venerdì 28 febbraio 2014

Il borghese anarchico

Compagno Gabriele... uno studio su D'Annunzio rivoluzionario







Annalisa Terranova

Se sul D'Annunzio politico ha scritto da par suo Renzo De Felice in un celebre saggio del 1978, per il D'Annunzio rivoluzionario parlano i suoi diari, le lettere, i versi, i discorsi, frammenti tenuti insieme da un filo rosso di iconoclastica eversione e proposti al lettore in un testo singolare, Manuale del Rivoluzionario (Tre Editori), curato da Emiliano Cannone. Quali sono le componenti del pensiero rivoluzionario dannunziano? la critica al mondo borghese, al parlamentarismo, la lotta ai totalitarismi, l'internazionalismo e il sindacalismo rivoluzionario. La mancanza di sistematicità delle riflessioni di D'Annunzio sulla politica rendono difficile comprenderne la portata tuttavia sono sufficienti per evitare di limitare D'Annunzio all'etichetta ingenerosa e riduttiva di semplice precursore del fascismo. Non a caso la sua azione politica era ammirata da Lenin che ebbe a dire: “In Italia c'è un rivoluzionario solo: Gabriele D'Annunzio”. Più conosciuta la sua polemica contro i partiti che gli apparivano come un insieme in putrefazione cui andava contrapposto il vitalismo delle idee, una polemica condotta con espressioni che appaiono oggi di sconcertante attualità: “Veramente sembra che l'Italia non possa assistere allo spettacolo che dà la casta politica se non con le narici turate, come quei cavalieri dei suoi vecchi affreschi fermi davanti ai cadaveri verminosi nelle bare senza coperchio...”. 
Fiume nel pensiero rivoluzionario di D'Annunzio rappresenta il “sopramondo” rispetto al “sottomondo” della politica fatta da “piccoli meccanici” e “piccoli contabili”: “Rimane un luogo di vita, ed è Fiume. Rimane un luogo di luce; ed è Fiume. Rimane un luogo di vittoria: ed è Fiume nostra. Noi siamo in piedi; noi siamo in armi; noi siamo in salute e in forza; noi siamo in fervore e in ardore; Noi abbiamo il cuore robusto, il fegato arido, la lena lunga, il calcagno saldo, il garretto instancabile”. Anche l'internazionalismo dannunziano ha una sua modulazione particolarissima che si lega all'opposizione al “trust degli stati ricchi” e al tentativo di far aderire alla Lega di Fiume le minoranze oppresse della terra, tra cui i cinesi della California e i neri d'America.  Non meno profetico era D'Annunzio quando antevedeva gli effetti della lotta mercantile e del predominio dell'oro su un mondo trasformato in “agorà immensa” (felice definizione, secondo Cannone, dell'odierno “villaggio globale”): “Duci di genti son fatti i tuoi mercatori ingegnosi, duci inesorabili e insonni ... sul flutto dell'oro ondeggian le sorti dei regni”. E infine Fiume era vitalismo eroico cristallizzato in esempio politico ma anche faro per le genti che anelavano alla libertà. Così rispondeva il poeta soldato, infatti, alla rivista anarchica Umanità Nuova: “Io sono per il comunismo senza dittatura... nessuna meraviglia poiché tutta la mia cultura è anarchica, e poiché in me è radicata la convinzione che, dopo quest'ultima guerra, la storia scioglierà un novello volo verso un audace progresso”. E il libertarismo dannunziano si esprimeva anche nella Carta fondamentale di Fiume, dove ogni religione era ammessa, e nel culto della bellezza come scopo di ogni azione, come fattore dignificante che conferiva a ogni azione un'etica nuova e trasformatrice: “Il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo”. Volle infine farsi poeta armato, foggiando in “forma di mito” il suo pensiero tradotto in simbolo per scagliarlo alla Patria futura: “D'un solo cuore, d'un solo fegato, d'un solo patto, con me, spalla contro spalla, gomito contro gomito, braccio contro braccio, con me, come quando voi fate la catena per gettare al sole e alle stelle le vostre canzoni vermiglie, con me, compagni con me compagno, fedeli a me fedele, eia eia eia, alalà!”. 

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