Caravaggio, Marta e Maria Maddalena (1598 circa)
Il dipinto mostra un equivoco assai radicato in seno alla tradizione cristiana:
sorella di Marta era, infatti, Maria di Betania e non Maria di Magdala.
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di Antonio Pinelli

Fin dalla notte dei tempi, specchi, riflessie giochi d' ombre sono stati fra i principali strumenti di lavoro degli artisti, ma hanno anche svolto un ruolo centrale nella trattatistica che si è interrogata sulle origini dell' arte, dibattendo sulla sua natura, i suoi limiti, i suoi pregi. Secondo Plinio il Vecchio, i Greci attribuivano l' invenzione della pittura alla figlia di Butade, un vasaio di Corinto, che essendo innamorata di un giovane in procinto di partire per la guerra, ne aveva ricavato un ritratto, ricalcandone la silhouette proiettata sulla parete dalla luce di una lampada. Il racconto di Plinio mette in relazione la nascita della pittura con quella della scultura. Il giovane, infatti, muore in guerra e Butade, per consolare la figlia, trae da quel ritratto bidimensionale un simulacro a tre dimensioni in argilla, che diverrà oggetto di culto presso il tempio di Corinto. Anche se fantasiosamente poetica, questa leggenda non è poi così implausibile: basti pensare ai profili netti della pittura vascolare greca a figure nere e al ruolo svolto dalle ombre proiettate dalle torce nelle grotte del Neolitico, sulle cui scabre pareti si affollano le immagini di cervi e bisonti. Ma anche se fosse priva di fondamento, questa leggenda conserva un nocciolo di verità su cui vale la pena di indugiare, perché da una parte apre uno spiraglio su espedienti di cui effettivamente gli artisti si sono sempre serviti, dall' altra collega l' arte a quelle funzioni magico-esorcistico e di culto - propiziare una cattura o scongiurare una perdita, fermare il tempo, fissare il ricordo, tramandare il transeunte - che da sempre ne costituiscono uno degli scopi principali, alimentandone il ben noto potere di fascinazione. Se poi associamo questo tema dell' ombra e dell' arte come «riflesso di un riflesso» alla teoria cognitiva affidata da Platone al famoso mito della caverna, secondo cui gli uomini percepiscono la realtà non direttamente ma attraverso le ombre da essa proiettate, abbiamo tutti gli elementi per risalire, da una parte alla secolare polemica di stampo platonico sui limiti conoscitivi dell' arte, che sarebbe parvenza di una parvenza, dall' altra all' origine delle accuse che spesso hanno accompagnato l' arte nella sua pretesa di rispecchiare la verità. Denigrazioni di cui lo specchio è stato usato come principale simbolo ed emblema: specchio come fonte d' inganni e aberrazioni (ottiche e mentali); specchio come strumento e campo di manovra del Diavolo, che se ne serve per solleticare la vanità femminile ma anche maschile, come nel mito di Narciso, che si perde per seguire la propria evanescente immagine nello specchio di una fonte. Ed ecco allora nei dipinti di tanti artisti nordici, come Baldung Grien, i teschi e i corpi in disfacimento far capolino a turbare l' autovagheggiamento delle belle alla toletta e ammonire sulla cruda verità della Vanitas vanitatum. Ma anche lo specchio come attributo della Prudenza (che riflette, non agisce d' impulso): valgano per tutti un celebre dipinto di Giovanni Bellini o la Marta e Maddalena di Caravaggio, dove lo specchio che ha fomentato la vanità di Maddalena si trasforma in strumento di conversione, perché riflette il «prudente» argomentare di Marta, che convincerà la bella a cambiar vita. In tutti questi dipinti compare quello specchio convesso, che nella tizianesca Donna allo specchio del Louvre, fuoco dell' odierna mostra, ha il compito di far sì che la dama, cui il servizievole compagno porge anche uno specchietto piano, possa controllare la propria nuca e le spalle, giù fino alle reni. È lo stesso tipo di specchio che Van Eyck ha introdotto nel suo celebre ritratto dei coniugi Arnolfini, per mostrarceli anche di spalle e far intravedere se stesso che ne dipinge le fattezze. Lo stesso specchio in cui Parmiginanino si autoeffigiò, con la sua mano in primo piano deformata a dismisura dall' effetto fish eye, emblema di un' arte che infrange le regole e il culto della forma attraverso la deformazione per istituire un nuovo e più elegante canone di bellezza fondato sulla «sproporzione»(la Madonna con il collo lungo ). O, per dirla con Vasari, in favore di una «graziosissima grazia che ecceda la misura». Sulla Donna allo specchio di Tiziano ha ragione Gentili nel sostenere che, pur discendendo da modelli consolidati come la Venere allo specchio o la Vanitas, l' assenza di un qualsiasi travestimento o segnale specifico ci fa intendere che il pittore ha scartato le allusioni mitologiche e moraleggianti, per farne un' opera straordinariamente aperta e moderna. Ma non si può fare a meno di ricordare che quel gioco di specchi che consente alla pittura di mostrare «tanto il dinanti che il di dietro» (Pietro Aretino) è legato al «paragone delle arti», tanto caro alle dispute cinquecentesche, perché mostra come la pittura possa ovviare a quell' assenza di tridimensionalità che la scultura rivendicava a proprio vantaggio. Un espediente, quello di inserire nel dipinto superfici specchianti che moltiplichino le vedute del soggetto riprodotto che, sulla scorta di un famoso quadro perduto di Giorgione, è messo teatralmente in mostra da un celebre dipinto di Savoldo, il cosiddetto Ritratto di Gastone di Foix. Mentre dal canto suo il Bronzino, stimolato dall' inchiesta del Varchi sulla «maggioranza delle arti», offrì una strepitosa dimostrazione della superiorità della pittura sulla scultura, ritraendo il nano Morgante nudo sia di fronte che da tergo su un' unica tela double face che in questi giorni si può ammirare a Palazzo Strozzi.

SPECCHI E RIFLESSI ETERNA OSSESSIONE DEGLI ARTISTI - La Repubblica