mercoledì 30 gennaio 2013
la Chiesa in Argentina aiutò i carnefici
Desaparecidos: la Chiesa in Argentina aiutò i carnefici
Scritto il 07/8/12 • nella Categoria: segnalazioni
Una vera e propria valanga di dichiarazioni è uscita dalla bocca dell’ex dittatore Jorge Videla durante gli ultimi interrogatori. Le informazioni ricavate hanno messo fine ad un lungo dibattito sui modelli di transizione dal regime alla democrazia in Argentina, durante l’ultimo periodo della dittatura militare. In molti nello Stato del Sud America criticavano la riapertura dei processi per crimini contro l’umanità, sostenendo che l’obiettivo di giungere ad una condanna penale rischiava di ostacolare il raggiungimento della verità. Gli stessi esaltavano, invece, il modello sudafricano consistente nell’ottenere informazioni in cambio dell’impunità. Ciononostante, in Argentina, sono già state pronunciate oltre 250 sentenze di condanna al termine di processi che hanno garantito tutti i diritti alla difesa, tanto che vi sono state anche due dozzine di sentenze di assoluzione. Il flusso di informazioni, però, non solo non si è arrestato, ma è addirittura aumentato, portando a galla molte testimonianze e verità storiche.
Le successive confessioni del condannato Videla a diversi giornalisti che lo hanno intervistato in carcere hanno fatto luce sulla complicità con il regime dei grandi imprenditori, dei principali partiti politici e perfino della Chiesa Cattolica. Nell’ultima intervista, l’ex dittatore ha sostenuto che il nunzio apostolico Pio Laghi, l’ex presidente della Conferenza Episcopale Raul Primatesta e altri vescovi, hanno fornito al suo governo consigli su come gestire la situazione dei detenuti “desaparecidos”. Secondo quanto rivelato da Videla, la Chiesa si spinse addirittura ad “offrire i suoi buoni uffici” affinché il governo informasse della morte dei figli tutte le famiglie che si fossero impegnate a non rendere pubblica la notizia e smettere di protestare. Questo dimostra che la Chiesa non solo era a conoscenza dei crimini della dittatura militare, ma ne era addirittura complice; come risulta dai documenti segreti pubblicati in libri e articoli e la cui autenticità l’Episcopato è stato costretto a riconoscere dinanzi alla giustizia.
La prova di un coinvolgimento attivo dell’Episcopato per garantire il silenzio dei familiari delle vittime sembra ormai accertato. Lo stesso silenzio che la Chiesa aveva adottato sul caso desaparecidos. Videla ha dichiarato che, dal regime, non vennero fornite informazioni sui desaparecidos affinché nessuna madre si chiedesse “dove è sepolto mio figlio per portargli un fiore? Chi l’ha ucciso? Perché? Come l’hanno ucciso? A nessuna di queste domande fu data risposta”. Il ragionamento fu lo stesso che Videla fece il 10 aprile 1978, nel corso di un cordiale pranzo alla presenza della commissione esecutiva dell’Episcopato. Secondo la nota informativa inviata dai vescovi al Vaticano, Videla aveva detto loro che «sarebbe ovvio» affermare che nessuno è desaparecido, che «sono morti», ma che una tale affermazione avrebbe «alimentato una serie di domande sul luogo della sepoltura. Era forse una fossa comune? E in tal caso: chi li ha messi in questa fossa? Insomma, una serie di domande alle quali il governo non poteva rispondere sinceramente per le conseguenze a carico di alcune persone», vale a dire per proteggere i sequestratori e gli assassini.
«Il primo ufficiale che ha confessato la partecipazione personale al massacro, il capitano della Marina Adolfo Scilingo, mi raccontò che quando il comandante delle Operazioni Navali lo aveva informato che i prigionieri sarebbero stati gettati in mare dagli aerei, gli aveva anche detto che si erano consultati con le autorità ecclesiastiche per trovare la soluzione più cristiana e meno violenta. Quando tornò turbato dal primo volo e si rivolse al cappellano della sua unità militare, il sacerdote lo tranquillizzò raccontandogli alcune parabole bibliche. Disse che era una morte cristiana perché non avevano sofferto», dichiara il giornalista Jacobo Timerman.
Nel corso del primo processo contro esponenti della giunta militare, lo stesso Timerman raccontò che quando aveva chiesto per quale ragione non avevano applicato apertamente la pena di morte, uno degli ufficiali più alti in grado della Marina gli aveva risposto: «In questo caso sarebbe intervenuto il Papa e sarebbe stato difficile fucilare i detenuti se il Pontefice avesse fatto pressione». Il generale Ramon Diaz Bessone diede la medesima spiegazione alla giornalista francese Marie-Monique Robin: «Pensate alle pesanti critiche rivolte dal Papa a Franco nel 1975 per la fucilazione di appena tre persone. A noi ci sarebbe saltato addosso tutto il mondo. Non sarebbe stato possibile fucilare 7000 persone». Questo spiega perché, fino ad oggi, la Chiesa non ha scomunicato Videla e nessuno degli altri condannati, tra i quali il sacerdote cattolico Christian Von Wernich.
(Luca Michetti, “Argentina, l’ex dittatore Videla confessa: la Chiesa aiutò il regime con i desaparecidos”, dal newsmagazine “You-ng” del 3 agosto 2012, ripreso da “Megachip”).
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