venerdì 20 febbraio 2009

Arturo Reghini




Arturo Reghini nacque a Firenze il 12 novembre 1878, da bambino lesse Pinocchio, ma sorprese i suoi per i calcoli a memoria e l' appartarsi in silenzio d' estate tra i grilli. Anche perciò, e perché cogli altri s' imbronciava, cresciuto fu mandato a studiare matematiche a Pisa. Qui i poliedri e le sfere diedero al suo pensiero quel libero fluire per cui, con la testa aperta come un nido di rondini, si persuase un bel giorno che il tutto universo era divino. E a Firenze scoprì nelle sezioni auree dei palazzi che pure i grandi del Rinascimento l' avevano capito. Uno zio lo erudì a diffidare del Vaticano, elogiando Giordano Bruno e le logge dei massoni che nel Settecento gli inglesi avevano per prime iniziato in Italia. Del resto anche il primo dei Lorena era affiliato. Il che almeno protesse un po' la memoria del paganesimo mediceo; e mantenne alla Toscana una certa tolleranza: qualche distacco dai preti e dalla noia. A Roma diciottenne fu ovviamente attratto dalla Teosofia della Signora Blavastsky, che non solo pretendeva di avere descritto le cosmogonie e i segreti dei più segreti maestri dell' India, ma aveva anche combattuto con Garibaldi. Nel 1902 tenne molto ad essere iniziato nell' ordine di Memphis e Misraim, secondo rituali egizi. Ma non gli parve che l' Italia fosse com' era ed è: un caotico Egitto reincarnato, non solo a Napoli. Si convinse invece che l' essenza dell' Italia e degli italiani era una Roma arcaica e mai morta, protetta da una sapienza primordiale che aveva emanato anche Pitagora. Era la stessa Roma che aveva infervorato Mazzini e il Risorgimento. E che non piaceva al Vaticano il quale con la bolla del 1738 del cieco Clemente XII scomunicava chiunque si affiliasse alla società dei massoni. Un anno dopo che era morto Gastone ultimo dei Medici. Peraltro dall' intreccio miserabile di favori e ripicche nel quale era decaduto il Grande Oriente il candido Reghini fu tra i pochi a non trarre vantaggio. Era la mattina professore di matematica nelle scuole superiori, per ritrovarsi puntuale ogni notte a rimirare come i pitagorici i numeri e le stelle. Gli parve ovvio che se uno era l' unità assoluta non poteva sommarsi a un altro uno. Scrivere uno più uno uguale due gli parve efferato: il due era semmai privazione dell' uno. Ma erano discorsi che poteva fare solo alla loggia Lucifero col suo amico Armentano. Era costui un musicista capace di misteri non troppo diversi da quelli che resero poi famoso Rol. Reghini ed altri stravaganti presero a ritirarsi con lui in una torre costiera in Calabria. Fu in quegli anni che il nostro più si cimentò, persuaso di poter divenire la musica che dà forma a una pianta o una pietra o il respiro di un angelo. Ma si sentiva un romano arcaico e perciò fu interventista. Nel 1913 compì strani riti per la vittoria nella guerra che sentiva prossima. L' anno dopo scrisse un articolo, "Imperialismo pagano", avversando tra l' altro il suffragio universale, che favoriva solo cattolici e socialisti. A guerra vinta col Grande Oriente sostenne pure l' impresa di Fiume. E il 23 marzo del 1919, quando fu fondato a Piazza San Sepolcro il primo fascio di combattimento, era il giorno in cui cadeva la festa romana del Tubilustrium o consacrazione delle trombe di guerra. Si persuase che Benito Mussolini era il tribuno che sarebbe riuscito a divenire console d' Italia. Ma nel 1923 il partito fascista disse che l' affiliazione massonica incompatibile con l' appartenenza al partito fascista. Reghini vide in ciò il lavorio dei gesuiti e del fratello cattolico del duce. Protestò che Roma era pagana. Ma nel 1926 ad Arnaldo Mussolini arrivò la delazione che il nostro faceva propaganda per il divorzio. In effetti faceva di peggio: coi seguaci di Steiner, il giovane Evola, Ciro Alvi e altri eretici, fondava riviste sulle tecniche ascetiche più proprie in Occidente. Fu esecrato non solo dalla Civiltà Cattolica, anche dal causidico assistente degli universitari cattolici: G.B. Montini. Ma Reghini era anche toscano, dunque incline al litigio greve: e si litiga meglio con quelli che si credevano amici. Perciò litigò col barone Julius Evola, tentò di farlo fuori da una rivista; poi gli rimproverò di avergli copiato il titolo e il senso di "Imperialismo pagano". Ma l' 11 febbraio ' 29 Mussolini firmò pure il Concordato: per chi era pitagorico e mazziniano, fu il gesto più esecrabile. Si ritrovò sorvegliato speciale della polizia politica fascista, scomunicato dai gesuiti e denunciato da Evola. Costui italiano, dunque fedele anzitutto agli odi fraterni, il 3 marzo 1929 denunciò il "massone Reghini" che "pretende di insegnare al fascismo la romanità... ". Concludendo che per lui "l' aria più propizia non è quella del continente: è invece quella delle isole ove il Reghini invece di insegnare a Roma ... in una pubblica scuola (caso di cecità degli organi di controllo?) si troverebbe più a suo agio". Una meschinità che complicò la vita del nostro pitagorico. Si ritirò a studiare dei teoremi che coi poliedri dimostravano il teorema di Pitagora, meglio di Euclide. Reghini era piccolino con la fronte diritta e le labbra pronunciate, occhi grandi e naso piccolo in un viso da tenace, i capelli all' indietro. Morì tra i numeri pitagorici seduto nel suo studio guardando il sole in una villa fuori Bologna nel luglio 1946. Gli sarebbe piaciuto Ariosto, Orlando furioso, canto XVII, 76: "E pur per dar travaglio alla meschina lasci la prima tua sì bella impresa. O d'ogni vizio fetida sentina dormi Italia imbriaca... ".

Geminello Alvi
Corriere della Sera, 18 agosto 2003

Dopo i Patti Lateranensi Reghini si "ritira" e morirà a Budrio, dove è sepolto.
Quell'Evola ha bisticciato con tutti, molto anzi troppo carico di se stesso. Ma Reghini era tutto altro personaggio, schivo, con una mente lucida lontana dai clamori, tesa verso la Conoscenza di una massoneria che non ne resterà traccia, ma tutt'ora viva.

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