto.
Per
sapere che cosa sia giusto, non gli
servono teorie,
né leggi escogitate da qualche giurista
di partito.
Il ribelle attinge alle fonti della moralità
non ancora
disperse nei canali delle istituzioni. Qui,
purché
in lui sopravviva qualche purezza, tutto
diventa
semplice». In Jünger il singolo libero è
colui che
passa al bosco, che migra e che almeno
metaforicamente si allontana
consapevolmente
e spiritualmente dalla tecnica e dal
potere. Eppure
lungo tutto il suo corso e la sua vasta
produzione bibliografica, Jünger ha
inventato
città, in una trilogia inauguratasi nel
1939 da
Sulle scogliere di marmo, proseguita
dieci
anni dopo con Heliopolis, conclusasi
nel 1977 con Eumeswil.
l’interesse di Ernst Jünger, nato a
Heidelberg nel
1895, morto nel 1998, che ha attraversato
un
secolo, il Novecento, tempo di ideologie
e di
utopie.
Jünger è stato nichilista, poi spiritualista
libertario
(dirigendo per anni con Mircea Eliade la
rivista
Antaios) ma è morto cattolico, a seguito
di una
conversione profond maturata nel 1996,
a 101
anni. Il progressivo ripudio della tecnica
e della globalizzazione, predominanti nella
società occidentale, porta Jünger ad
assumere la
posizione dell’“anarca, e del Waldganger,
che alla
lettera sta per l’“uomo che si dà alla
macchia”, impropriamente presentato
nelle traduzioni
italiane come il “ribelle” («è il singolo,
l’uomo
concreto che agisce nel caso concreto.
Per
sapere che cosa sia giusto, non gli
servono teorie,
né leggi escogitate da qualche giurista
di partito.
Il ribelle attinge alle fonti della moralità
non ancora
disperse nei canali delle istituzioni. Qui,
purché
in lui sopravviva qualche purezza, tutto
diventa
semplice». In Jünger il singolo libero è
colui che
passa al bosco, che migra e che almeno
metaforicamente si allontana
consapevolmente
e spiritualmente dalla tecnica e dal
potere. Eppure
lungo tutto il suo corso e la sua vasta
produzione bibliografica, Jünger ha
inventato
città, in una trilogia inauguratasi nel
1939 da
Sulle scogliere di marmo, proseguita
dieci
anni dopo con Heliopolis, conclusasi
nel 1977 con Eumeswil.
Se perfino questo grande intellettuale e
testimone del Novecento ha reso la città
un luogo immaginario, immateriale, dove
la
“città del sole” corrisponde a una
dimensione
dell’anima, è stato invece l’italiano
Adriano
Olivetti che, partendo da presupposti
ontologicamente diversi, ha provato
a dare
struttura concreta e reale a quella che
ha
definito “città dell’uomo”. Unico caso,
tra
quelli menzionati, di utopia realizzabile.
testimone del Novecento ha reso la città
un luogo immaginario, immateriale, dove
la
“città del sole” corrisponde a una
dimensione
dell’anima, è stato invece l’italiano
Adriano
Olivetti che, partendo da presupposti
ontologicamente diversi, ha provato
a dare
struttura concreta e reale a quella che
ha
definito “città dell’uomo”. Unico caso,
tra
quelli menzionati, di utopia realizzabile.
Michele Mornese, nel suo L’eresia
politica di Adriano Olivetti, ha spiegato:
«A differenza della Repubblica di
Platone,
dell’Utopia di Moro e della Città del
Sole
di Campanella, l’utopia di Adriano
Olivetti
si è dimostrata, almeno parzialmente,
possibile. L’azienda Olivetti apportò
ontributi
di modernità nel territorio, nei limiti della
propria potenza economica, dando vita
ad
un capitalismo sociale, dal volto umano.
Il
concetto di utopia assume, alla luce di
queste
realizzazioni, segno positivo di intervento
concreto che può aiutare a collocare nel
giusto orizzonte culturale la sintesi di
mondo
materiale e mondo spirituale tentata da
Olivetti.
Ovvero la convinzione che il primo celi in
sé
forze latenti di autosuperamento, le quali
ispirano
un pensiero e un’etica dell’azione
definibili
come “forza vitale”». Ivrea, la fabbrica
a
dimensione di operaio, con biblioteche,
con vetri
a giorno, luogo ideale per lavorare e
vivere.
Esempio tangibile di come dovrebbe agire
un
imprenditore illuminato, quale Olivetti è
stato.
politica di Adriano Olivetti, ha spiegato:
«A differenza della Repubblica di
Platone,
dell’Utopia di Moro e della Città del
Sole
di Campanella, l’utopia di Adriano
Olivetti
si è dimostrata, almeno parzialmente,
possibile. L’azienda Olivetti apportò
ontributi
di modernità nel territorio, nei limiti della
propria potenza economica, dando vita
ad
un capitalismo sociale, dal volto umano.
Il
concetto di utopia assume, alla luce di
queste
realizzazioni, segno positivo di intervento
concreto che può aiutare a collocare nel
giusto orizzonte culturale la sintesi di
mondo
materiale e mondo spirituale tentata da
Olivetti.
Ovvero la convinzione che il primo celi in
sé
forze latenti di autosuperamento, le quali
ispirano
un pensiero e un’etica dell’azione
definibili
come “forza vitale”». Ivrea, la fabbrica
a
dimensione di operaio, con biblioteche,
con vetri
a giorno, luogo ideale per lavorare e
vivere.
Esempio tangibile di come dovrebbe agire
un
imprenditore illuminato, quale Olivetti è
stato.
Scrive Laura Olivetti, figlia di Adriano,
nella
presentazione al volume Costruire la
città
dell’uomo. Adriano Olivetti e
l’urbanistica:
«Sembrerebbe quasi che la parola
utopista
venga adoperata per storicizzare la
sua
figura con una modalità che tende a
rimuovere
e cancellare molto di quello che è stato
fatto.
È strano perché, tranne rarissimi casi,
quando viene spiegato perché fosse
un utopista
si elencano automaticamente molte
cose invece
portate a termine e la parola utopia
si dissolve».
nella
presentazione al volume Costruire la
città
dell’uomo. Adriano Olivetti e
l’urbanistica:
«Sembrerebbe quasi che la parola
utopista
venga adoperata per storicizzare la
sua
figura con una modalità che tende a
rimuovere
e cancellare molto di quello che è stato
fatto.
È strano perché, tranne rarissimi casi,
quando viene spiegato perché fosse
un utopista
si elencano automaticamente molte
cose invece
portate a termine e la parola utopia
si dissolve».
Scomparso nel 1960, quando ne
vengono
rievocate le gesta in dibattiti, tavole
rotonde,
c’è sempre un pizzico di rimpianto.
Olivetti è stato magistralmente raccontato
in
una storia a fumetti (edita da Becco
Giallo)
scritta da Marco Peroni (che è
originario
di Ivrea proprio come Olivetti) e
disegnata
da Riccardo Cecchetti. Un secolo
troppo
presto è il sottotitolo non casuale
del libro:
«Adriano credeva in una società di
tipo nuovo,
al di là del capitalismo e del socialismo.
Attorno alla sua Ivrea, “l’Atene degli
anni
Cinquanta”, costruì il prototipo di un
nuovo
ordine, una comunità concreta in cui
industria
e cultura, profitto e solidarietà,
produzione
e bellezza si tenevano per mano».
Basta poco
per capire che fu un vero precursore,
uno
che aveva anticipato di gran lunga i
tempi. Che,
forse, per i suoi di tempi era troppo
avanti:
ai giovani del Movimento Comunità,
da lui
fondato nel 1948, che gli rimasero
attorno
dopo le lacerazioni provocate dallo
esito
infruttuoso delle elezioni politiche del
1958, egli diceva, senza rimpianti e
senza
crucci per le sconfitte subite, che
occorrevano
ancora dieci anni di lavoro in “solitudine”.
Poi la Comunità avrebbe proseguito
il lavoro
con le proprie forze.
vengono
rievocate le gesta in dibattiti, tavole
rotonde,
c’è sempre un pizzico di rimpianto.
Olivetti è stato magistralmente raccontato
in
una storia a fumetti (edita da Becco
Giallo)
scritta da Marco Peroni (che è
originario
di Ivrea proprio come Olivetti) e
disegnata
da Riccardo Cecchetti. Un secolo
troppo
presto è il sottotitolo non casuale
del libro:
«Adriano credeva in una società di
tipo nuovo,
al di là del capitalismo e del socialismo.
Attorno alla sua Ivrea, “l’Atene degli
anni
Cinquanta”, costruì il prototipo di un
nuovo
ordine, una comunità concreta in cui
industria
e cultura, profitto e solidarietà,
produzione
e bellezza si tenevano per mano».
Basta poco
per capire che fu un vero precursore,
uno
che aveva anticipato di gran lunga i
tempi. Che,
forse, per i suoi di tempi era troppo
avanti:
ai giovani del Movimento Comunità,
da lui
fondato nel 1948, che gli rimasero
attorno
dopo le lacerazioni provocate dallo
esito
infruttuoso delle elezioni politiche del
1958, egli diceva, senza rimpianti e
senza
crucci per le sconfitte subite, che
occorrevano
ancora dieci anni di lavoro in “solitudine”.
Poi la Comunità avrebbe proseguito
il lavoro
con le proprie forze.
Questa utopia andata comunque al
potere è oggi
raccontata, nuovamente, con grande
merito dalle
Edizioni di Comunità: il marchio
della casa
editrice, fondata dall’imprenditore nel
’46, è
tornato a vivere. Grazie alla cura del
direttore editoriale Beniamino de’ Liguori
Carino,
tornano in libreria le più importanti
opere di
Olivetti, non più disponibili da anni.
Un modo
concreto per riscontrare l’attualità
del pensiero
olivettiano, a partire da Ai lavoratori,
primo di
cinque scritti della collana
Humana Civitas.
potere è oggi
raccontata, nuovamente, con grande
merito dalle
Edizioni di Comunità: il marchio
della casa
editrice, fondata dall’imprenditore nel
’46, è
tornato a vivere. Grazie alla cura del
direttore editoriale Beniamino de’ Liguori
Carino,
tornano in libreria le più importanti
opere di
Olivetti, non più disponibili da anni.
Un modo
concreto per riscontrare l’attualità
del pensiero
olivettiano, a partire da Ai lavoratori,
primo di
cinque scritti della collana
Humana Civitas.
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