mercoledì 11 settembre 2013

Le radici delle divinità femminili

LA Dea Bianca - Tra i miti della Grande Dea


Il bianco disco d'argento della Luna continua da milioni di anni a rischiarare le scure notti terrestri, addolcendone le paurose ombre con la sua morbida luce soffusa. Nulla di strano che con il passare dei secoli la Luna, al pari del Sole, abbia acquisito agli occhi dell’umanità terrorizzata un valore quasi sacrale, diventando una divinità.
Il fatto strano è invece lo scarso rilievo che la Luna riveste nei pantheon delle grandi popolazioni che emergono nell'evo antico alla ribalta della storia: per gli Egizi, i Fenici, e ancor più per Greci, Romani e Germani, la Luna è solo una piccola divinità secondaria. Come mai? Una prima risposta, sia pure parziale, possiamo vederla nello scarso rilievo che in generale hanno tutte le divinità femminili se confrontate con l'enorme importanza che rivestono invece quelle maschili. Basta pensare a Osiride, Melkhart, Zeus, Giove, Wotan, Odino per convincersene.
Eppure... Eppure questa risposta è, lo si diceva, solo parziale. Infatti è vero che anche la Luna, come tutte le altre divinità femminili, viene relegata a un ruolo secondario, ma con un tratto del tutto particolare: infatti, mentre la maggior parte delle dee sono destinate a ricoprire il ruolo di compagne degli dei maggiori, la Luna avrà nel suo svilupparsi sacro piuttosto un ruolo di sorella o figlia.


Babilonia

Ma andiamo con ordine. Il primo filo da seguire per dipanare l'intricata rete di rapporti e di influenze culturali che portano alla definitiva stabilizzazione dell'idea di Luna (idea che poi sfocerà nelle caratteristiche che da sempre sono legate nel nostro immaginario collettivo al disco lunare) è quello che parte da Babilonia. Presso i Babilonesi, popolo tra l'altro anche di astronomi-astrologi (basti pensare alla mitica Torre di Babele o alle Ziqqurat piramidali), il padre celeste era Sin, dio del cielo. Egli aveva due figli: Samas, il Sole, e Istar, la stella Venere. Come si vede, la Luna non ha un ruolo particolare in questa triade somma. Tuttavia in essa compare appunto Istar, la stella più lucente del cielo al tramonto e al mattino, la stella che accompagna il sorgere della Luna. E poi vi è il fatto indicativo del nome stesso, Istar.


Fenicia - Egitto

Infatti, se prendiamo il secondo filo della matassa, quello fenicio, vediamo come nel loro pantheon vi fosse (e questa volta in un ruolo di grande rilievo) la dea lunare Ishtar, o Astarte. A fare da collante fra la tradizione babilonese e quella fenicia troviamo poi la religione egiziana. Qui è il caso di soffermarsi un attimo. Presso gli Egizi vi era un dio lunare: Thouth (dio, tra l'altro, della saggezza). Tuttavia vi era anche una dea, Iside, destinata a diventare una delle principali divinità dell'area mediterranea. Iside era la moglie di Osiride, il padre degli dei. Ella era anche, però, la stella Sirio, la più luminosa del cielo notturno, e veniva raffigurata spesso con il disco lunare sul capo o sotto i piedi. Col passare dei secoli, e con l'unificazione del bacino del Mediterraneo da parte dei Romani, questa divinità egizia vide diffondere il proprio culto in maniera incredibile, tanto che nei primi secoli dell'era cristiana il culto di Iside era quello più seguito e certo il più ricco della Roma imperiale.
Ancora una volta dobbiamo chiederci: come mai? Facciamo un primo punto della situazione: da un lato la Istar babilonese e la Isthar fenicia vengono pian piano a coincidere, dall'altro lo stesso fenomeno avviene fra la Ishtar fenicia e la Iside egiziana. Questo perchè sia Ishtar sia Iside hanno tratti lunari espliciti e perché la Istar babilonese e la Iside egiziana sono entrambe accomunate all'idea della stella più lucente del cielo notturno. La diffusione di Ishtar-Iside fu poi il frutto delle attività commerciali egizio-fenicie e della funzione veicolare determinata dalla conquista romana.


Grecia

Questo però avveniva sul versante meridionale e orientale del Mediterraneo. Cosa accadeva, invece, in Europa? Nella Grecia preclassica esisteva una coppia di divinità minori, fratello e sorella, legate rispettivamente al Sole e alla Luna: Helios e Selene. Queste due divinità in epoca classica vengono poi a fondersi con un'altra coppia di divinità non originarie del territorio ellenico, ma destinate ad assumere un ruolo importantissimo nel quadro mitologico greco: Febo (o Apollo) e Artemide. Essi venivano dalla vicina Tracia (l'odierna Bulgaria) ed erano anch'essi caratterizzati dall'essere fratello e sorella. Solo che le due divinità tracie erano molto più tipizzate nei loro tratti dominanti. Infatti Artemide era contemporaneamente la dea della caccia, delle selve e dei boschi, delle fiere selvatiche e delle nascite; era una dea vergine e apparteneva a una terra che, per definizione, rappresentava agli occhi dei Greci la quintessenza di tutto ciò che era barbaro e selvaggio. Non era forse la Tracia quella stessa terra mitica che una volta era chiamata Colchide e nella quale Giasone andò a prendere con i suoi Argonauti il favoloso vello d'oro? E non era sempre quella la terra di Medea, la maga incantatrice abbandonata da Giasone e crudelissima nel vendicarsi? Facile quindi spiegarsi il perché di questo assorbimento di Apollo e Artemide all'interno del pantheon greco e del loro innalzamento a divinità maggiori, anche se non dominanti: per i Greci del periodo classico, che tendevano a razionalizzare la mitologia per farla quadrare con una visione organica dell'universo, le figure di Apollo e di Artemide erano perfette. Il primo rappresentava a perfezione l'aspetto chiaro della vita: la civiltà, l'ordine, la logica, il raziocinio, il controllo dei sentimenti; Artemide rappresentava il lato opposto, la parte scura della vita: la nascita, la morte, i boschi e i monti, il disordine, le passioni violente, l'esotico, il selvaggio, l'impulsività, le contraddizioni (una dea vergine che presiede alle nascite...). Cosa ha a che fare tutto ciò con la Luna? Semplicemente questo: con la fusione di Artemide e Selene nasce una grande figura di dea che riassume in sé, oltre ai tratti già citati, anche quelli lunari. E, di converso, anche la Luna, nell'immaginario europeo, viene a colorarsi dei tratti originari della Artemide tracia. D'altra parte non era forse la Luna, in qualità di signora della Notte, anche la figura visivamente più adatta per legarsi indissolubilmente alla dea selvaggia dei boschi e delle fiere?


Immagine tratta dal sito http://www.cielidolomitici.it/

Roma

Ma facciamo un passo avanti e approdiamo a Roma. Anche qui troviamo la coppia fratello-sorella nelle figure di Apollo e Diana. Diana non è altro che la trascrizione fedele della Artemide greca. Essa riunisce in sé tre aspetti: è la dea celeste lunare, la dea terrestre della caccia, dei boschi e delle fiere, la dea infernale delle nascite e delle morti. Coll'espandersi di Roma in tutto il Mediterraneo arrivano poi a Roma. come si è visto, altre divinità lunari femminili, vale a dire Ishtar e Iside. Tutte insieme, queste tre dee contribuiscono in maniera definitiva a sancire i tratti iconografici, mitologici e fantastici che la Luna si porterà dietro nell'immaginario collettivo europeo fino al Medioevo e anche oltre. Non abbiamo tuttavia ancora risposto alla domanda principale: come mai le divinità lunari femminili non hanno mai rivestito una grande importanza nelle mitologie mediterranee in epoca storica? Difatti, anche con l'affermarsi nella Roma tardoimperiale del culto di Iside, va ricordato che doveva convivere con decine di altri culti provenienti da tutta l'area mediterranea e, soprattutto, che di lì a breve sarebbe stato schiacciato da una nuova religione trionfante: il Cristianesimo.


La cultura preindoeuropea

Quale fu dunque il motivo dell'intrinseca debolezza dei culti lunari? Per spiegarlo dobbiamo fare un passo indietro e ritornare in epoca protostorica. Dobbiamo tornare, in pratica, a un'epoca in cui in Europa non erano ancora giunti gli Indoeuropei (Latini, Greci, Celti, Germani, ..). Si tratta di un periodo storico assai nebuloso, che ci ha lasciato come testimonianza perenne della propria enigmaticità solo i giganteschi monumenti megalitici che costellano di pietre ritte contro il cielo tutta la costa occidentale dell'Europa, dalla Scozia e l'Irlanda fino all'isola di Malta. Si tratta di un periodo al quale si possono ascrivere nomi e monumenti quali menhir, dolmen, Carnac, Stonehenge, veri santuari di pietra, dove i megaliti si pongono in file, in cerchi, in altari, a sfidare la nostra intelligenza che cerca di capirne il profondo significato. Fino a non molto tempo fa si pensava che tali resti megalitici fossero resti sacrali celtici e, quindi, che fossero ascrivibili al periodo della dominazione indoeuropea. Studi più approfonditi hanno invece dimostrato che tali monumenti sono assai più antichi. Non solo. Gli studi dell'archeologa lituana Marja Gimbutas hanno anche mostrato come in Europa vi fosse in epoca protostorica un culto legato a una grande figura di Dea, matrona delle nascite e delle morti, una Dea legata al grande ciclo del divenire terrestre, un ciclo di morte e rinascita. La Gimbutas ha ricavato queste conclusioni facendo un'analisi comparata su un vastissimo materiale iconografico (dai graffiti alle statuette votive) raccolto nel corso di questo secolo in tutta Europa. Quello che più ci interessa delle conclusioni della Gimbutas sono però le connessioni lunari di questa grande figura di Dea madre, la Dea Bianca, come la chiama Robert Graves. Secondo la Gimbutas infatti la Luna sarebbe stata l'esatto corrispettivo celeste di questa grande madre terrestre. Il motivo è abbastanza semplice e tuttavia molto convincente: come la Dea madre sulla Terra governa il ciclo eterno di morte e rinascita attraverso il quale la vita si perpetua sul pianeta, allo stesso modo la Luna celeste mette in atto un suo proprio ciclo continuo in cui, attraverso le fasi, periodicamente muore e rinasce. Se a questo poi aggiungiamo il legame fisicamente evidente con le possenti maree del nord dell'Europa, con la periodicità del ciclo mestruale femminile e con l'orientamento chiaramente lunare di molte tombe megalitiche preindoeuropee, avremo un quadro abbastanza convincente dell'importanza del ruolo lunare all'interno di questa religione europea, legata a popolazioni agricolo-pastorali probabilmente stanziali e pacifiche.


Gli indoeuropei

Il quadro, però, cambia totalmente con l'arrivo dall'Est degli Indoeuropei: questi ultimi, cacciatori e guerrieri, si portavano dietro una forma di religiosità più aggressiva e legata a culti solari, con un Dio padre celeste, potente e guerriero, padrone del tuono e delle folgori (si pensi a Zeus, a Giove, al celtico Lug, al germanico Wotan o allo scandinavo Odino). Il vento di conquista indoeuropeo spazzò via il precedente culto della grande Dea e lo soppiantò con nuovi culti solari. Tuttavia nelle campagne il culto della Dea rimase, sia pure in una forma ridotta e meno solenne. Il motivo di questa permanenza è abbastanza semplice: nelle campagne i contadini, legati al raccolto e quindi naturalmente portati a cercare rassicurazioni riguardo la fertilità del terreno e alla possibilità della rinascita delle messi, continuavano a mantenere questo rapporto profondo con la terra madre che era stato anche il fondamento del culto della grande Dea bianca. Del resto anche gli stessi riti legati alla pietra e al fuoco che, pare, accompagnavano le cerimonie sacre in onore della grande dea, per il loro stesso essere rituali notturni e agresti si poterono mantenere con una certa integrità nelle campagne anche sotto la dominazione degli Indoeuropei. Il quadro della situazione era ulteriormente destinato a cambiare quando, come si è visto, nella Roma tardoimperiale giunsero a con-fondersi e a con-vivere tre diverse tradizioni lunari: quella autoctona preindoeuropea, quella tracio-greco-romana di Artemide/Diana e quella egizio-fenicia di Iside/Astarte. Per una breve stagione sull'Occidente europeo ebbe seguito e favore una religione che riuniva in sé tratti misterici (legati agli antichi culti preindoeuropei, ma anche ai culti legati ad Artemide da un lato e a Iside dall'altro) e tratti lunari. Breve stagione, però. Difatti, come la Dea Bianca era stata cacciata dall'arrivo degli Indoeuropei, così questa rinascita lunare tardoimperiale era destinata a scomparire in seguito alla rapidissima diffusione del Cristianesimo.


La tradizione giudaico-cristiana

Si apre così il terzo capitolo di questa nostra storia dell'immagine mitologico- religiosa della Luna. Come si può ben immaginare, la tradizione religiosa giudaico-cristiana si inserisce nel quadro delle grandi divinità maschili ed essenzialmente solari: abbiamo un Dio Padre, un Figlio che è vera Luce e così via. Ma non possiamo dire che nelcorpus biblico vetero- e neo-testamentario non vi siano accenni alla luna. Quello ebraico era un calendario lunare e quindi, non foss'altro che per questo motivo, va da sé che la Luna dovesse ricoprire un ruolo quanto meno di regolatrice del flusso temporale. Ma andiamo con ordine. Nella Bibbia la Luna assolve sostanzialmente a tre funzioni principali: 1. ricopre un ruolo apocalittico; 2. riveste un ruolo teologico; 3. rappresenta un elemento fisico-creazionale. Il libro probabilmente più significativo in cui compare la Luna è probabilmente l'Apocalisse di San Giovanni. Qui la Luna e gli Astri in generale si colorano di inquietudine, di mistero, in piena sintonia con un'età qual quella apocalittica, in cui si vive in contatto fra il terreno e l'ultraterreno: “la Luna si tinge di rosso..”. (Apocalisse 6, 12). Diversa è la funzione teologica. Qui la Luna che sorge e che illuminando il mondo compie il suo ciclo è un segno della stabilità che la grazia di Dio ha voluto dare alla storia dell'uomo: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” (Apocalisse 12, 1). Ancora differente è poi l'aspetto fisico-creazionale, per cui la Luna è un astro importante in quanto sconfigge le tenebre (e si sa il valore simbolico che il Cristianesimo attribuisce a queste) e in quanto illumina la via. Niente quindi che faccia pensare a una Luna in qualche modo divinità o entità autonoma, anzi: tutte e tre le letture la riconducono strettamente a un piano divino trascendente, relegandola a un puro aspetto simbolico. Difatti, spesso nei libri storici del corpus biblico si parla degli altri popoli idolatri che adorano al pari di altri astri anche la Luna, con un chiaro segno dispregiativo: “...perché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il Sole, la Luna, le stelle, tutto l’esercito del cielo, tu non sia trascinato a prostrarti davanti quelle cose e a servirle; cose che il Signore tuo Dio ha abbandonato in sorte a tutti i popoli che sono sotto i cieli” (Deuteronomio, 4, 19). Tuttavia ci sono almeno due passi che fanno pensare come la Luna non sia solo quello che appare e che, al contrario, sembrano ricollegarsi a un'altra tradizione, quella della grande dea che per un certo periodo ha retto le sorti religiose del bacino del Mediterraneo. Il primo è quello dell'Apocalisse più su citato, in cui compare un'immagine iconografica della Vergine Maria che si avvicina moltissimo a quelle tradizionali delle dee lunari, Artemide (in quanto Selene) in testa: e, d'altronde, non era Artemide anche la dea vergine per eccellenza? La somiglianza sarebbe spiegabile naturalmente per la comune cultura ellenistica dalla quale proveniva anche l'autore materiale dell'Apocalisse, San Giovanni. Il secondo passo è, invece, “Benedetta dal Signore la sua terra... il meglio dei prodotti del sole e il meglio di ciò che germoglia ogni luna...” (Deuteronomio 33, 13-14) in cui si parla di una Luna che fa germogliare, quasi fosse vicina a tutta una serie di tradizioni del resto vive ancor oggi, legate a una maggiore o minore fertilità determinata da influssi lunari; evidente pare il collegamento con la Grande Dea, soprattutto se si pensa che il calendario ebraico era lunare e che quindi il giorno dei sacrifici (il primo del mese) era sempre un giorno di Luna Nuova, mentre il giorno di giubilo per i raccolti cadeva alla metà del mese in coincidenza con la Luna Vecchia (o piena).

Dal sito http://www.geocities.com/Athens/3283/deabianca.html

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