Keller e il gruppo Yoga (Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione)
Guido Keller (Milano, 6 febbraio 1892 – Otricoli, 9 novembre 1929) è stato un aviatore italiano ed uno dei partecipanti all'impresa di Fiume guidata da Gabriele D'Annunzio. Fu autore di un conferenza autobiografica dal titolo Nel pensiero e nelle gesta.
Personaggio scapigliato, apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese di origine elvetica. Nel corso della prima guerra mondiale fu ufficiale pilota del Corpo Aeronautico Militare nella 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca.
Fu fondatore a Fiume del gruppo Yoga - che aveva come simbolo la svastica e la rosa a cinque petali e che fu un gruppo con tendenze esoteriche e naturistiche, si oppose alla frangia reazionaria fiumana (secondo quanto evidenziano gli scritti del gruppo Yoga pubblicati su Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione).
"Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista, settimanale, per diffondere le idee della Lega di Fiume. Rifacendosi a un vago misticismo indiano allora di moda, la chiamano «Yoga», con il sottotitolo «Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»; alla sua sinistra è raffigurata una svastica, l'antico simbolo ariano del sole: «La Yoga riunirà sotto il suo segno l'antichissima e misteriosa svastica, tutti gli uomini forti e fieri, che ambiscono di spezzare questi falsi idoli che sono sulla terra e nelle credenze del nostro spirito, tutti gli uomini che hanno per numi Vita e Bellezza».
Ne usciranno solo quattro numeri; il tredici, venti, ventisette novembre e il quattro dicembre. Secondo Umberto Carpi è stato lo stesso D'Annunzio a contrastarne la pubblicazione, a causa delle reazioni negative espresse dalle forze più moderate presenti a Fiume. Le idee programmatiche della rivista sono esposte in due articoli, Prolegomeni e Prospettive ltaliche, privi di firma, come del resto tutti gli altri; gerente responsabile è lo stesso Keller.
In breve: il «Genio della razza italica», aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle «razze negative», inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre le idee di democrazia e uguaglianza «copiate» dalla rivoluzione francese e dal positivismo «materialista», hanno creato con la grande industria una massa di schiavi. E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello «spirito italico», compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l'artigianato e sul «binomio perfetto di terra e mare». La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all'agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando «dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai».
Emblematico di queste concezioni è il breve articolo, comparso sul n. 3 del 27 novembre 1920, in favore del nazionalista croato Stefano Radic, capo del partito dei contadini:
Le sue idee sono queste: la Croazia è una terra contadina. Il governo della Croazia deve essere scelto tra i contadini. I croati devono restare come sono: vivere della terra. Stefano Radic ha l'anima da poeta e il cervello che antivede perché sa. La Croazia sta attraversando la crisi dell'uomo di campagna presso al quale la città ingrandendosi è venuta a confinare. Egli sente i suoi vestiti e le sue scarpe e le sue mani callose come aspetti inadatti al nuovo stato, ma egli non si può mutare il cuore e se un superficiale entusiasmo e meraviglia lo turba e male lo fa considerare: dura è la sua radice. Si guardi la Croazia dall'invasione industriale, sia questa americana, francese, tedesca o italiana - pensa Stefano Radic - l'Italia sta scontando la sua leggerezza nell'aver lasciato radicare nel suo suolo i templi ed i sistemi delle razze formali, Croazia, sappi che oggi essi sono le nostre pietre più indigeste – si potrebbe soggiungere noi ed ammonire.
Nell'articolo Vogliamo vivere (20 novembre 1920, n. 2) vi è una feroce denuncia dell'alienazione del lavoro salariato, per «l'esaltazione dell'individualità»:
L'operaio moderno è più libero? è più felice? No, anzi è più schiavo, è più misero, perché crede di aver migliorato le sue condizioni, perché con ogni aumento di paga e con ogni diminuzione di lavoro crede di migliorare il suo stato. mentre diventa invece sempre più schiavo, sempre più abbietto. Che cosa fai tu, che cosa senti, operaio nell'officina? Sei lo schiavo di una macchina. Dotato dalla natura dell'intelligenza di un dio e della bellezza degli angeli, ti sei abbassato a servire una macchina. Il fuochista che consuma la sua vita (VITA! VITA!), per dar cibo alla vertiginosa locomotiva o alle insaziabili fornaci dell'insensato Transatlantico... è scontento della sua paga. Con quanta ragione. oh Dio creatore! L'unico suo torto è questo, credere che esista una paga sufficiente... per tale lavoro!
In «Yoga» vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, ispirati da Comisso, che si rifanno alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana «Valori Plastici» e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo infantile israelitico. «Voga», come il movimento metafisica, voleva restaurare i «valori dello spirito», di contro al materialismo positivista. Per questo si oppone al futurismo che invece esalta il meccanicismo e il modernismo. E’ questa la contraddizione di Keller; ama l'aeroplano, che era l'espressione più alta della tecnologia dei suoi tempi, ma disprezza la civiltà industriale. Del resto, come D' Annunzio, concepiva il velivolo come un prodotto artigianale che doveva, ispirandosi a Leonardo, imitare il volo degli uccelli. Scrive a tale proposito Sandro Pozzi, il legionario fiumano «legato a Keller da una strana amicizia rotta da frequenti e clamorosi litigi», nella sua biografia dell'amico:
Non certo il volo meccanico, né il motore rombante e travolgente l'avevano conquiso. Egli intese nell'aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi ed astrarsi della materia verso i misteri più alti e più puri della natura. E fu quell'alone eroico che l'aviazione ai suoi albori (con tanti suoi olocausti pionieri) effondeva, che l'attrasse ed affascinò: egli sempre andava là dove maggiore era il rischio e la bellezza del sacrifìcio.
In occasione della firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che sanciva un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller progetta di rapire Giolitti mentre si recava in treno all'incontro. Fallito l'improbabile piano per la defezione dei suoi «seguaci», ripiega su un gesto dimostrativo. Vola su Roma e lascia cadere un vaso da notte, con dentro un mazzo di rape, sopra il Parlamento; unito vi è un biglietto: «Guido Keller - Ala azione nello splendore - dona al parlamento ed al governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Getta anche un mazzo di rose rosse sul Quirinale in onore della regina madre di cui ricorreva il compleanno, e uno su San Pietro «per frate Francesco».
L'episodio ebbe un'eco vastissima su tutta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano per avere il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un «pazzoide». Solo «Yoga» lo difende con un articolo pubblicato sul n. 3 del 27 novembre 1920 intitolato significativamente Montecagorio:
Molti giornali vogliono far passare il Keller per un pazzoide, figura secondaria di Fiume. Noi ricordiamo che egli, asso della Squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e tra i più fidi seguaci di Gabriele D'Annunzio, al quale è legato da forte affetto. In Fiume d'Italia Keller è una testa di ferro per la quale la conclusione amorosa del Tasso è una sentenza sublime che santifica le labbra della pura follia «amore tanto esser più nobile quanto è men governato dalla ragione». Egli è l'intelligenza, l'audacia, la fede= pazzia. Come tutti i buoni volatori, Keller è un folle, è un Ulisse dal «Folle volo». È, in una parola, un Italiano, indicibilmente Italiano; è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. Ha in sé un po' del Cecco Angiolieri e del Fanfulla, spirito bizzarro, non scettico, fiero, che da solo vale tutta la
ballonzolante moltitudine dei greppaioli di Montecagorio. E un soldato di ventura, che si batte per un soldo d'ideale e di libertà; è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci. In quest'era di vigliaccheria e di vituperio della Patria Keller rappresenta fedelmente e con luce i soldati di ventura di Fiume, i belli lanzichenecchi della libertà e dell'eresia; i garibaldini spavaldi della libertà che volano e volando sputano, non dico sull'aiuola dantesca, ma sul caccatoio d' Italia e lanciano quelle spregiate crete che possono essere utilissime in ogni evenienza, a tutti i cagoia ed a tutti i Misiano dell'Italico Regno. Keller è il volatore fiumano tipico che vola con qualsiasi tempo, per ore e ore sul petroso Carso a venti metri da terra, leggendo e declamando, atterrando magari nelle doline senza minimamente scalfire le tele ed i legni del suo apparecchio; vola parlando alla sua mascotte: una civetta; vola tenendo per suo compagno di volo un paziente asinello dall'occhio umano. È un volatore magnifico."
(da L'aeronautica italiana: una storia del Novecento di Paolo Ferrari)
Guido Keller (Milano, 6 febbraio 1892 – Otricoli, 9 novembre 1929) è stato un aviatore italiano ed uno dei partecipanti all'impresa di Fiume guidata da Gabriele D'Annunzio. Fu autore di un conferenza autobiografica dal titolo Nel pensiero e nelle gesta.
Personaggio scapigliato, apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese di origine elvetica. Nel corso della prima guerra mondiale fu ufficiale pilota del Corpo Aeronautico Militare nella 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca.
Fu fondatore a Fiume del gruppo Yoga - che aveva come simbolo la svastica e la rosa a cinque petali e che fu un gruppo con tendenze esoteriche e naturistiche, si oppose alla frangia reazionaria fiumana (secondo quanto evidenziano gli scritti del gruppo Yoga pubblicati su Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione).
"Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista, settimanale, per diffondere le idee della Lega di Fiume. Rifacendosi a un vago misticismo indiano allora di moda, la chiamano «Yoga», con il sottotitolo «Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»; alla sua sinistra è raffigurata una svastica, l'antico simbolo ariano del sole: «La Yoga riunirà sotto il suo segno l'antichissima e misteriosa svastica, tutti gli uomini forti e fieri, che ambiscono di spezzare questi falsi idoli che sono sulla terra e nelle credenze del nostro spirito, tutti gli uomini che hanno per numi Vita e Bellezza».
Ne usciranno solo quattro numeri; il tredici, venti, ventisette novembre e il quattro dicembre. Secondo Umberto Carpi è stato lo stesso D'Annunzio a contrastarne la pubblicazione, a causa delle reazioni negative espresse dalle forze più moderate presenti a Fiume. Le idee programmatiche della rivista sono esposte in due articoli, Prolegomeni e Prospettive ltaliche, privi di firma, come del resto tutti gli altri; gerente responsabile è lo stesso Keller.
In breve: il «Genio della razza italica», aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle «razze negative», inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre le idee di democrazia e uguaglianza «copiate» dalla rivoluzione francese e dal positivismo «materialista», hanno creato con la grande industria una massa di schiavi. E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello «spirito italico», compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l'artigianato e sul «binomio perfetto di terra e mare». La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all'agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando «dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai».
Emblematico di queste concezioni è il breve articolo, comparso sul n. 3 del 27 novembre 1920, in favore del nazionalista croato Stefano Radic, capo del partito dei contadini:
Le sue idee sono queste: la Croazia è una terra contadina. Il governo della Croazia deve essere scelto tra i contadini. I croati devono restare come sono: vivere della terra. Stefano Radic ha l'anima da poeta e il cervello che antivede perché sa. La Croazia sta attraversando la crisi dell'uomo di campagna presso al quale la città ingrandendosi è venuta a confinare. Egli sente i suoi vestiti e le sue scarpe e le sue mani callose come aspetti inadatti al nuovo stato, ma egli non si può mutare il cuore e se un superficiale entusiasmo e meraviglia lo turba e male lo fa considerare: dura è la sua radice. Si guardi la Croazia dall'invasione industriale, sia questa americana, francese, tedesca o italiana - pensa Stefano Radic - l'Italia sta scontando la sua leggerezza nell'aver lasciato radicare nel suo suolo i templi ed i sistemi delle razze formali, Croazia, sappi che oggi essi sono le nostre pietre più indigeste – si potrebbe soggiungere noi ed ammonire.
Nell'articolo Vogliamo vivere (20 novembre 1920, n. 2) vi è una feroce denuncia dell'alienazione del lavoro salariato, per «l'esaltazione dell'individualità»:
L'operaio moderno è più libero? è più felice? No, anzi è più schiavo, è più misero, perché crede di aver migliorato le sue condizioni, perché con ogni aumento di paga e con ogni diminuzione di lavoro crede di migliorare il suo stato. mentre diventa invece sempre più schiavo, sempre più abbietto. Che cosa fai tu, che cosa senti, operaio nell'officina? Sei lo schiavo di una macchina. Dotato dalla natura dell'intelligenza di un dio e della bellezza degli angeli, ti sei abbassato a servire una macchina. Il fuochista che consuma la sua vita (VITA! VITA!), per dar cibo alla vertiginosa locomotiva o alle insaziabili fornaci dell'insensato Transatlantico... è scontento della sua paga. Con quanta ragione. oh Dio creatore! L'unico suo torto è questo, credere che esista una paga sufficiente... per tale lavoro!
In «Yoga» vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, ispirati da Comisso, che si rifanno alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana «Valori Plastici» e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo infantile israelitico. «Voga», come il movimento metafisica, voleva restaurare i «valori dello spirito», di contro al materialismo positivista. Per questo si oppone al futurismo che invece esalta il meccanicismo e il modernismo. E’ questa la contraddizione di Keller; ama l'aeroplano, che era l'espressione più alta della tecnologia dei suoi tempi, ma disprezza la civiltà industriale. Del resto, come D' Annunzio, concepiva il velivolo come un prodotto artigianale che doveva, ispirandosi a Leonardo, imitare il volo degli uccelli. Scrive a tale proposito Sandro Pozzi, il legionario fiumano «legato a Keller da una strana amicizia rotta da frequenti e clamorosi litigi», nella sua biografia dell'amico:
Non certo il volo meccanico, né il motore rombante e travolgente l'avevano conquiso. Egli intese nell'aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi ed astrarsi della materia verso i misteri più alti e più puri della natura. E fu quell'alone eroico che l'aviazione ai suoi albori (con tanti suoi olocausti pionieri) effondeva, che l'attrasse ed affascinò: egli sempre andava là dove maggiore era il rischio e la bellezza del sacrifìcio.
In occasione della firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che sanciva un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller progetta di rapire Giolitti mentre si recava in treno all'incontro. Fallito l'improbabile piano per la defezione dei suoi «seguaci», ripiega su un gesto dimostrativo. Vola su Roma e lascia cadere un vaso da notte, con dentro un mazzo di rape, sopra il Parlamento; unito vi è un biglietto: «Guido Keller - Ala azione nello splendore - dona al parlamento ed al governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Getta anche un mazzo di rose rosse sul Quirinale in onore della regina madre di cui ricorreva il compleanno, e uno su San Pietro «per frate Francesco».
L'episodio ebbe un'eco vastissima su tutta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano per avere il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un «pazzoide». Solo «Yoga» lo difende con un articolo pubblicato sul n. 3 del 27 novembre 1920 intitolato significativamente Montecagorio:
Molti giornali vogliono far passare il Keller per un pazzoide, figura secondaria di Fiume. Noi ricordiamo che egli, asso della Squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e tra i più fidi seguaci di Gabriele D'Annunzio, al quale è legato da forte affetto. In Fiume d'Italia Keller è una testa di ferro per la quale la conclusione amorosa del Tasso è una sentenza sublime che santifica le labbra della pura follia «amore tanto esser più nobile quanto è men governato dalla ragione». Egli è l'intelligenza, l'audacia, la fede= pazzia. Come tutti i buoni volatori, Keller è un folle, è un Ulisse dal «Folle volo». È, in una parola, un Italiano, indicibilmente Italiano; è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. Ha in sé un po' del Cecco Angiolieri e del Fanfulla, spirito bizzarro, non scettico, fiero, che da solo vale tutta la
ballonzolante moltitudine dei greppaioli di Montecagorio. E un soldato di ventura, che si batte per un soldo d'ideale e di libertà; è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci. In quest'era di vigliaccheria e di vituperio della Patria Keller rappresenta fedelmente e con luce i soldati di ventura di Fiume, i belli lanzichenecchi della libertà e dell'eresia; i garibaldini spavaldi della libertà che volano e volando sputano, non dico sull'aiuola dantesca, ma sul caccatoio d' Italia e lanciano quelle spregiate crete che possono essere utilissime in ogni evenienza, a tutti i cagoia ed a tutti i Misiano dell'Italico Regno. Keller è il volatore fiumano tipico che vola con qualsiasi tempo, per ore e ore sul petroso Carso a venti metri da terra, leggendo e declamando, atterrando magari nelle doline senza minimamente scalfire le tele ed i legni del suo apparecchio; vola parlando alla sua mascotte: una civetta; vola tenendo per suo compagno di volo un paziente asinello dall'occhio umano. È un volatore magnifico."
(da L'aeronautica italiana: una storia del Novecento di Paolo Ferrari)
Re-volvere
Guido Keller (Milano, 6 febbraio 1892 – Otricoli, 9 novembre 1929) è stato un aviatore italiano ed uno dei partecipanti all'impresa di Fiume guidata da Gabriele D'Annunzio. Fu autore di un conferenza autobiografica dal titolo Nel pensiero e nelle gesta.
Personaggio scapigliato, apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese di origine elvetica. Nel corso della prima guerra mondiale fu ufficiale pilota del Corpo Aeronautico Militare nella 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca.
Fu fondatore a Fiume del gruppo Yoga - che aveva come simbolo la svastica e la rosa a cinque petali e che fu un gruppo con tendenze esoteriche e naturistiche, si oppose alla frangia reazionaria fiumana (secondo quanto evidenziano gli scritti del gruppo Yoga pubblicati su Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione).
"Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista, settimanale, per diffondere le idee della Lega di Fiume. Rifacendosi a un vago misticismo indiano allora di moda, la chiamano «Yoga», con il sottotitolo «Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»; alla sua sinistra è raffigurata una svastica, l'antico simbolo ariano del sole: «La Yoga riunirà sotto il suo segno l'antichissima e misteriosa svastica, tutti gli uomini forti e fieri, che ambiscono di spezzare questi falsi idoli che sono sulla terra e nelle credenze del nostro spirito, tutti gli uomini che hanno per numi Vita e Bellezza».
Ne usciranno solo quattro numeri; il tredici, venti, ventisette novembre e il quattro dicembre. Secondo Umberto Carpi è stato lo stesso D'Annunzio a contrastarne la pubblicazione, a causa delle reazioni negative espresse dalle forze più moderate presenti a Fiume. Le idee programmatiche della rivista sono esposte in due articoli, Prolegomeni e Prospettive ltaliche, privi di firma, come del resto tutti gli altri; gerente responsabile è lo stesso Keller.
In breve: il «Genio della razza italica», aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle «razze negative», inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre le idee di democrazia e uguaglianza «copiate» dalla rivoluzione francese e dal positivismo «materialista», hanno creato con la grande industria una massa di schiavi. E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello «spirito italico», compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l'artigianato e sul «binomio perfetto di terra e mare». La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all'agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando «dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai».
Emblematico di queste concezioni è il breve articolo, comparso sul n. 3 del 27 novembre 1920, in favore del nazionalista croato Stefano Radic, capo del partito dei contadini:
Le sue idee sono queste: la Croazia è una terra contadina. Il governo della Croazia deve essere scelto tra i contadini. I croati devono restare come sono: vivere della terra. Stefano Radic ha l'anima da poeta e il cervello che antivede perché sa. La Croazia sta attraversando la crisi dell'uomo di campagna presso al quale la città ingrandendosi è venuta a confinare. Egli sente i suoi vestiti e le sue scarpe e le sue mani callose come aspetti inadatti al nuovo stato, ma egli non si può mutare il cuore e se un superficiale entusiasmo e meraviglia lo turba e male lo fa considerare: dura è la sua radice. Si guardi la Croazia dall'invasione industriale, sia questa americana, francese, tedesca o italiana - pensa Stefano Radic - l'Italia sta scontando la sua leggerezza nell'aver lasciato radicare nel suo suolo i templi ed i sistemi delle razze formali, Croazia, sappi che oggi essi sono le nostre pietre più indigeste – si potrebbe soggiungere noi ed ammonire.
Nell'articolo Vogliamo vivere (20 novembre 1920, n. 2) vi è una feroce denuncia dell'alienazione del lavoro salariato, per «l'esaltazione dell'individualità»:
L'operaio moderno è più libero? è più felice? No, anzi è più schiavo, è più misero, perché crede di aver migliorato le sue condizioni, perché con ogni aumento di paga e con ogni diminuzione di lavoro crede di migliorare il suo stato. mentre diventa invece sempre più schiavo, sempre più abbietto. Che cosa fai tu, che cosa senti, operaio nell'officina? Sei lo schiavo di una macchina. Dotato dalla natura dell'intelligenza di un dio e della bellezza degli angeli, ti sei abbassato a servire una macchina. Il fuochista che consuma la sua vita (VITA! VITA!), per dar cibo alla vertiginosa locomotiva o alle insaziabili fornaci dell'insensato Transatlantico... è scontento della sua paga. Con quanta ragione. oh Dio creatore! L'unico suo torto è questo, credere che esista una paga sufficiente... per tale lavoro!
In «Yoga» vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, ispirati da Comisso, che si rifanno alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana «Valori Plastici» e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo infantile israelitico. «Voga», come il movimento metafisica, voleva restaurare i «valori dello spirito», di contro al materialismo positivista. Per questo si oppone al futurismo che invece esalta il meccanicismo e il modernismo. E’ questa la contraddizione di Keller; ama l'aeroplano, che era l'espressione più alta della tecnologia dei suoi tempi, ma disprezza la civiltà industriale. Del resto, come D' Annunzio, concepiva il velivolo come un prodotto artigianale che doveva, ispirandosi a Leonardo, imitare il volo degli uccelli. Scrive a tale proposito Sandro Pozzi, il legionario fiumano «legato a Keller da una strana amicizia rotta da frequenti e clamorosi litigi», nella sua biografia dell'amico:
Non certo il volo meccanico, né il motore rombante e travolgente l'avevano conquiso. Egli intese nell'aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi ed astrarsi della materia verso i misteri più alti e più puri della natura. E fu quell'alone eroico che l'aviazione ai suoi albori (con tanti suoi olocausti pionieri) effondeva, che l'attrasse ed affascinò: egli sempre andava là dove maggiore era il rischio e la bellezza del sacrifìcio.
In occasione della firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che sanciva un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller progetta di rapire Giolitti mentre si recava in treno all'incontro. Fallito l'improbabile piano per la defezione dei suoi «seguaci», ripiega su un gesto dimostrativo. Vola su Roma e lascia cadere un vaso da notte, con dentro un mazzo di rape, sopra il Parlamento; unito vi è un biglietto: «Guido Keller - Ala azione nello splendore - dona al parlamento ed al governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Getta anche un mazzo di rose rosse sul Quirinale in onore della regina madre di cui ricorreva il compleanno, e uno su San Pietro «per frate Francesco».
L'episodio ebbe un'eco vastissima su tutta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano per avere il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un «pazzoide». Solo «Yoga» lo difende con un articolo pubblicato sul n. 3 del 27 novembre 1920 intitolato significativamente Montecagorio:
Molti giornali vogliono far passare il Keller per un pazzoide, figura secondaria di Fiume. Noi ricordiamo che egli, asso della Squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e tra i più fidi seguaci di Gabriele D'Annunzio, al quale è legato da forte affetto. In Fiume d'Italia Keller è una testa di ferro per la quale la conclusione amorosa del Tasso è una sentenza sublime che santifica le labbra della pura follia «amore tanto esser più nobile quanto è men governato dalla ragione». Egli è l'intelligenza, l'audacia, la fede= pazzia. Come tutti i buoni volatori, Keller è un folle, è un Ulisse dal «Folle volo». È, in una parola, un Italiano, indicibilmente Italiano; è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. Ha in sé un po' del Cecco Angiolieri e del Fanfulla, spirito bizzarro, non scettico, fiero, che da solo vale tutta la
ballonzolante moltitudine dei greppaioli di Montecagorio. E un soldato di ventura, che si batte per un soldo d'ideale e di libertà; è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci. In quest'era di vigliaccheria e di vituperio della Patria Keller rappresenta fedelmente e con luce i soldati di ventura di Fiume, i belli lanzichenecchi della libertà e dell'eresia; i garibaldini spavaldi della libertà che volano e volando sputano, non dico sull'aiuola dantesca, ma sul caccatoio d' Italia e lanciano quelle spregiate crete che possono essere utilissime in ogni evenienza, a tutti i cagoia ed a tutti i Misiano dell'Italico Regno. Keller è il volatore fiumano tipico che vola con qualsiasi tempo, per ore e ore sul petroso Carso a venti metri da terra, leggendo e declamando, atterrando magari nelle doline senza minimamente scalfire le tele ed i legni del suo apparecchio; vola parlando alla sua mascotte: una civetta; vola tenendo per suo compagno di volo un paziente asinello dall'occhio umano. È un volatore magnifico."
(da L'aeronautica italiana: una storia del Novecento di Paolo Ferrari)
Guido Keller (Milano, 6 febbraio 1892 – Otricoli, 9 novembre 1929) è stato un aviatore italiano ed uno dei partecipanti all'impresa di Fiume guidata da Gabriele D'Annunzio. Fu autore di un conferenza autobiografica dal titolo Nel pensiero e nelle gesta.
Personaggio scapigliato, apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese di origine elvetica. Nel corso della prima guerra mondiale fu ufficiale pilota del Corpo Aeronautico Militare nella 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca.
Fu fondatore a Fiume del gruppo Yoga - che aveva come simbolo la svastica e la rosa a cinque petali e che fu un gruppo con tendenze esoteriche e naturistiche, si oppose alla frangia reazionaria fiumana (secondo quanto evidenziano gli scritti del gruppo Yoga pubblicati su Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione).
"Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista, settimanale, per diffondere le idee della Lega di Fiume. Rifacendosi a un vago misticismo indiano allora di moda, la chiamano «Yoga», con il sottotitolo «Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»; alla sua sinistra è raffigurata una svastica, l'antico simbolo ariano del sole: «La Yoga riunirà sotto il suo segno l'antichissima e misteriosa svastica, tutti gli uomini forti e fieri, che ambiscono di spezzare questi falsi idoli che sono sulla terra e nelle credenze del nostro spirito, tutti gli uomini che hanno per numi Vita e Bellezza».
Ne usciranno solo quattro numeri; il tredici, venti, ventisette novembre e il quattro dicembre. Secondo Umberto Carpi è stato lo stesso D'Annunzio a contrastarne la pubblicazione, a causa delle reazioni negative espresse dalle forze più moderate presenti a Fiume. Le idee programmatiche della rivista sono esposte in due articoli, Prolegomeni e Prospettive ltaliche, privi di firma, come del resto tutti gli altri; gerente responsabile è lo stesso Keller.
In breve: il «Genio della razza italica», aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle «razze negative», inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre le idee di democrazia e uguaglianza «copiate» dalla rivoluzione francese e dal positivismo «materialista», hanno creato con la grande industria una massa di schiavi. E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello «spirito italico», compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l'artigianato e sul «binomio perfetto di terra e mare». La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all'agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando «dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai».
Emblematico di queste concezioni è il breve articolo, comparso sul n. 3 del 27 novembre 1920, in favore del nazionalista croato Stefano Radic, capo del partito dei contadini:
Le sue idee sono queste: la Croazia è una terra contadina. Il governo della Croazia deve essere scelto tra i contadini. I croati devono restare come sono: vivere della terra. Stefano Radic ha l'anima da poeta e il cervello che antivede perché sa. La Croazia sta attraversando la crisi dell'uomo di campagna presso al quale la città ingrandendosi è venuta a confinare. Egli sente i suoi vestiti e le sue scarpe e le sue mani callose come aspetti inadatti al nuovo stato, ma egli non si può mutare il cuore e se un superficiale entusiasmo e meraviglia lo turba e male lo fa considerare: dura è la sua radice. Si guardi la Croazia dall'invasione industriale, sia questa americana, francese, tedesca o italiana - pensa Stefano Radic - l'Italia sta scontando la sua leggerezza nell'aver lasciato radicare nel suo suolo i templi ed i sistemi delle razze formali, Croazia, sappi che oggi essi sono le nostre pietre più indigeste – si potrebbe soggiungere noi ed ammonire.
Nell'articolo Vogliamo vivere (20 novembre 1920, n. 2) vi è una feroce denuncia dell'alienazione del lavoro salariato, per «l'esaltazione dell'individualità»:
L'operaio moderno è più libero? è più felice? No, anzi è più schiavo, è più misero, perché crede di aver migliorato le sue condizioni, perché con ogni aumento di paga e con ogni diminuzione di lavoro crede di migliorare il suo stato. mentre diventa invece sempre più schiavo, sempre più abbietto. Che cosa fai tu, che cosa senti, operaio nell'officina? Sei lo schiavo di una macchina. Dotato dalla natura dell'intelligenza di un dio e della bellezza degli angeli, ti sei abbassato a servire una macchina. Il fuochista che consuma la sua vita (VITA! VITA!), per dar cibo alla vertiginosa locomotiva o alle insaziabili fornaci dell'insensato Transatlantico... è scontento della sua paga. Con quanta ragione. oh Dio creatore! L'unico suo torto è questo, credere che esista una paga sufficiente... per tale lavoro!
In «Yoga» vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, ispirati da Comisso, che si rifanno alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana «Valori Plastici» e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo infantile israelitico. «Voga», come il movimento metafisica, voleva restaurare i «valori dello spirito», di contro al materialismo positivista. Per questo si oppone al futurismo che invece esalta il meccanicismo e il modernismo. E’ questa la contraddizione di Keller; ama l'aeroplano, che era l'espressione più alta della tecnologia dei suoi tempi, ma disprezza la civiltà industriale. Del resto, come D' Annunzio, concepiva il velivolo come un prodotto artigianale che doveva, ispirandosi a Leonardo, imitare il volo degli uccelli. Scrive a tale proposito Sandro Pozzi, il legionario fiumano «legato a Keller da una strana amicizia rotta da frequenti e clamorosi litigi», nella sua biografia dell'amico:
Non certo il volo meccanico, né il motore rombante e travolgente l'avevano conquiso. Egli intese nell'aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi ed astrarsi della materia verso i misteri più alti e più puri della natura. E fu quell'alone eroico che l'aviazione ai suoi albori (con tanti suoi olocausti pionieri) effondeva, che l'attrasse ed affascinò: egli sempre andava là dove maggiore era il rischio e la bellezza del sacrifìcio.
In occasione della firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che sanciva un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller progetta di rapire Giolitti mentre si recava in treno all'incontro. Fallito l'improbabile piano per la defezione dei suoi «seguaci», ripiega su un gesto dimostrativo. Vola su Roma e lascia cadere un vaso da notte, con dentro un mazzo di rape, sopra il Parlamento; unito vi è un biglietto: «Guido Keller - Ala azione nello splendore - dona al parlamento ed al governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Getta anche un mazzo di rose rosse sul Quirinale in onore della regina madre di cui ricorreva il compleanno, e uno su San Pietro «per frate Francesco».
L'episodio ebbe un'eco vastissima su tutta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano per avere il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un «pazzoide». Solo «Yoga» lo difende con un articolo pubblicato sul n. 3 del 27 novembre 1920 intitolato significativamente Montecagorio:
Molti giornali vogliono far passare il Keller per un pazzoide, figura secondaria di Fiume. Noi ricordiamo che egli, asso della Squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e tra i più fidi seguaci di Gabriele D'Annunzio, al quale è legato da forte affetto. In Fiume d'Italia Keller è una testa di ferro per la quale la conclusione amorosa del Tasso è una sentenza sublime che santifica le labbra della pura follia «amore tanto esser più nobile quanto è men governato dalla ragione». Egli è l'intelligenza, l'audacia, la fede= pazzia. Come tutti i buoni volatori, Keller è un folle, è un Ulisse dal «Folle volo». È, in una parola, un Italiano, indicibilmente Italiano; è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. Ha in sé un po' del Cecco Angiolieri e del Fanfulla, spirito bizzarro, non scettico, fiero, che da solo vale tutta la
ballonzolante moltitudine dei greppaioli di Montecagorio. E un soldato di ventura, che si batte per un soldo d'ideale e di libertà; è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci. In quest'era di vigliaccheria e di vituperio della Patria Keller rappresenta fedelmente e con luce i soldati di ventura di Fiume, i belli lanzichenecchi della libertà e dell'eresia; i garibaldini spavaldi della libertà che volano e volando sputano, non dico sull'aiuola dantesca, ma sul caccatoio d' Italia e lanciano quelle spregiate crete che possono essere utilissime in ogni evenienza, a tutti i cagoia ed a tutti i Misiano dell'Italico Regno. Keller è il volatore fiumano tipico che vola con qualsiasi tempo, per ore e ore sul petroso Carso a venti metri da terra, leggendo e declamando, atterrando magari nelle doline senza minimamente scalfire le tele ed i legni del suo apparecchio; vola parlando alla sua mascotte: una civetta; vola tenendo per suo compagno di volo un paziente asinello dall'occhio umano. È un volatore magnifico."
(da L'aeronautica italiana: una storia del Novecento di Paolo Ferrari)
Re-volvere
Nessun commento:
Posta un commento