venerdì 31 luglio 2015

La fabbrica del "pisa no": ovvero aniline che provocavano il cancro alla vescica

Fabbrica abbandonata: Ex IPCA

gen 15, 20150 commentiby 
Cirièun’ importante cittadina piemontese a pochi chilometri da Torino. Fin dall’inizio dell’800 la città dimostrò uno spiccato interesse verso lo sviluppo industriale, che ebbe il suo culmine nel corso del ‘900. Le industrie che componevano questa cittadina erano molteplici e racchiudevano i settori più disparati: tintorie, cuoifici, coltellerie, falegnamerie ecc.
L’IPCA (acronimo di: Industria Piemontese dei Colori di Anilina) venne fondata nel 1922 dai fratelli Sereno e Alfredo Ghisotti, sopra quello che rimaneva d’un vecchio complesso industriale dell’800, dedito alla produzione di fiammiferi. La fabbrica si trova lontano dal centro urbano di Ciriè, nella piccola frazione di Borche, una località nel mezzo dela campagna piemontese, dove un tempo vigeva l’epiteto “verde di riposi ristoratori“.
Questa fabbrica passerà alla storia come “La Fabbrica del Cancro” di Ciriè. Si sa, nel 1922 non esisteva ancora il concetto di sicurezza sul lavoro, così come le norme ambientali non erano nemmeno lontanamente concepibili. La fabbrica produceva colori con sostanze altamente nocive come la beta-naftilamina (benzidina) e aniline.

Colori assassini:

“L´ambiente è altamente nocivo, i reparti di lavorazione sono in pessime condizioni e rendono estremamente gravose le condizione stesse del lavoro. I lavoratori vengono trasformati in autentiche maschere irriconoscibili. Sui loro volti si posa una pasta multicolore, vischiosa, con colori nauseabondi e, a lungo andare, la stessa epidermide assume disgustose colorazioni dove si aggiungono irritazioni esterne”
Sono, purtroppo, le parole che scrissero nel 1956, la camera del lavoro di Torino, in seguito ad un’ inchiesta sulle condizioni di lavoro nella fabbrica. Ma tale inchiesta non portò a nulla, serviranno anni e morti per portare a galla quello che gli operai dell’IPCA dovettero subire sulla propria pelle. Già dopo i primi anni d’attività ci furono i primi malesseri, mali che nella maggior parte dei casi s’evolvevano in un calvario che conduceva in un’ unica direzione: il cancro alla vescica. Qualcuno, con un po’ di tetra ironia chiamava queste persone i “pissabrut“, gli urina-rosso.
Nel frattempo gli operai non stavano di certo a guardare, mentre sempre più persone s’ammalavano, dopo anni di lavoro in ambienti velenosi, nel 1968, due operai si licenziarono ed iniziarono ad indagare per conto proprio, sono Albino Stella e Benito Franza (che scoprirono in seguito d’essere anche loro ammalati), grazie a loro venne alla luce quello che per decenni venne tenuto all’oscuro.

L’indagine:

Erano anni che si parlava delle difficili condizioni di lavoro nell’IPCA, ma ci volle il coraggio e la determinazione di due operai per far venire a galla la verità.
L’indagine richiese diversi anni, l’annotazione dai cimiteri della zona di tutti i compagni morti tra il 1968 ed il 1972. Ne annotarono un numero decisamente inquietante: 134, solo in quei 5 anni.
In seguito alla preziosissima testimonianza, si arriverà finalmente ad un processo, che avrà una svolta nel 1977 con una condanna a 6 anni di carcere per omicidio colposo ai titolari e dirigenti dell’azienda. Ulteriori indagini accertarono che le vittime tra gli ex dipendenti sono state ben 168.

La chiusura:

In sguito alla condanna (e ad altri problemi amministrativi) l’IPCA chiuse i battenti nell’agosto del 1982, lasciando in eredità solo inquinamento e morte. Per 650 milioni di Lire il sito venne acquistato dal comune di Ciriè, nel novembre 1996 il Comune di Ciriè ottienne dal Ministero dell’Interno un finanziamento di circa 6 miliardi di Lire per l’eliminazione di 5677 fusti (solventi, diluenti, residui di verniciatura, coloranti e reagenti), eliminare 4.660.220 kg di liquami tossici e bonificare 50 serbatoi e 13 vasche di decantazione. La bonifica è terminò con pieno successo il 31 agosto 1998. Oggi la zona è completamente sicura e priva di agenti chimici pericolosi.
Ad oggi il complesso è completamente abbandonato, pur essendo poco vandalizzato, le strutture soffrono per la mancanza di manutenzione e l’esposizione agli agenti atmosferici. La zona è dichiarata pericolante ed è ufficialmente vietato accedervi. Da anni si discute su una possibile riqualificazione dell’area, ma per il momento quello che rimane, sono le macerie di una storia vergognosa che non deve più ripetersi.

Video:

Un piccolo documentario che ho girato personalmente.

Altre foto:

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Autore articolo:

Amministratore e fondatore di questo sito, è un comune lavoratore che nel tempo libero si dedica anche alla fotografia. E' appassionato di posti abbandonati, dal 2013 ha iniziato attivamente a fare esplorazioni urbane in posti assurdi dimenticati dal mondo. E' un concentrato di curiosità e passione, che si divide tra passato presente e futuro. E' stato in Giappone, praticamente vivendo per strada e dormendo in angusti spazi chiamati internet cafè, ama molto i viaggi avventurosi, leggere, scrivere, drogarsi di serie TV, il cazzeggio e la birra.

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