venerdì 11 ottobre 2019

I pagani colorati


I Kafiri dell'Hindukush
"Infedeli e nemici di Dio - Allah". Per questo una tra le più piccole e combattive popolazioni della terra é chiamata "Kafir". Un insulto e una minaccia che é rivolta ai "pagani" e a chi é colpevole di blasfemia contro l'Islam. Ma i mille Kafiri, che sopravvivono in un eden alpestre tra i labirinti rocciosi dell'Hindukush, mai domati e mai islamizzati, si autoproclamano "Kalash". Uomini liberi. Dell'antico e leggendario regno del Kafiristan non rimangono oggi che tre valli nell'alto Chitral pachistano: Rumboor, Bumburate, Birir. Piene di pini, querce, noci. Gonfie di acque. La loro esistenza é un rebus antropologico, un miracolo di sopravvivenza in un ambiente estremo e unico esempio di vittoriosa etnoresistenza contro i disegni della teocrazia militar religiosa che regge il Pakistan. Il Pakistan, prima potenza nucleare dell'Islam, conta un 97% di musulmani e solo un 3% di "Kafiri". Tra questi ci sono i Parsi, ultimi superstiti della potente comunità zoroastriana, e i cattolici sempre più perseguitati.
I Kafiri kalash si proclamano anche "ultimi greci dell'India": sostengono di discendere dagli eroi dell'invincibile armata di Alessandro il Grande che nel 326 a.C. attraversa il Kafiristan per conquistare l'India. Nei "bashikek" - i loro canti epici - ricordano come sperma greco e magie di fate - le "suchi - hanno originato montanari biondi dagli occhi azzurri. Che coltivano la vite, bevono vino, celebrano riti orgiastici e dionisiaci dove le belle kafire danzano come vere baccanti. Gli antropologi che li hanno studiati ci dicono che la loro storia inizia quattromila anni fa con le migrazioni dei popoli indo-ariani attraverso le valli dell'Oxus e l'Amu Daria. L'antica patria kafira poteva trovarsi forse tra le oasi rigogliose dell'odierno Turkestan o tra i pascoli e le foreste che circondavano il Mar Caspio.
. Oggi anche il Kafiristan é una terra "violata" da strade militari con "dogane" che ti costringono a pagare un biglietto d'ingresso per entrare in valle a vedere i "pagani". Come fossi ad un museo o ad uno zoo. Le belle foreste di pini e ginepri, da sempre terreno kafiro di caccia e di legnatico, sono state confiscate dal governo. E i fondo valle svenduti ai coloni pachistani che hanno invaso le valli.
I nuovi arrivati sono furbamente usati come muro umano per arginare l'ondata di afgani in fuga attraverso le valli kafire. Oggi i profughi afgani accolti in Pakistan sono quasi un milione. terrorismo islamico
Gli antropologi avevano profanato le "basciali", templi e ginecei riservati alle donne che conservano la vulva lignea di Dezalik, la dea del Parto. Entrando, fotografando e misurando tutto, avevano costretto i Kafiri a demolire questi spazi magici e a riconsacrarne dei nuovi con costosi rituali di purificazione. Gli "studiosi" avevano rubato i "gandau" per rinchiuderli nei loro musei. Avevano così distrutto anche una "frontiera" magica: i gandau sono statue lignee che raffigurano gli antenati usate per proteggere i villaggi, i campi e i cimiteri. Di notte giravano bande di fanatici mussulmani che li decapitavano: per loro erano "idoli demoniaci".
Oggi i kafiri vivono sempre più stretti nei loro nidi d'aquila abbarbicati a mezza montagna, collegati da sentierini che costeggiano acquedotti pensili. I villaggi presepe sono rimasti come centinaia d'anni fa. Raccolti intorno ai templi - le Jesta Khan - dove si venera Jesta, l'energia materna che conserva il mondo. Il tempio kafiro é un mandala - un cosmogramma - e una "macchina del tempo". Nelle giornate di sole dal tetto bucato scende un filo di luce diaframmata da travi sovrapposte a spirale. È un complicato orologio solare: nel giorno del solstizio d'inverno il raggio di luce "bacia" la statua di Jestak e fa esplodere la gran festa del "Chaumos". La geomanzia kafira attribuisce ai luoghi più alti un'aura di potere e sacralità. Le valli sono così "disegnate" da curve di livello energetiche e spirituali. Le terre basse, vicino al fiume e "occupate" dai musulmani, sono sempre di più impure e pericolose.
ui da sempre i Kafiri hanno i loro cimiteri con le casse di legno fuori terra "sigillate" da enormi pietroni. E le basciali, le case del parto. A mezza montagna é edificato il villaggio a gradoni e in cima le stalle delle capre che ogni tanto accolgono le "suchi", le fate che incarnano la forza fecondante di madre Natura. Più su enormi macigni irradiano invece la forza maschia e solare di Mahandeo e di Balumain. Le fate kafire risiedono nelle terre purissime delle vette. Proteggono i "markor" gli stambecchi, i "dehar" - gli sciamani - i "re" pastori e tutta la natura nuda e selvaggia dell'alta montagna. Le vette sacre sono un luogo tabù. Niente scalate! Sarebbe una vera profanazione ascendere la scintillante piramide del monte Palar, dove risiedono dei e antenati in palazzi d'oro che si vedono ogni tanto luccicare al sole. Morte e follia castiga chi "offende" madre natura inquinando acque sorgive, tagliando alberi fratello o assassinando animali guida. Il mondo kafiro é così diviso tra sacro e profano, puro e impuro. Tutto quello che é alto e selvaggio - monti, animali selvatici ma anche capre e stalle - é "puro", mentre tutto quello che é in basso, non é libero ed é stato addomesticato - fondo valli ma anche vacche e polli - é invece "impuro". I kafiri appartengono a una "cultura caprina", che predica il nomadismo, la sacralità della wilderness e del caprone totem, in netto contrasto con i popoli contadini e sedentari dell'India che appartengono invece alla "cultura della vacca sacra". La capra é un vero tesoro. Il potere di un uomo kafiro si misura dal numero delle sue capre ed i "re" - i capo villaggio - sono onorati col titolo di "uomini dalle molte corna".

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