sabato 8 settembre 2018

Manifesto Blanco di Lucio Fontana

MANIFESTO BLANCO cfr SPAZIALISMO
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Nel ´Manifiesto Blanco´, redatto da Lucio Fontana, in Argentina nel 1946, era espressa una nuova concezione dello spazio che teneva conto per la prima volta delle conquiste della scienza con le quali l´artista stesso era chiamato ad interagire attingendo a nuovi strumenti e metodologie, senza l´enfasi che era stata tipica dei Futuristi. Lo Spazialismo è elaborato a Milano in cinque manifesti: del 1947 è il Primo manifesto, firmato da Fontana, Kaisserlian, Joppolo, Milena Milani; Seguono manifesti che radunano, di volta in volta, gruppi d´artisti tra i quali Ambrosini, Bergolli, Buzzi, Capogrossi, Cardazzo, Carozzi, Roberto Crippa, De Luigi, De Toffoli, Donati, Dova, Giancarozzi, Giani, Guidi, Matta, Morandis, Morucchio, Peverelli, Scanavino, Serpan, Tancredi, Tullier, Vianello. Del 1948 il Secondo manifesto, del 1950 la ´Proposta per un regolamento´; in occasione della IX Triennale di Milano si esprimeva col Quarto manifesto, 1951, la lucida coscienza dell´agire nello spazio e del provocare, con ogni azione, uno spazio; del 1952 è il Manifesto del Movimento Spaziale per la Televisione: impiegando per la prima volta il nuovo strumento di comunicazione ne sottolineava l´importanza ai fini della diffusione dell´informazione sulla ricerca artistica. Sulle tesi dello Spazialismo si innestarono le attività di vari movimenti come ´Groupe-espace´ in Francia, come il Nuclearismo di Baj e Dangelo, le ricerche di Neoconcretismo, a partire dalla scelta di Fontana per la monocromia dei campi, e di arte programmata (è Fontana che presenta nel 1961 il Gruppo T). Le ricerche di Fontana, già attivo fin dagli anni ´30 tra i primi astrattisti, sosterranno puntualmente il movimento lungo tutto l´arco della sua crescita con la continua proposta di segni, gesti e interventi di inequivocabile novità e genialità, in netta opposizione a tutti i canoni tradizionali della pittura e della scultura, e soprattutto con il campo il cui si esprime l´opera, di cui viene oltrepassata sia la superficie sia la relazione con l´ambiente, nel senso prettamente fisico e nel senso dell´interazione tra spazio e luce. Allo straordinario vitalismo che sottende ogni proposte dell´artista fa da contraltare una sorta di silenzio, un senso metafisico dell´assenza che promana da ogni sua opera. I materiali verificano, da parte di Fontana, l´innesto di cementi colorati fin dalle prime prove astratte, l´impiego di lampade di Wood e di tubi al neon nei vari ´ambienti spaziali´ allestiti a partire dal 1949. La scultura ceramica vede strutturazioni plastiche composite a partire da tracce disegnative di inedita libertà, per le quali era stato invocato il temine di ´barocco´. Il segno registra l´automatismo della spirale. Il rapporto col gesto della pittura è sconvolto dai colpi inferti alla tela nei ´concetti spaziali´, dai primi anni cinquanta con i ´buchi´, dagli ultimi anni cinquanta con i ´tagli´ che dalla tela passano all´argilla, condotti nelle forme sferiche chiamate ´nature´. In ogni caso, il gesto provoca l´abbattimento di una barriera, di un diaframma, annullando le opposizioni davanti\dietro, interno\esterno, tutte le dimensioni dello spazio incluso il tempo, in favore non solo di una nuova fusione tra pittura, scultura e architettura, ma di una propugnata totalità che inglobi opera, ambiente e azione. L´appoggio critico di Giampiero Giani e della galleria del Naviglio di Cardazzo a Milano garantiranno fin dai primi anni ´50 diffusione delle tesi del

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