C'è in Italia una curiosa credenza che stenta a sparire essendo radicatissima sia nella tradizione popolare che in quella dotta, piuttosto diffusa in tutto il territorio nazionale e ben oltre. Si tratta della figura dell'Uomo Selvatico, ovvero omo salvatico com'è conosciuto nella letteratura e nella saga popolare.



Carlo Lapucci

IL DEPOSITARIO DI UN'ANTICA SAPIENZA: L'UOMO SELVATICO


Stralcio da un articolo pubblicato su Abstracta n° 26, Stile Regina editrice ( maggio 1988)




Immagine tratta da Art profane et religion populaire au moyen àge
C. Gaignebet e J. D. Lajoux (P.U.F., Parigi 1985



Ni dialetti l'Uomo Selvatico assume nomi diversi: nel Trentino è detto Om PelosOmo Salvadego in Valtellina; Ommo Sarvadzo in Val d'Aosta; Om Salvadegh in Val Pusteria; Wilde Mann nel Tirolo... Come conserva in genere la sostanza del nome, così mantiene di solito anche i connotati fondamentali che variano di poco da tradizione a tradizione, tranne forse il fatto che in alcune leggende delle Alpi (1) diviene feroce e sanguinario, cosa che resta estranea alla maggior parte delle credenze dove si vuole questa strana creatura mite e pacifica, talvolta timida e scontrosa (2). Oltre al fatto di vivere nei boschi e apparire raramente in mezzo agli uomini, vestito d'indumenti rozzi e primitivi, l'Uomo Selvatico è conosciuto universalmente per una particolarità che non risulta appartenere ad altri che a lui, al contrario di quanto spesso avviene per le figure fantastiche popolari: egli infatti ha la strana prerogativa di rallegrarsi quando piove e di rattristarsi fino a piangere quando è bel tempo, per la stravagante considerazione (3) che se c'è il sole si deve prevedere che dovrà poi venire la pioggia e, se piove, prima o poi dovrà venire il sole...La credenza si trova già nel Dittamondo (4) di Fazio degli Uberti (morto, forse a Verona, dopo il 1368), dove si legge (V, 25): Come si allegra e canta l'uom salvatico quando il maltempo e tempestoso vede, sperando nello buono, ond'egli è pratico...
Se non si riferisse a una figura così antica, misteriosa e conosciuta, questa notazione potrebbe essere considerata come una divertente curiosità; ma in questo caso il fatto merita una più seria considerazione. Infatti non è da escludere che si nascondano, dietro la banale diceria, antichissimi rituali di previsione o propiziazione del tempo, ovvero operazioni scaramantiche, collegate ad altre diffuse credenze popolari, secondo le quali non è bene rallegrarsi troppo del benessere e della buona sorte perché ciò provoca l'invidia, se non la vendetta, di chi governa il destino. […]

L'uomo delle selve presenta elementi sui quali sono concordi le varie tradizioni locali. L'aspetto ad esempio non è affatto orripilante: non è giovanissimo, ma nemmeno vecchio, è coperto di pelo, in genere fulvo, tranne le mani e il viso, che è un po' caprino; talvolta calza grosse scarpe di corteccia d'albero, è vestito in genere di pelli, cammina un po' goffamente appoggiandosi a un bastone che ha una parentela molto stretta con la clava (4). Le apparizioni dell'uomo dei boschi sono rare, ma preziose per chi lo incontra: sembra, più che uno strano eremita, il depositario d'una sapienza antica, che comunica a chi lo accoglie amichevolmente. Ha infatti insegnato agli uomini a fare dal latte il burro e il formaggio (5), a usare la cera delle api per fare le candele, a innestare le piante e a usare tanti altri accorgimenti.
Qualcosa farebbe pensare che sia uscito fortunosamente da una civiltà superiore: unisce infatti a queste conoscenze un grande disinteresse per i beni e il denaro: fugge via non appena gli uomini, accortisi delle sue capacità, cercano di sfruttarlo. Allora è inutile richiamarlo, promettendo e scongiurando. Questo distacco, unito alla semplicità e alla sapienza, ha fatto pensare all'uomo dell'età dell'oro che i poeti come Lucrezio e Ovidio descrivono come saggio, misurato e semplice, vestito di pelli, senza egoismo né vizi. Non è da escludere che in questa figura si nasconda l'immagine dell'uomo rimasto fuori dalla civiltà, rifiutando vantaggi e comportamenti di nuove culture e conservando una sorta di primitiva gentilezza, unita a qualcosa che potrebbe definirsi nobiltà d'animo. Interessante a questo proposito l'identificazione che è stata fatta tra il Selvatico ed elementi, fantastici o reali, che vivono appartati dalla società, come il dio Pan, l'eremita, il carbonaio (6), l'Orco.

Uno dei poemi più antichi dell'umanità ci fornisce, nella linea di questa interpretazione, un prototipo dell'uomo dei boschi della tradizione babilonese e assira. Nell'Epopea dì Gilgames (7) si trova appunto Enkidu, il compagno dell'eroe principale, che vive fuori della piccola cittadella di cui è signore Gilgames. Enkidu «... non conosce né la gente né il paese, è vestito d'un abito come Sumuqan. / Assieme alle gazzelle egli mangia le erbe, / assieme al bestiame accorre ai luoghi di abbeverata, / assieme al brulicame si compiace dell'acqua...» (Tavola I, Colonna II). Ha dichiarato guerra a chi vive nella comunità: strappa le tagliole e libera gli animali, riempie i pozzi che sono stati scavati... Gilgames riuscirà a trarlo nella sua alleanza solo mediante i buoni uffici d'una donna che lo fa innamorare e, abbandonati i suoi antichi modi di vita, Enkidu perde la sua comunione naturale con gli animali e le piante e parte con l'amico per grandi imprese.
Anche l'Uomo Selvatico ha un lato debole; nelle zone alpine (8) la tradizione si arricchisce d'un particolare altrove sconosciuto: vivendo solitario in una grotta, che spesso diviene un toponimo del tipo Grotta dell'Uomo Selvatico, talvolta si avvicina alle abitazioni e rapisce una ragazza portandola a vivere nel suo abituro. I pastori, quando scoprono il ratto, organizzano battute per liberare la giovane che il Selvatico restituisce, ma addolorato abbandona subito il luogo per non farsi più rivedere. […]



Uomo selvatico del Castello di Rodengo (Bressanone)


Non meraviglia trovare, dati i suoi precedenti, l'Uomo Selvatico come un modello, uno strumento polemico, un punto di riferimento nella polemica contro i mali derivanti dalla vita sociale, dallo stato di cultura, dalla civiltà e il progresso. Il pensiero corre immediatamente alle favole dell'età dell'oro e al buon selvaggio degli illuministi. Nella tradizione popolare tuttavia questa figura non sembra avere ambizioni d'incarnare una qualche protesta o contestazione dell'ordine civile. L'Uomo Selvatico si presenta, nei suoi singolari comportamenti, come un «filosofo», così come s'intende questo tipo umano nel linguaggio della strada. Quando, in particolare una volta, si definiva una persona come «filosofo», s'intendeva rifarsi a un modello non molto lontano dall'antico Diogene. Ancora ci si riferisce a qualcuno «troppo intelligente» per vivere una vita normale: la sua ragione, avendo sopraffatto il buon senso, non gli permette di vedere i termini reali dei problemi per cui almanacca e astrologa cose ai più incomprensibili e vive tormentato dalle sue chimere e dalle sue fissazioni, isolato, poco amico del sapone e del barbiere, dicendo tuttavia, ogni tanto, delle grandi verità. Si rintraccia, se mai, nei comportamenti che vengono attribuiti al Selvatico una certa nostalgia per la semplicità e la naturale bontà d'un passato remoto del genere umano, nonché la diffidenza verso i mutamenti che il tempo impone nella vita sociale.
Il mondo tradizionale ha un'idea della storia diametralmente opposta a quella generale del nostro tempo: Hegel è passato invano e perdura ancora il paganesimo sopravvissuto ai secoli, al cristianesimo e che arriverà a distruggere forse soltanto l'epoca industriale.
Invece d'un progresso senza limiti, continuo e inarrestabile, gli antichi vedevano nella storia una generale e continua degenerazione dell'umanità, a dispetto di ogni progresso tecnologico: dall'età dell'oro passando per quella dell'argento e del ferro e gli uomini si sarebbero fatti sempre più falsi e maligni.
La visione pagana del mondo è rimasta in modo consistente nel fondo della tradizione popolare e soprattutto in quella contadina. In un'infinità di particolari, di comportamenti, di credenze, riaffiorano i tratti d'un pensiero antico: dietro il culto dei santi appaiono i tratti degli antichi dèi; riti magici e streghe sono rimasti quelli che si trovavano descritti in Orazio (9); le credenze e le superstizioni si ritrovano nei testi classici a cominciare dalla Naturalìs Hìstoria (18) di Plinio il Vecchio.
L'Uomo Selvatico, pur restando nei boschi e pur mantenendo la sua vita misteriosa, è divenuto una figura familiare nei detti e nelle storie: non molti anni fa era facile trovare persone che giuravano d'averlo visto e d'averci parlato. In molte zone si usava addirittura durante la vendemmia, la raccolta delle noci e dei frutti, lasciare sulle piante qualcosa che gli servisse di nutrimento nel periodo invernale (10).
Rarissime le apparizioni delle donne che non possono essere considerate come compagne dell'uomo dei boschi che mai è stato visto con una di loro. Del resto, in questo caso, che bisogno avrebbe avuto di rapire le fanciulle, con le quali peraltro pare che si comporti con gentilezza e umanità?
Il tratto che più lo distingue è certamente l'originalità, la pervicacia nell'inseguire uno schema antico di vita, nel fuggire l'artificiosità e la convenzione, riproducendo lo schema del vecchio refrattario alle novità, innamorato dei tempi andati, depositario d'una antica esperienza, segnato da una scontrosa e ringhiosa benevolenza.


NOTE

(1) Cfr.: G. Sebesta, Fiaba — Leggenda nell'alta valle del Fersina, S. Michele all'Adige 1973. Talvolta è difficile ascrivere una figura fantastica a una tipologia come in questo caso il Patau. Comunque non sono infrequenti i casi in cui i contornì del Selvatico sfumano e appaiono quelli dell'Orco, del demonio, del cacciatore feroce. Tale è anche quello descritto in Ugo Baldesi, Sulle tracce dell'omoselvatico; in AR - Notiziario turistico, Arezzo, marzo-aprile 1987, nn. 125-126.
(2) V.: G. Sebesta, cit. e L. Merci, Le più belle leggende dell'Alto Adige, Trento 1984. Questa caratteristica è comunemente attribuita al Selvatico anche nel Centro Italia.
(3) Anche questo è un altro elemento costante, direi distintivo di questa figura. A chi si rallegra per qualche notizia spiacevole si usa dire: «Fai come l'Uomo Selvatico?». V.: AA.VV., Guida ai misteri e segreti di Firenze e della Toscana, Sugar, Milano, s.i.d.
(4) Riferiamo quello che riportano più comunemente le tradizioni che sembrano collegare questa figura al mondo pastorale e quindi con indosso pelli di capra o di pecora. V. : AA. VV., Guida alla Lombardia misteriosa, Sugar, Milano 1968.
(5) Anche questo particolare costituisce un elemento fondamentale della figura universalmente attribuitole; cfr.: G. Giannini, Leggende popolari lucchesi in: Archivio per lo studio delle tradizioni popolari italiane, VII, 1888, p. 491; G. Plazio, La cera, il latte, l'uomo dei boschi. Mitologìa e realtà sociale in una comunità prealpina, Giappichelli Ed., Torino 1979
(6) C. Rosati suggerisce l'identificazione del Selvatico con la figura del carbonaio in ambiente toscano facendo interessanti considerazioni. V.: C. Rosati, [/i]Il carbonaio. Un uomo nero per l'immaginano collettivo[/i], in: L'Uomo Selvatico in Italia, Museo Nazionale delle arti e tradizioni popolari, ottobre-novembre 1986.
(7) Miti babilonesi e assiri, a cura di G. Furlani, Sansoni, Firenze 1958.
(8) U. Cordier, Guida ai draghi e ai mostri in Italia, Sugar, Milano 1986; AA. VV., Guida ai misteri e segreti di Torino e del Piemonte, Sugar, Milano 1970
(9) Orazio, Satire, a cura di Mario Ramous, Garzanti, Milano 1987. 
(10) U. Cordier, Guida ai draghi... cit. Ootto: l'uomo delle foreste (G. Gesner, Leones anumaliumi quadrupedum, vivi parorum et oviparorum, Froschoverus, Tiguri 1560).


Carlo Lapucci – Articolo pubblicato su Abstracta n° 26, Stile Regina editrice ( maggio 1988)