Lombroso e il brigante
AU AURELIO MUSI
Se Se Terroni di Pino Aprile è diventato il testo cult di tutti i circoli neoborbonici, la loro Bibbia di riferimento, Lombroso e il brigante dell'antropologa Maria Teresa Milicia sta affermandosi come il bersaglio preferito dagli stessi gruppi. Esso infatti è ritenuto il concentrato dell'antimeridionalismo razzista, capace di scatenare l'ira funesta di chi difende l'identità del Sud contro i colonizzatori e gli sfruttatori del Nord. Naturalmente in questo come in altri casi il libro non è stato mai letto e compreso nei suoi contenuti da chi lo agita come un simbolo e una bandiera da combattere. E il cranio del presunto brigante Villella, studiato da Cesare Lombroso per formulare le sue teorie di antropologia criminale, diventa così un “cranio conteso”, come recita il sottotitolo del libro. L'inaugurazione nel 2009 del museo torinese “Cesare Lombroso”, che conserva il cranio di Villella, ha provocato la resurrezione mediatica del brigante. Oggi è diventato un personaggio mitico, il totem della lotta contro il razzismo antimeridionale, simbolo del riscatto delle popolazioni native del Regno delle Due Sicilie.
L'opera della Milicia viene discussa martedì a Napoli alla facoltà di lettere della “Federico II” (Aula Piovani, via Porta di Massa 1, ore 16): e si spera che questa possa essere non un'occasione di conflitto ideologico o, peggio, una contesa per la riconquista del cranio, ma uno stimolo a capire un pezzo importante della cultura italiana del secondo Ottocento.
Sono particolarmente interessanti il metodo e la scrittura di questo libro. La Milicia adotta un procedimento indiziario per ricostruire la biografia di Villella. Utilizzando varie fonti, viene fatta luce sulla data di nascita del personaggio, nativo di Motta Santa Lucia in Calabria e viene smentita la sua qualifica di brigante. I documenti presentati dalla Milicia fanno riferimento ad un “pecoraro” Giuseppe Villella, la cui presunta “vita criminale” è tutta identificata in un unico episodio di furto. Ma in realtà la storia di Villella è un pre-testo: nel senso che all'autrice sta a cuore soprattutto entrare nel laboratorio di Cesare Lombroso e ricostruire il contesto della sua antropologia criminale. Attraverso un procedimento di scrittura, che potremmo definire stratigrafico, la Milicia mette in relazione la “communis opinio” della scienza del tempo con le scoperte di Lombroso. Sull'onda dell'evoluzionismo darwiniano, la concezione diffusa è quella in base alla quale la partenogenesi, cioè la storia biologica individuale, ricapitola la filogenesi, cioè l'evoluzione della specie. Dalla cronologia degli scritti di Lombroso sappiamo che proprio attraverso l'esame del cranio di Villella, egli elabora la nozione di “arresto di sviluppo”, per approdare quindi successivamente alla teoria dell'atavismo del criminale, esposta nel saggio L'uomo delinquente del 1876. Si tratta di un percorso coerente in linea con la teoria evolutiva della ricapitolazione, il paradigma scientifico più influente del secolo. Tuttavia la Milicia riconosce l'errore di Lombroso: “il riconoscimento scientifico della malvagità bestiale della natura umana; il peccato originale, atto di disobbedienza volontaria della creatura divina, lasciava il posto all'istinto naturale, la ferocia incolpevole della bestia. Nella teoria dell'atavismo del criminale la relazione analogica tra l'uomo malvagio e la bestia si trasforma in relazione ontologica; il criminale non è feroce come una bestia, è una bestia feroce. Tale identificazione profonda autorizza a incorporare tutte le serie misurabili di variabilità anatomica e interpretarle come anomalie. Finalmente la scienza aveva scoperto le leggi del modello perfetto del disordine: l'uomo criminale” (p. 73).
Alcuni anni dopo Niceforo si spinge oltre: atavismo e razza, egli sostiene, sono le vere ragioni dell'inferiorità meridionale e la discendenza africana è all'origine dell'inferiorità morale di queste popolazioni. Così la questione entra nel dibattito meridionalista e coinvolge anche Napoleone Colajanni.
Questo è il contesto. Ed è merito della Milicia averlo illuminato con solide argomentazioni. Il resto fa parte dell'uso politico degli stereotipi: tutt'altra storia, sicuramente anch'essa interessante. Ma la ricerca scientifica serve proprio a demolire gli stereotipi.
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