La storia. Calalzo il santuario celtico paleoveneto e le terme
Noi dimentichiamo. Uno dei peggiori difetti del nostro popolo è quello di dimenticare: di non essere capace di soffermarsi a considerare il proprio passato, recente o remoto che sia, perché distratto dall’affannoso presente. Mentre il presente ricapitola il passato e ne riceve spiegazione e conferma. Invece, noi siamo inclini a trascorrere accanto alla nostra storia, come passeggeri sovrappensiero. Fermiamoci, qualche volta: ed avremo la possibilità di contemplare le meraviglie che precedettero quest’epoca di grigiore e di fanfaluche.
Andate a Calalzo, per esempio: sarebbe località degna comunque di visita per la sua intrinseca piacevolezza, ai piedi del gigante Antelao, lambita dal celebre lago, che è tanto bello in tutte le stagioni. Ma Calalzo nasconde anche un mistero: una bellezza antichissima, che pochi fortunati conoscono e che ci parla di un passato estraneo alle rotte abituali della storia. Perché a Lagole di Calalzo, a pochi passi dal lago, sorge una collinetta boscosa, che nasconde un sito di straordinario fascino e di formidabile importanza archeostorica: un santuario celta paleoveneto, dedicato ad un
culto lustrale. Perchè il santuario è, in realtà, una bellissima sorgente termale solforosa, da cui scaturiscono acque salutifere, che striano la pietra di ruggini e formano polle in cui ancora oggi è possibile bagnarsi: un luogo straordinario e pieno di una poesia senza tempo, che ha restituito stupendi reperti votivi, statuette, spade, monili, che coprono un arco che va dal III° secolo a.C. al IV d.C., quando l’originario culto veneto, forse di tipo guerriero o legato alla fecondità femminile, era da tempo stato sostituito da quello di Apollo.
culto lustrale. Perchè il santuario è, in realtà, una bellissima sorgente termale solforosa, da cui scaturiscono acque salutifere, che striano la pietra di ruggini e formano polle in cui ancora oggi è possibile bagnarsi: un luogo straordinario e pieno di una poesia senza tempo, che ha restituito stupendi reperti votivi, statuette, spade, monili, che coprono un arco che va dal III° secolo a.C. al IV d.C., quando l’originario culto veneto, forse di tipo guerriero o legato alla fecondità femminile, era da tempo stato sostituito da quello di Apollo.
Da questo piccolo gioiello, nascosto tra gli alberi di Lagole, emana ancora un senso di sacro e di mistero, legato anche alla tradizione delle “Anguane”, creature acquatiche del mito dolomitico, la cui credenza arriva quasi ai nostri giorni. Dunque, se una volta si esortavano gli Italiani alle storie, oggi è lecito esortarli alla memoria: memoria dei luoghi e delle cose, dei manufatti e delle impronte che i nostri antenati hanno impresso, ahimè delebilmente, nella nostra terra.
Calalzo trattiene e protegge uno scampolo importante di questa memoria, che merita, certamente una deviazione, una sosta, una riflessione: perché questa memoria non muoia per sempre.
A cura di Marco Cimmin
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