LEGGETE MOLTO ATTENTAMENTE QUESTO BREVE ARTICOLO DI MAURIZIO BLONDET E' DI ESTREMO INTERESSE..
Washington ha studiato il primo strike atomico
Maurizio Blondet 18 Giugno 2014
Lunedì 9 giugno quattro bombardieri strategici russi Tu-95 Bear H si sono avvicinati alla costa della California, a meno di 50 miglia, in un attacco di bombardamento simulato. Questi sono aerei strategici capaci di portare sul territorio nemico testate nucleari.
Hanno sorpreso i sistemi aerei di difesa USA. «Nemmeno nei momenti più caldi della guerra fredda li ho mai visti tanto vicini», ha detto un Generale delle forze aeree in pensione,secondo quanto riferisce The Washington Free Beacon. Il senatore Connaway, membro della Commissione Servizi Armati, ha strillato fuori di sé: «Avremmo dovuto schiacciarli tutti uno ad uno [i bombardieri] come cuccioli di foca».
Forse che Vladimir Putin ha voluto fare una provocazione inutile?
No: quella russa è stata una risposta a qualcosa che fanno gli americani, e di cui non si parla. Putin ha voluto ricordare che il suo Paese resta una potenza nucleare perfettamente capace di ritorsione mettere a segno una ritorsione atomica ad un primo attacco atomico. Pechino, con una dichiarazione ancor meno riportata, ha fatto di più: ha avvertito esplicitamente Obama che la Cina ha due sottomarini nucleari al largo della California capaci di incenerire tutto dalla costa del Pacifico alle Montagne Rocciose; e missili balistici a testata multipla che, passano sulla verticale del Polo Nord, cancellerebbero l’America dalle Montagne Rocciose alla Costa atlantica.
Il tutto, come si vede, con un linguaggio durissimo, insolito per i cinesi. Anche il presidente Xi è uscito di senno?
No. Il punto è che gli USA hanno formulato una dottrina del «primo colpo nucleare», e messo a punto la strategia per assestarlo. Gli studi del Pentagono sono giunti (fin dal 2006) alla conclusione che «i russi e i cinesi non sarebbero più in grado di fare rappresaglia, oppure se una piccola forza [atomica] gli restasse, non oserebbero rischiare un secondo attacco [atomico] USA rispondendo» al primo attacco. Questo piano «incita alla guerra nucleare gli USA, approfittando della sua supremazia atomica». Lo ha rivelato un medico addentro ai segreti degli effetti del nucleare, Steven Starr, del Clinical Laboratory Science Program dell’università del Missouri e fra i dirigenti dell’associazione Physicians for Social Responsibility (psr.org).
La novità è che il presidente Obama (il Nobel per la Pace...), esattamente da un anno (giugno 2013) ha modificato la dottrina americana per le forze nucleari, stabilendo che la «deterrenza atomica» non è più il suo solo scopo. Ne segue che la strategia del primo colpo (first strike) diventa un elemento legittimo della politica estera USA.
Naturalmente la cosa è sottolineata con estremo allarme dai media russi ed anche iraniani. Qui apprendiamo che Mosca interpreta alla luce della dottrina di aggressione (first strike) l’ostinato sforzo americano di posizionare missili anti-missile (ABM) in Polonia, a ridosso della frontiera russa. E presto, l’intera Russia sarà circondata da queste armi. Gli ABM servono, quando l’America sferrerà il primo colpo nucleare, ad intercettare e distruggere i missili balistici intercontinentali russi (ICBM) lanciati dalla Russia per l’apocalittica rappresaglia. Un simile accerchiamento con l’identica intenzione ha luogo ai danni della Cina: sia col massiccio spiegamento di bombardieri invisibili sia aprendo nuove basi militari nel Pacifico.
Sia – fatto particolarmente sinistro – commissionando allo US Strategic Command (STRATCOM) uno studio speciale sul come neutralizzare l’immenso reticolo di tunnel cinesi (3 mila miglia) in cui Pechino nasconderebbe al sicuro da attacchi – secondo l’intelligence (o propaganda) USA – 3 mila testate atomiche (pochi anni fa, la stessa intelligence attribuiva alla Cina 300 bombe).
Con ciò, gli USA hanno distrutto l’equilibrio detto del “terrore”, nel gergo militare MAD (Mutual Assured Destruction), che ha scongiurato la guerra atomica per un settantennio: la certezza che se una parte arrischia il primo colpo il nemico ancorché incenerito, sarebbe in grado di lanciare automaticamente le sue piattaforme di rappresaglia incenerendo te; ciò rendeva una vittoria atomica impensabile, e la buona deterrenza attiva.
Adesso invece, ha scritto Paul Craig Roberts, «Washington crede di poter vincere una guerra nucleare senza o con pochi danni per gli USA. Questa convinzione rende la guerra nucleare probabile»: E continua: accettando i missili sul suo suolo, «il demente Governo polacco può aver firmato il mandato di morte per l’umanità. Il Congresso USA è complice, perché non ha indetto alcuna audizione per interrogare il potere esecutivo sulla sua intenzione di scatenare preventivamente una guerra nucleare. I vassalli, l’Europa orientale, il Canada, l’Australia e il Giappone sono complici perché accettano il piano americano e forniscono le basi per attuarlo».
Dall’altro lato, «dato che Russia e Cina sono così apertamente minacciate di primo colpo nucleare, potrebbero decidere di essere loro a fare il primo colpo. Perché dovrebbero Russia e Cina stare a far niente in attesa dell’inevitabile, mentre il loro avversario completa la propria capacità di proteggersi perfezionando il suo scudo ABM? Una volta che Washington avrà completato il suo scudo, Russia e Cina hanno la certezza che saranno aggredite, a meno che non si arrendano preventivamente».
Ma davvero la dirigenza di Washington, il grumo d’interessi e messianismi che hanno elaborato la dottrina del first strike, sono a tal punto dementi?
Basti pensare che l’efficacia dei missili ABM per annullare la rappresaglia atomica russo-cinese è ben lungi dall’essere dimostrata... l’amico Webster Tarpley, intervistato da Russian Today, ha risposto sì: angosciati dal terrore di perdere la supremazia storica, «i dominatori USA sono pronti a rischiare guerre di notevoli dimensioni per mantenere la dominanza globale»: «Forse questo non è evidente al mondo esterno, ma l’umore nelle élites lunatiche di Washington è che cercano un modo di contrattaccare da una posizione che sentono in qualche modo debole, e soprattutto hanno paura della Russia».
Avventurismo nichilista, messianismo ebraico esaltato, l’incestuoso intreccio fra il complesso militare-industriale e i neocon israeliti – due lobbies onnipotenti su Governo e Congresso –congiurano con la volontà americanista di «non cedere mai volontariamente la dominanza globale» nella conformazione di una mentalità che preferisce morire in un’apocalisse generale, che vedere altre nazioni al primo posto. Le continue brutali provocazioni contro Mosca in Ucraina e in Siria, lo scatenamento dei jihadisti armati e finanziati dagli USA, mostrano una chiara volontà di trascinare la Russia (e la Cina) verso l’irreparabile.
Mosca interpreta tutte le provocazioni, unite all’insediamento di missili in Polonia e ai preparativi americani di guerre stellari come «una dichiarazione di guerra non-ufficiale»; ha persino valutato la data in cui Washington può tentare il primo colpo atomico: il 2016. Non sotto Obama, ma sotto il nuovo presidente USA, che può essere Hillary clinton.
Questo può spiegare una strana battuta di Vladimir Putin durante l’intervista del 5 giugno scorso ai media francesi. Quando gli hanno ricordato che Hillary Clinton lo aveva paragonato ad Hitler, ha risposto: «Sapete, è preferibile non polemizzare con le donne. Madame Clinton non è stata mi troppo sottile nelle sue dichiarazioni... Ciò non ci ha impedito di incontrarla durante diversi eventi internazionali o di discutere normalmente. Penso che anche qui potremmo trovar un linguaggio comune». Poi, come pentendosi di essere stato poco cavalleresco, ha aggiunto: «Del resto, per una donna, la debolezza non è un grosso difetto...».
Ciò ha scatenato le prevedibili indignazioni nei media occidentali: ecco Putin, oltre che «omofobo», è anche «nemico delle donne»! La vetta inarrivabile della stupidità l’ha toccata Valerie Trierweiler – sì, proprio lei, l’ex prima signora dell’Eliseo, che Hollande ha cornificato per andare di nascosto con l’amante ulteriore, l’attrice Julie Gayet. Ebbene: cotanta personalità ha espresso il suo schifo via twitter, dichiarandosi «felice di non dover stringere la mano a Putin» (1). Magari è Putin che non ha voglia di stringere la mano a lei... ma ovviamente una simile escort stagionata non poteva cogliere il vero senso della notazione di Putin.
Questa sta nella metamorfosi che il Dipartimento di Stato ha subìto durante il quadriennio (2009-2013) in cui Hillary ha tenuto la massima poltrona. Una metamorfosi che un noto analista, J.P. Sottile, ha chiamato «la militarizzazione» del Ministero degli Esteri americano.
«Con sorpresa di molti, il Dipartimento di Stato è divenuti l’apparato più “falco” dell’Amministrazione Obama , superando il Pentagono che ha raccomandato moderazione quando il Dipartimento di Stato premeva per la guerra. Il mutamento risale al tempo in cui Hillary Clinton è stata segretaria». La signora ha lasciato dietro a sé delle «donne» sfegatate guerrafondaie – Victoria Nuland (2), Samantha Power, Susan Rice (a cui si è aggiunta la portavoce Jen Psaki) – delle erinni, attivissime nella sovversione internazionale e provocazione avventurista; sono essenzialmente loro ormai, più che il Pentagono, a gestire la guerra di nuova generazione per interposte milizie, «primavere arabe» e «rivoluzioni colorate» che hanno dato le belle prove in Libia , in Siria e adesso in Iraq; loro che armano i jihadisti e finanziano ed addestrano i neonazisti ucraini, loro che fanno passare l’interventismo bellicista come un «diritto di proteggere» (in sigla R2P).
Basterà ricordare l’Ambasciatore Chris Stevens, funzionario del Dipartimento di Stato, è stato trucidato a Bengasi l’11 settembre 2012 nel corso di una losca e mai chiarita «operazione» ordinatagli da Hillary, sembra una trattativa con tagliagole libici (da arruolare e spedire in Siria per instaurarvi la democrazia) per la distribuzione andata a male degli armamenti saccheggiati negli arsenali di Gheddafi. È stato dopo questo oscuro incidente, e per evitare un’inchiesta, che la Clinton ha dato le dimissioni dal ministero pochi mesi più tardi. Ma ha lasciato dietro a sé le sue erinni di fiducia, e – domani – può tornare: non più come ministra ma come Presidente degli Stati Uniti. Pronta ad aprire il dossier «Nuclear First Strike».
Del resto sul New York Times del 13 giugno è apparso uno studio, in cui l’economista Tyler Cowen teorizza che la bassa crescita economica è dovuta alla «mancanza di guerre importanti», alla «persistenza ed aspettativa di pace». Lo storico Ian Morris (docente a Stanford), ha scritto un libro in cui dimostra come la guerra sia il massimo motore del progresso: titolo, «War – What is Good For? Conflict and the Progress of Civilization from Primates to Robots». Kwasi Kwarteng, parlamentare britannico conservatore (di origini africane), ha scritto un saggio dal titolo «War and Gold: A 500-Year History of Empires, Adventures, and Debt» in cui sostiene che il bisogno di finanziare le guerre ha fatto sì che i Governi sviluppassero le istituzioni finanziarie e monetarie che hanno prodotto l’enorme sviluppo capitalistico dell’Occidente... insomma la creazione dell’opportuno stato d’animo collettivo viene alacremente perseguita: guerra sola igiene del mondo, con la guerra si guadagna, la pace fa male all’economia.
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1) Secondo le ultime notizie dei rotocalchi, l’inquilino che occupa l’Eliseo, la sede che fu di Da Gaulle, avrebbe lasciato la giovane amante e starebbe riannodando con la Tierweiler (detta Rotweiler dai giornalisti). La telenovela sta per farci conoscere nuove puntate.
2) La Nuland (Nudelman) ha ammesso pubblicamente di aver investito 5 miliardi di dollari nella destabilizzazione dell’Ucraina. Suo marito, Robert Kagan, è un neocon di primo piano: co-fondatore nel 1997 del «Project for a New American Century» (il think tank che auspicò «una nuova Pearl Harbor» per convincere gli americani ad un piano di costosissimo riarmo – auspicio avveratosi l’11 Settembre 2001), Kagan ha fondato nel 2009 il think tank successivo, «Foreign Policy Initiative», con lo stesso scopo: assicurare la dominazione e la superiorità militare globali per gli USA (e Israele). Kagan ha appena pubblicato un saggio, The World America Made: qui il neocon dettaglia la strategia di assedio della nuova Russia di Putin con sanzioni e accerchiamento NATO; raccomanda anche al futuro Governo USA di confrontare la potenza cinese in quanto violatrice dei diritti umani.
Washington ha studiato il primo strike atomico
Maurizio Blondet 18 Giugno 2014
Lunedì 9 giugno quattro bombardieri strategici russi Tu-95 Bear H si sono avvicinati alla costa della California, a meno di 50 miglia, in un attacco di bombardamento simulato. Questi sono aerei strategici capaci di portare sul territorio nemico testate nucleari.
Hanno sorpreso i sistemi aerei di difesa USA. «Nemmeno nei momenti più caldi della guerra fredda li ho mai visti tanto vicini», ha detto un Generale delle forze aeree in pensione,secondo quanto riferisce The Washington Free Beacon. Il senatore Connaway, membro della Commissione Servizi Armati, ha strillato fuori di sé: «Avremmo dovuto schiacciarli tutti uno ad uno [i bombardieri] come cuccioli di foca».
Forse che Vladimir Putin ha voluto fare una provocazione inutile?
No: quella russa è stata una risposta a qualcosa che fanno gli americani, e di cui non si parla. Putin ha voluto ricordare che il suo Paese resta una potenza nucleare perfettamente capace di ritorsione mettere a segno una ritorsione atomica ad un primo attacco atomico. Pechino, con una dichiarazione ancor meno riportata, ha fatto di più: ha avvertito esplicitamente Obama che la Cina ha due sottomarini nucleari al largo della California capaci di incenerire tutto dalla costa del Pacifico alle Montagne Rocciose; e missili balistici a testata multipla che, passano sulla verticale del Polo Nord, cancellerebbero l’America dalle Montagne Rocciose alla Costa atlantica.
Il tutto, come si vede, con un linguaggio durissimo, insolito per i cinesi. Anche il presidente Xi è uscito di senno?
No. Il punto è che gli USA hanno formulato una dottrina del «primo colpo nucleare», e messo a punto la strategia per assestarlo. Gli studi del Pentagono sono giunti (fin dal 2006) alla conclusione che «i russi e i cinesi non sarebbero più in grado di fare rappresaglia, oppure se una piccola forza [atomica] gli restasse, non oserebbero rischiare un secondo attacco [atomico] USA rispondendo» al primo attacco. Questo piano «incita alla guerra nucleare gli USA, approfittando della sua supremazia atomica». Lo ha rivelato un medico addentro ai segreti degli effetti del nucleare, Steven Starr, del Clinical Laboratory Science Program dell’università del Missouri e fra i dirigenti dell’associazione Physicians for Social Responsibility (psr.org).
La novità è che il presidente Obama (il Nobel per la Pace...), esattamente da un anno (giugno 2013) ha modificato la dottrina americana per le forze nucleari, stabilendo che la «deterrenza atomica» non è più il suo solo scopo. Ne segue che la strategia del primo colpo (first strike) diventa un elemento legittimo della politica estera USA.
Naturalmente la cosa è sottolineata con estremo allarme dai media russi ed anche iraniani. Qui apprendiamo che Mosca interpreta alla luce della dottrina di aggressione (first strike) l’ostinato sforzo americano di posizionare missili anti-missile (ABM) in Polonia, a ridosso della frontiera russa. E presto, l’intera Russia sarà circondata da queste armi. Gli ABM servono, quando l’America sferrerà il primo colpo nucleare, ad intercettare e distruggere i missili balistici intercontinentali russi (ICBM) lanciati dalla Russia per l’apocalittica rappresaglia. Un simile accerchiamento con l’identica intenzione ha luogo ai danni della Cina: sia col massiccio spiegamento di bombardieri invisibili sia aprendo nuove basi militari nel Pacifico.
Sia – fatto particolarmente sinistro – commissionando allo US Strategic Command (STRATCOM) uno studio speciale sul come neutralizzare l’immenso reticolo di tunnel cinesi (3 mila miglia) in cui Pechino nasconderebbe al sicuro da attacchi – secondo l’intelligence (o propaganda) USA – 3 mila testate atomiche (pochi anni fa, la stessa intelligence attribuiva alla Cina 300 bombe).
Con ciò, gli USA hanno distrutto l’equilibrio detto del “terrore”, nel gergo militare MAD (Mutual Assured Destruction), che ha scongiurato la guerra atomica per un settantennio: la certezza che se una parte arrischia il primo colpo il nemico ancorché incenerito, sarebbe in grado di lanciare automaticamente le sue piattaforme di rappresaglia incenerendo te; ciò rendeva una vittoria atomica impensabile, e la buona deterrenza attiva.
Adesso invece, ha scritto Paul Craig Roberts, «Washington crede di poter vincere una guerra nucleare senza o con pochi danni per gli USA. Questa convinzione rende la guerra nucleare probabile»: E continua: accettando i missili sul suo suolo, «il demente Governo polacco può aver firmato il mandato di morte per l’umanità. Il Congresso USA è complice, perché non ha indetto alcuna audizione per interrogare il potere esecutivo sulla sua intenzione di scatenare preventivamente una guerra nucleare. I vassalli, l’Europa orientale, il Canada, l’Australia e il Giappone sono complici perché accettano il piano americano e forniscono le basi per attuarlo».
Dall’altro lato, «dato che Russia e Cina sono così apertamente minacciate di primo colpo nucleare, potrebbero decidere di essere loro a fare il primo colpo. Perché dovrebbero Russia e Cina stare a far niente in attesa dell’inevitabile, mentre il loro avversario completa la propria capacità di proteggersi perfezionando il suo scudo ABM? Una volta che Washington avrà completato il suo scudo, Russia e Cina hanno la certezza che saranno aggredite, a meno che non si arrendano preventivamente».
Ma davvero la dirigenza di Washington, il grumo d’interessi e messianismi che hanno elaborato la dottrina del first strike, sono a tal punto dementi?
Basti pensare che l’efficacia dei missili ABM per annullare la rappresaglia atomica russo-cinese è ben lungi dall’essere dimostrata... l’amico Webster Tarpley, intervistato da Russian Today, ha risposto sì: angosciati dal terrore di perdere la supremazia storica, «i dominatori USA sono pronti a rischiare guerre di notevoli dimensioni per mantenere la dominanza globale»: «Forse questo non è evidente al mondo esterno, ma l’umore nelle élites lunatiche di Washington è che cercano un modo di contrattaccare da una posizione che sentono in qualche modo debole, e soprattutto hanno paura della Russia».
Avventurismo nichilista, messianismo ebraico esaltato, l’incestuoso intreccio fra il complesso militare-industriale e i neocon israeliti – due lobbies onnipotenti su Governo e Congresso –congiurano con la volontà americanista di «non cedere mai volontariamente la dominanza globale» nella conformazione di una mentalità che preferisce morire in un’apocalisse generale, che vedere altre nazioni al primo posto. Le continue brutali provocazioni contro Mosca in Ucraina e in Siria, lo scatenamento dei jihadisti armati e finanziati dagli USA, mostrano una chiara volontà di trascinare la Russia (e la Cina) verso l’irreparabile.
Mosca interpreta tutte le provocazioni, unite all’insediamento di missili in Polonia e ai preparativi americani di guerre stellari come «una dichiarazione di guerra non-ufficiale»; ha persino valutato la data in cui Washington può tentare il primo colpo atomico: il 2016. Non sotto Obama, ma sotto il nuovo presidente USA, che può essere Hillary clinton.
Questo può spiegare una strana battuta di Vladimir Putin durante l’intervista del 5 giugno scorso ai media francesi. Quando gli hanno ricordato che Hillary Clinton lo aveva paragonato ad Hitler, ha risposto: «Sapete, è preferibile non polemizzare con le donne. Madame Clinton non è stata mi troppo sottile nelle sue dichiarazioni... Ciò non ci ha impedito di incontrarla durante diversi eventi internazionali o di discutere normalmente. Penso che anche qui potremmo trovar un linguaggio comune». Poi, come pentendosi di essere stato poco cavalleresco, ha aggiunto: «Del resto, per una donna, la debolezza non è un grosso difetto...».
Ciò ha scatenato le prevedibili indignazioni nei media occidentali: ecco Putin, oltre che «omofobo», è anche «nemico delle donne»! La vetta inarrivabile della stupidità l’ha toccata Valerie Trierweiler – sì, proprio lei, l’ex prima signora dell’Eliseo, che Hollande ha cornificato per andare di nascosto con l’amante ulteriore, l’attrice Julie Gayet. Ebbene: cotanta personalità ha espresso il suo schifo via twitter, dichiarandosi «felice di non dover stringere la mano a Putin» (1). Magari è Putin che non ha voglia di stringere la mano a lei... ma ovviamente una simile escort stagionata non poteva cogliere il vero senso della notazione di Putin.
Questa sta nella metamorfosi che il Dipartimento di Stato ha subìto durante il quadriennio (2009-2013) in cui Hillary ha tenuto la massima poltrona. Una metamorfosi che un noto analista, J.P. Sottile, ha chiamato «la militarizzazione» del Ministero degli Esteri americano.
«Con sorpresa di molti, il Dipartimento di Stato è divenuti l’apparato più “falco” dell’Amministrazione Obama , superando il Pentagono che ha raccomandato moderazione quando il Dipartimento di Stato premeva per la guerra. Il mutamento risale al tempo in cui Hillary Clinton è stata segretaria». La signora ha lasciato dietro a sé delle «donne» sfegatate guerrafondaie – Victoria Nuland (2), Samantha Power, Susan Rice (a cui si è aggiunta la portavoce Jen Psaki) – delle erinni, attivissime nella sovversione internazionale e provocazione avventurista; sono essenzialmente loro ormai, più che il Pentagono, a gestire la guerra di nuova generazione per interposte milizie, «primavere arabe» e «rivoluzioni colorate» che hanno dato le belle prove in Libia , in Siria e adesso in Iraq; loro che armano i jihadisti e finanziano ed addestrano i neonazisti ucraini, loro che fanno passare l’interventismo bellicista come un «diritto di proteggere» (in sigla R2P).
Basterà ricordare l’Ambasciatore Chris Stevens, funzionario del Dipartimento di Stato, è stato trucidato a Bengasi l’11 settembre 2012 nel corso di una losca e mai chiarita «operazione» ordinatagli da Hillary, sembra una trattativa con tagliagole libici (da arruolare e spedire in Siria per instaurarvi la democrazia) per la distribuzione andata a male degli armamenti saccheggiati negli arsenali di Gheddafi. È stato dopo questo oscuro incidente, e per evitare un’inchiesta, che la Clinton ha dato le dimissioni dal ministero pochi mesi più tardi. Ma ha lasciato dietro a sé le sue erinni di fiducia, e – domani – può tornare: non più come ministra ma come Presidente degli Stati Uniti. Pronta ad aprire il dossier «Nuclear First Strike».
Del resto sul New York Times del 13 giugno è apparso uno studio, in cui l’economista Tyler Cowen teorizza che la bassa crescita economica è dovuta alla «mancanza di guerre importanti», alla «persistenza ed aspettativa di pace». Lo storico Ian Morris (docente a Stanford), ha scritto un libro in cui dimostra come la guerra sia il massimo motore del progresso: titolo, «War – What is Good For? Conflict and the Progress of Civilization from Primates to Robots». Kwasi Kwarteng, parlamentare britannico conservatore (di origini africane), ha scritto un saggio dal titolo «War and Gold: A 500-Year History of Empires, Adventures, and Debt» in cui sostiene che il bisogno di finanziare le guerre ha fatto sì che i Governi sviluppassero le istituzioni finanziarie e monetarie che hanno prodotto l’enorme sviluppo capitalistico dell’Occidente... insomma la creazione dell’opportuno stato d’animo collettivo viene alacremente perseguita: guerra sola igiene del mondo, con la guerra si guadagna, la pace fa male all’economia.
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1) Secondo le ultime notizie dei rotocalchi, l’inquilino che occupa l’Eliseo, la sede che fu di Da Gaulle, avrebbe lasciato la giovane amante e starebbe riannodando con la Tierweiler (detta Rotweiler dai giornalisti). La telenovela sta per farci conoscere nuove puntate.
2) La Nuland (Nudelman) ha ammesso pubblicamente di aver investito 5 miliardi di dollari nella destabilizzazione dell’Ucraina. Suo marito, Robert Kagan, è un neocon di primo piano: co-fondatore nel 1997 del «Project for a New American Century» (il think tank che auspicò «una nuova Pearl Harbor» per convincere gli americani ad un piano di costosissimo riarmo – auspicio avveratosi l’11 Settembre 2001), Kagan ha fondato nel 2009 il think tank successivo, «Foreign Policy Initiative», con lo stesso scopo: assicurare la dominazione e la superiorità militare globali per gli USA (e Israele). Kagan ha appena pubblicato un saggio, The World America Made: qui il neocon dettaglia la strategia di assedio della nuova Russia di Putin con sanzioni e accerchiamento NATO; raccomanda anche al futuro Governo USA di confrontare la potenza cinese in quanto violatrice dei diritti umani.
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