venerdì 10 luglio 2015

Parmigianino: il pittore alchimista

La saletta di Diana e Atteone è stranamente rimasta per secoli nascosta agli occhi di tutti, anche a quelli del Vasari che, nelle Vite, pur attingendo le informazioni da Girolamo Mazzola Bedoli (parente stretto del Parmigianino), non ne fa minimamente cenno. All'epoca, l'unico modo per accedervi era una porticina situata su un lato e comunicante con una camera attigua. La saletta si presenta con particolarità piuttosto singolari, tali da far riflettere i commentatori che oggi cercano di dare un'interpretazione dell'opera nel suo insieme. L'ambiente è molto piccolo (4,35 X 3,50 m per 3,90 di altezza), circondato da locali di servizio e, stranamente, non situato al piano nobile. In origine era senza finestre. A cosa poteva servire questo ambiente quasi segreto? Si è dibattuto a lungo sulla sua destinazione: secondo alcuni studiosi (Quintavalle, Ghidiglia) semplicemente un'elegantissima sala da bagno, secondo altri (Dell’Arco, Mutti) una trasposizione pittorica di motivi ermetici.

E, ricordando che il committente, il conte Galeazzo Sanvitale, era un appassionato di alchimia, potrebbero essere significativi questi versi di Antonio Allegretti, alchimista vissuto proprio in quegli anni:

"Chiunque vuoi provar quanto in quest'Arte
E con l'ingegno vaglia e con le mani
Prima da sé ogn 'altra cura scacci,
E solo a questo habbia la mente intesa:
Un luogo elegga più che può segreto,
E lontano dal volgo, dove meni
La vita quanto può tranquilla e queta.
Più commoda che grande haver procuri
Una casa che habbia alcune stanze,
Da l'altre alquanto separate, dove
Mitrar si possa a far qualche bell'opra
0 di mano o d'ingegno; né mai v'entre
Altri, che quel eh 'a tai bisogni serve,
Ma non vegga però né intenda quello
Ch 'entro vi si lavora".


De la trasmutatione de metalli, XVI secolo




Saletta di Diana e Atteone, la volta

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