giovedì 3 maggio 2018

Il culto di Iside (e del toro) rinasce nel rinascimento in Vaticano nelle stanze Borgia

Iside resuscitata. Note sull’immaginario isiaco fra Medioevo e Rinascimento.

   Signora assoluta del Mediterraneo negli ultimi secoli del mondo antico Iside aveva visto il suo culto estendersi dalle foreste della Britannia come ai deserti africani, dalle spiagge atlantiche della Lusitania alle steppe dei sarmati. Poi il tracollo dell’oikuomene greco-romana aveva travolto anche la grande Madre, temporaneamente sepolta dal montare del cristianesimo e dalle orde germaniche che insieme si contendevano le ultime macerie della civiltà classica.
   Neppure quei secoli oscuri riuscivano però a travolgere totalmente la gloria di Iside. Se il suo nome e il suo culto giacevano dimenticati le sue immagini si trovavano un nuovo spazio nelle Chiese della nuova fede vincitrice ela Deariceveva le preghiere di tanti devoti convinti di venerare in quell’immagine maternala Mariadel Vangeli. Così nella chiesa di Sant’Orsola a Colonia edificata alla fine dell’XI secolo in cui la statua della Dea era al centro della navata centrale; in quella pisana di San Felice (XI secolo) in cui sono riutilizzati capitelli del III d.C. con immagini Arpocrate, Serapide, Iside e Cerere; ad Hissoire dove viene riutilizzato un ciclo di capitelli illustranti i cicli naturali legati alla vicenda di Horus-Osiride o i rilievi isiaci dell’Ottagono di Montmorillon dovela Deaè rappresentata in atto di allattare dei serpenti.
   I primi sentori di una nuova era quanto il medioevo comincia a declinare nell’Umanesimo e in quello che sarà il Rinascimento si accompagnano all’immediata rinascita degli interessi isiaci. Il primo segno dei nuovi tempi è la narrazione del mito di Iside-Io nel “De claris mulieribus” di Boccaccio accompagnato da miniature in cui la Dea appare come un’aristocratica del tempo (Parigi, Bibliothéque Nationale, ms. fr. 598) cui seguirà il racconto nella “Cité du dame” di Christine de Pisan. Il testo della scrittrice italo-francese – e le miniature che l’accompagnano – mostrano un particolare interesse per la riflessione filosofica che le accompagna: Iside viene raffigurata intenta ad innestare erbe e piante – allegoria dell’Immacolata Concezione – mentre sullo sfondo pendono due impiccati che evocano il ruolo della Dea come datrice di leggi (Parigi, Bibliothéque Nationale, ms. fr. 606).
   I primi zefiri di un tempo nuovo che sembrano spirare dalle opere di Boccaccio e della Pisan fioriscono pienamente con la grande stagione dell’Umanesimo fiorentino. La traduzione latina del “Pimandro” e i “Tredici opuscoli ermetici” da parte di Marsilio Ficino (1463) e il definitivo sdoganamento del “De Iside et Osiride” di Plutarco – conosciuto fin dal XIII secolo ma sistematicamente confinato dalla cultura cristiana per l’esplicita condanna dell’evemerismo – segnano un punto di svolta nel campo della riscoperta delle religioni antiche e soprattutto sanciscono la definitiva resurrezione di Iside dall’oblio in cui era caduta nel medioevo. Nell’ambiente platonizzante della Firenze laurenziana l’interesse per le fonti tardo antiche come Giamblico, Plotino e Porfirio nonché per testi esoterici come gli “Oracoli Caldaici” e l’opera di Michele Psello crea un ambiente particolarmente propizio per la speculazione filosofica e per la creazione letteraria sul tema come attestano precocemente le “Miscellanee” di Agnolo Poliziano in cui un capitolo è dedicato ad Arpocrate. L’opera polizianea rimanda ai misteri del mondo egizio e ai significati simboli di Arpocrate come Dio del silenzio. Fonte principale di Poliziano è il trattato di Plutarco segno evidente della cesura fra medioevo e rinascimento.
  Il segno più evidente della resurrezione isiaca nel XV secolo compare quasi per nemesi storica nelle stesse stanze vaticane. Tra il 1492 e il 1494 il pontefice Alessandro VI – al secolo Rodrigo Borja – fa decorare gli appartamenti privati nel palazzo vaticano con una delle più affascinanti e complesse rappresentazioni isiache di epoca post-classica. Il ciclo progettato da Annio da Viterbo e realizzato dal Pinturicchio presenta una complessa rappresentazione delle diverse fasi del mito isiaco finalizzate al trionfo del toro Api, identificato con quello araldico dei Borgia. Il ciclo isiaco va inoltre visto all’interno di un più complesso sistema decorativo caratterizzato da un lato da insoliti sincretismi religiosi di pretta matrice umanistica – Iside si metamorfosa non solo nella Vergine Maria ma nella casta Susanna, nell’ingiustamente perseguitata Santa Barbara, nella colta Santa Caterina – dall’altro all’esaltazione del Papa/figlio del Sole e della famiglia Borgia. Fonte principale del ciclo è Plutarco mentre i richiami visivi sono all’antichità romana e l’unico riferimento all’Egitto è la tomba di Osiride raffigurata come una piramide intarsiata di gemme.
     Un ruolo importante in questa fioritura isiaca nella Roma del tempo va sicuramente attribuito al’umanista Pomponio Leto, autori di ponderosi studi esegetici su Varrone in cui si evidenziava – fin dal 1480 – l’aspetto cosmico degli Dei egizi e dei misteri di Arpocrate. Durante il pontificato di Alessandro VI i Borgia furono in stretto contatto con l’accademia pomponiana – da essa provenivano alcuni maestri di Cesare – e quindi non stupisce la condivisione dei simbolismi orientaleggianti proposti dal Leto.  Sempre nell’ambito dell’accademia pomponiana matura la riflessione del già citato Annio da Viterbo il quale collocando l’età dell’oro al tempo di Noè-Giano ribaltando l’egemonia grecizzante a favore di una supposta superiorità orientale in cui Alessandro VI poneva il suo sogno di unire la stirpe solare dei Borgia con Iside ed Osiride attraverso Api, identificato con il toro passante del blasone familiare.  
  Se le decorazioni dell’appartamento Borgia rappresentano un unicum per ricchezza e complessità sono numerose le testimonianze di un interesse per i misteri isiaci nella curia romana a cavallo fra XV e XVI secolo. Tanto Ranuccio quanto Alessandro Farnese (il futuro Papa Paolo III) vantano discendenze osiriache mentre i Colonna rimandano la loro origine a Libio, un Ercole egittizzato, come esplicitamente palesato nel frontespizio della Bibbia del cardinal Pompeo attribuita a Giulio Clovio (1512) Lo stesso codice presenta anche altre particolarità come l’inserimento della figura di Iside nell’episodio della natività del Battista.
  E’ ovviamente impossibile riassumere in questo limitato spazio le molteplici attestazioni relative ai miti isiaci in tutta la cultura del tardo umanesimo tanto sul versante filologico tanto su quello filosofico ed esoterico. Vale però la pena rammentare almeno l’ultimo frutto di questa produzione, il trattato “Hieroglyphica” di Gian Pietro della Fossa edito a Basilea nel 1567. L’opera derivata dall’omonimo testo di Orapollo è un tentativo di trattazione enciclopedica dei geroglifici egiziani e dei loro significati magici. In quest’ottica Iside viene letta come simbolo dell’astro lunare ma anche come principio ad un tempo della forma e della sua contrarietas e che porterà in breve a leggere la figura di Iside come geroglifico dell’Universo (Fludd 1617, Kircher 1645). E propria in questa forma simbolica l’antica madre egiziana risorta con l’Umanesimo passerò indenne alle nuove ombre che la Controriforma allungava sull’Europa (in tal senso è ancora citata da Giordano Bruno nel III dialogo dello “Spaccio della bestia trionfante”) pronta a tornare a sfolgorare in tutto il suo splendore quando i nuovi lumi del XVIII secolo cominceranno a splendere sull’Europa.
 

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