Per Giordano Bruno
(forse)
una riabilitazione
è vicina
Il Papa riceve Frei Betto, il teologo progressista
Intorno a San Pietro passa inosservato, quell’uomo dai capelli grigi in giubbotto di pelle non fa pensare a un frate predicatore né si direbbe abbia quasi settant’anni. Frei Betto, celebre teologo della liberazione brasiliano che nel 1969 patì le torture del regime militare, ha appena parlato con papa Francesco, qualche minuto al termine dell’udienza del mercoledì, tra i fedeli ammessi al cosiddetto «baciamano». Racconta: «Sono un domenicano e gli ho detto: Santo Padre, le chiedo e pongo nelle sue mani la riabilitazione di Giordano Bruno e Meister Eckhart, due domenicani come me...». E Francesco che cosa le ha risposto? «Mi ha sorriso e ha detto: “Prega per questo!”». Bruno, il filosofo degli «infiniti mondi», venne condannato come eretico e, «spogliato nudo e legato a un palo», arso vivo in Campo de’ Fiori,
«Pongo nelle sue mani la riabilitazione di Giordano Bruno e Meister Eckhart»
a Roma, la mattina del 17 febbraio 1600. Nel 1998 il cardinale Carlo Maria Martini, durante la «Cattedra dei non credenti» su scienza e fede, invitò a riconsiderarne la figura: «Potrebbe essere oggetto di uno di quei ripensamenti critici che la Chiesa intende fare per la fine di questo millennio». Di rado si parla invece della riabilitazione di Meister Eckhart, grande filosofo e mistico che ha avuto un’influenza enorme nel pensiero tedesco, da Hegel a Schopenhauer, e fu condannato da una bolla papale nel 1329, un anno dopo la morte. Frei Betto allarga le braccia: «Giovanni Paolo II chiese perdono per Galileo, la Chiesa può farlo anche con loro, del resto ogni teologo e pensatore va compreso e considerato nel suo contesto storico, distinto dal nostro...». È la seconda volta che Francesco incontra un teologo della liberazione. Resta memorabile la messa che il Pontefice ha celebrato l’11 settembre 2013 con Gustavo Gutiérrez, padre della Teología de la liberación, accompagnato dall’amico Gerhard Müller, il cardinale prefetto dell’ex Sant’Uffizio. «L’atteggiamento della Chiesa nei nostri confronti è molto cambiato. Avevo visto il Papa l’anno scorso, durante la Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro, ma non avevo avuto occasione di parlargli. Così ora ho ringraziato Francesco della lettera che ha mandato al tredicesimo incontro delle comunità di base, a gennaio in Brasile. È la prima volta di un Papa. E gli ho spiegato che non ci definiamo un movimento, come ha scritto: per noi le comunità sono la presenza della Chiesa alla base e la base della Chiesa», prosegue Frei Betto. «Gli ho chiesto anche che, come padre amorevole, abbia sempre un dialogo con quella figlia amorosa che è la teologia della liberazione, una figlia fedele che vuole bene alla Chiesa». E le deviazioni marxiste? Lui, amico di Fidel Castro, scuote la testa: «Sciocchezze. A parte che non esiste una teologia chimicamente pura, il problema è che c’era un contesto di rivoluzioni popolari, come in Nicaragua o in Salvador, ma la teologia della liberazione non è mai stata manipolata né ha mai provocato uno scisma. Tutti gli scismi nella Chiesa sono arrivati da destra, pensi a Lefebvre...». L’ultimo suo libro in italiano è il romanzo Quell’uomo chiamato Gesù (edizioni Emi, pagine 414, e 16) . Come Gutiérrez, Frei Betto cita una battuta dell’arcivescovo brasiliano Hélder Câmara: «Se do un pane a una persona affamata, la gente dice che sono un santo. Se chiedo perché questa persona ha fame, mi dicono che sono un comunista». Alla fine, conclude il teologo brasiliano, «ho salutato Francesco dicendo: extra pauperes nulla salus!, non c’è salvezza lontano dai poveri... E lui ha annuito: “Sono d’accordo”».
Questa è la mordacchia applicata a Giordano Bruno affinché non potesse più parlare prima del patibolo. Questo attrezzo era anche un oggetto di derisione dato che era munito di orecchie asinine come segno di infamia!
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