IL PARCO DEI MOSTRI DI BOMARZO
di Gianni Pittiglio
di Gianni Pittiglio
A pochi chilometri da Roma, sulla via Cassia, alle falde del Monte Cimino, sorge Bomarzo (Viterbo), antico centro etrusco (Polimartium) dominato dal cinquecentesco Palazzo Orsini opera del Vignola.
All’interno del grande parco prende vita il cosiddetto “sacro bosco” dalle stravaganti statue colossali, commissionato nel 1552 dal principe Pier Francesco Orsini, detto Vicino, a Pirro Ligorio, per l’amore nei confronti della moglie Giulia Farnese.
E’ seguito un lungo oblio durato fino al XX secolo quando, dal 1954, prima Tina Severi Bettini e quindi suo marito Giovanni Bettini lo hanno gestito e riportato in buone condizioni, rendendolo fruibile al pubblico che qui approda da ogni parte del mondo per ammirare un’opera unica nel suo genere.
Le sculture di Bomarzo sono dislocate in un percorso all’interno del giardino che si rivela come una wunderkammer all’aperto. Tutte, probabilmente, all’origine si collegavano ad un unico discorso organico che coinvolgeva la personalità di Giulia Farnese e di Pier Francesco Orsini.
Molti giardini cinquecenteschi si fondavano sul teatro che era una fonte primaria di ispirazione: architetture scenografiche, colpi di scena, prospettive. Tutti questi elementi spiccano anche a Bomarzo, dove, però, in luogo della prospettiva unificata rinascimentale viene preferita la veduta per stazioni propria della processione medievale.
Il Sacro Bosco
L’ingresso al giardino di Bomarzo è costituito da una semplice porta merlata, unica “normalità” tra le bizzarrie formali che introduce. Chiaro il senso di una scelta di questo tipo: il visitatore, ignaro di cosa lo aspetta non deve presagire nulla. Varcata quella soglia ogni criterio razionale viene messo in scacco lasciando via libera alla fantasia più sfrenata. Ci si trova così di fronte a sfingi, elefanti, divinità classiche, giganti, draghi, orchi.
Splendido il gruppo di “Ercole e Caco” con l’eroe che viene colto nell’atto di squartare il figlio di Vulcano, reo di avergli rubato due tori, prendendolo dalle gambe. Un gesto terribile che segna la vittoria del bene sul male, della virtù sulla frode.
Poco più avanti in una piccola valle si vede una tartaruga che trasporta una donna in piedi su una sfera. La donna ha i caratteri di una vittoria alata. Ancora più in basso è posto un masso rappresentante una balena a fauci spalancate pronta ad inghiottire la preda. Lì vicino Pegaso pronto a spiccare il volo. Il tutto è riconducibile ad una rappresentazione astrologica: sotto il ciglio del torrente, che rappresenta la divisione tra i due emisferi, figura la costellazione della Balena, e a suo riscontro, nel nostro emisfero, fra essa e i Pesci, appare la piccola costellazione della Tartaruga. Il celebre poeta Manilio nel suo “Astronomica” del I secolo d.C. scrive: «Quando, sorti i Pesci, il loro ventunesimo grado, sull'orizzonte illumina la Terra, Pégaso si inclina, volando al cielo» (V,628-630).
Per quanto riguarda altre sculture legate alla cultura classica, qua e là compaiono Nettuno, Venere, Cerere, Proserpina, il mascherone con Giove Ammone, le tre Grazie, Cerbero, una Ninfa dormiente, Echidna e una delle Furie.
Le statue che meglio danno il senso della diversità di questo parco sono quelle che secondo l’immaginario collettivo appartengono alla tradizione fantastica. Su tutti la testa a bocca aperta dell’Orco, gigantesca e con all’interno un intero tavolo da banchetto; ma ancora un Drago che combatte contro un cane, un leone ed un lupo.
Di grande effetto il mastodontico Elefante sormontato da una torre e con un legionario stretto nella proboscide: secondo Pirro Ligorio l’elefante è animale che “discerne il bene dal male”. Allo stesso tempo per gli antichi è l’incarnazione dell’eternità: la sua presenza nel parco è ulteriore conferma della volontà di superare i limiti della morte terrena.
Da simbologie così elevate si passa di colpo all’ennesimo gioco che contrappone realtà a finzione: componente teatrale che è dominante nelle stravaganze manieristiche. In una radura trova spazio un’intera architettura di fantasia realizzata: una casa pendente, nata così per lasciare di stucco il visitatore, in cui è possibile passeggiare con ovvi problemi di equilibrio.
Tutto ciò che sorprende e meraviglia è a Bomarzo, secondo un dettame tradizionalmente legato a G.B. Marino, ma evidentemente in voga sin dal Rinascimento.
Non manca il fattore encomiastico legato agli emblemi familiari: in un angolo del giardino sono posti su dei piedistalli due piccoli orsi (=orsini) che reggono tra le zampe la rosa romana e lo stemma Orsini. C’è, inoltre, chi ha visto nel Pegaso scolpito nei pressi della grande Tartaruga la volontà di celebrare l’unicorno dell’emblema Farnese cui apparteneva Giulia, moglie del principe.
La visita al parco si chiude con il Tempio dedicato a Giulia Farnese: un edificio classico, senza particolari bizzarrie formali. L’aula del tempio, sormontata da una cupola, è introdotta da un pronao a quattro file di colonne, chiuse in alto da un timpano interrotto centralmente da un arco. L’aula e la cupola, che Vicino Orsini paragonava a quella di S. Maria del Fiore, sono di forma ottagonale. Tale struttura rimanda alla simbologia resurrezionale: il tempio, infatti, venne edificato alla morte di Giulia Farnese.
Per chi volesse approfondire il tema delle interpretazioni delle singole sculture del parco segnaliamo lo scritto dello studioso tedesco H. Bredekamp (“Vicino Orsini e il Sacro Bosco di Bomarzo”, Roma 1989).
Stravaganze e capricci
Il giardino di Bomarzo nasce come Villa delle meraviglie a ridosso del paese in cui risiedeva il Principe Orsini. L’ambito culturale in cui se ne concepisce la realizzazione è connesso a quella tendenza verso il fantastico che caratterizza il Manierismo. Sono questi gli anni in cui sono in voga le stravaganze più ardite che fanno infuriare i classicisti inorriditi da tante “licenziosità”.
In architettura sorgono giardini che sono vere e proprie sfide tra la natura e l’arte: Boboli a Firenze, Palazzo Farnese a Caprarola, per citarne solo due tra i più famosi, presentano grotte finte che nascondono l’artificio fatto di tubi e di stalattiti trasportate. Ma a questo periodo risalgono anche Palazzo Te a Mantova, Pratolino a Firenze, Villa Giulia a Roma, Villa d’Este a Tivoli, celebri esempi di residenze estive caratterizzate da fontane con giochi d’acqua, labirinti, congegni semoventi, ecc.
Il mondo mostruoso gioca un ruolo di primo piano all’interno di questa tendenza generalizzata, e, come ha notato Pinelli (“La bella maniera”, Torino, 1993), entra persino nelle città. Alla forma, basilare fino ad allora, si contrappone il concetto di metamorfosi con le opere di Ammannati e Buontalenti a Firenze; degli Zuccari a Roma a Palazzo Zuccari; Sebastiano Serlio idea addirittura un ordine “bestiale”. Il fenomeno viene avvertito anche in altre nazioni: in Spagna si parla si “estilo monstruoso” nel nord-Europa di “rollwerk” o “beschlagwerk”.
Tali follie artistiche si riscontrano anche in pittura: ha grande successo un pittore come l’Arcimboldo che dipinge raffigurazioni con ortaggi e frutti a sostituzione dei tratti somatici, ma, soprattutto, dominano le decorazioni a grottesca riprese dalle pitture nella Domus Aurea. Amate da Montaigne, che le ammira per la libertà da ogni tipo di regola, tali ornamenti sono allo stesso tempo avversate da Vasari che le definisce “una spezie di pittura licenziose e ridicole molto”. Chiunque le affonti nei numerosi trtattati dell’epoca non può fare a meno di considerarle pitture oniriche, per Daniele Barbaro “picturae somnium” (1556), per G.B. Armenini “chimere” (1586).
Anche Pirro Ligorio, l’artista a cui si deve il Parco dei Mostri di Bomarzo, è molto attratto dalle grottesche e da tutto ciò che appare terribile e capriccioso. Ciò che affascina Ligorio, però, è la possibilità di dare un senso a quel che sembra completamente irrazionale. Una specie di logica che studiosi come Chastel hanno ricollegato ai geroglifici: un sistema di segni densi di significato.
Pirro Ligorio è un architetto di grande fama nella seconda metà del ‘500: a lui viene affidata la direzione dei lavori vaticani dopo la morte di Michelangelo, e frutto della sua arte è la bellissima “Casina di Pio IV” che sorge nei giardini vaticani, nata per Paolo IV Carafa nel 1558 e decorata tre anni dopo sotto il papa Medici.
Anche qui, come a Bomarzo, alla base del progetto è il gioco intellettuale che fonde elementi della cultura classica, temi astrologici, valenze simboliche molto complesse.
Dal sito ARTE.IT il motore di ricerca dell'arte | Nexta
2 commenti:
Ciao! Ti ho citato come fonte per un articolo sul mio blog: http://paroleinviaggioblog.wordpress.com/2014/06/10/bosco-mostri-sacro-bomarzo/
spero sia cosa gradita :)
se ti va di farci un giro, sei il benvenuto!
Bene!
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