martedì 28 aprile 2015

Capo Colonna da tempio di Hera lacinia a santuario cristiano di Santa Maria di Capo Colonna



Capo Colonna e l'asfalto
Molti anni fa, villeggiando nei pressi, andai a visitare Capo Colonna. Come certamente sapete, a Roma esistono tante di quelle colonne che ci si scherza pure sopra; ebbene, vi confesso che quell'unica colonna, affacciata sul mare azzurro, mi è rimasta nel cuore. Forse qualcuno non conosce la storia del Santuario di Hera Lacinia ed allora provvedo subito (per chi la conosce potrebbe essere un ripasso).
Capo Colonna è uno dei luoghi simbolo della grecità d'Occidente; è uno dei siti archeologici più famosi della Calabria, ed anche uno dei santuari più importanti e meglio conosciuti della Magna Grecia.
E' situato sulla costa ionica della Calabria a circa 11 km a sud della città di Crotone.
Il Capo era noto nell'antichità come Capo Lacinio, la stessa dea ne prese l'appellativo di Lacinia Oggi è detto Capo Colonna, da ciò che rimane dell'antico edificio sacro. Come dicevo, l'immagine della colonna isolata, che si staglia sull'azzurro del mare che si confonde col cielo, unica superstite di una costruzione possente, evocatrice di un passato glorioso, suscitava, e suscita, nel visitatore emozioni irripetibili.
Il promontorio è stato teatro di numerosi avvenimenti mitici e storici. Qui si era fermato Eracle, di ritorno dalla Spagna con i buoi sottratti a Gerione, e, nel subire un tentativo di furto delle mandrie da parte di Lakinios, lo uccise ed assieme a questi, per errore, ferì a morte anche il figlio Kroton, eponimo della città che lì sarebbe stata fondata.
Numerosi furono i viaggiatori stranieri che, nel XVIII e XIX secolo, visitarono il sito che costituiva una tappa del Grand Tour, visite di cui restano i resoconti di viaggio.
La tradizione antica riteneva il Lacinio una sorta di Eden, dove mandrie di animali sacri di ogni specie pascolavano senza pastore in un rigoglioso bosco-giardino, ritirandosi la sera nelle stalle, senza temere offesa da alcuno. Hera proteggeva la navigazione, che nel promontorio trovava un riferimento essenziale per il cabotaggio nel golfo di Taranto.
Ma era soprattutto liberatrice, come indicano un cippo in calcare ed un frammento di sostegno in marmo. Questo santuario infatti, era luogo di riparo e di asilo come lo erano i santuari di Hera a Samo e ad Argo, famosissimi nell'antichità. Al Lacinio sono stati trovati frammenti di tabelle di bronzo, dedicate alla dea, che attestano la ritrovata libertà di prigionieri e schiavi.
Assai famose erano le feste annuali in onore della dea, che radunavano sul promontorio tutti gli italioti venuti dalle varie città della Magna Grecia.
Molti personaggi del mito e della storia offrirono nel tempio di Hera Lacinia i propri doni.
Tra i più famosi ricordiamo: Enea, che vi dedicò una coppa di bronzo recante il proprio nome nell'iscrizione dedicatoria, ed Alcistene di Sibari, il cui manto, intessuto con fregi d'oro e raffigurazioni di divinità olimpiche, offerto ad Hera alla fine del VI secolo a.C., fu depredato da Dioniso I nel 378 a.C. per poi essere da lui rivenduto ai Cartaginesi nel 374 a.C. per l'enorme cifra di 120 talenti.
Lo stesso Pitagora consigliava di offrire alla dea le vesti più belle e lussuose.
Zeusi, pittore famosissimo, che girava nell'Atene del V secolo a.C con il proprio nome intessuto in oro sulla veste, dipinse nel santuario del Lacinio le storie di Elena di Troia, prendendo come modelle le più belle fanciulle di Crotone.
Tra il VI e il V secolo a.C. gli atleti di Crotone ricevettero grandi riconoscimenti durante le gare che si svolgevano ad Olimpia a partire dal 776 a.C., tra questi ricordiamo Milone e Astilo, le cui statue si trovavano ad Olimpia e al Lacinio.
Dal santuario di Hera Lacinia passò anche Annibale, che vi si fermò nell'estate del 205 a.C., prima di fare ritorno in Africa per fronteggiare Scipione. Qui egli commise due atti empi: fece uccidere gli Italici che non volevano seguirlo in Africa e che si erano rifugiati supplici nel tempio e tentò di impossessarsi di una colonna del tempio fatta completamente di oro massiccio, frutto dei ricavi dell'allevamento del bestiame. Ma dopo averne verificato la consistenza, prelevandone un pezzo, fu dissuaso dalla stessa Hera che in sogno lo minacciò di fargli perdere l'unico occhio rimastogli. Cosicché Annibale rinunciò all'impresa e con l'oro trapanato fece fabbricare una piccola vacca che pose sulla colonna come offerta alla dea. Prima di ripartire, il cartaginese fece incidere nel bronzo le proprie imprese in lingua punica e greca.
Il santuario era noto anche per altri prodigi. Lo storico Tito Livio narra che la cenere dell'altare del tempio non si sollevava né si disperdeva nonostante i forti venti a cui essa era esposta; riporta, inoltre, che se una persona scriveva il proprio nome con il ferro su una tegola del tempio, il nome scompariva alla morte dello stesso.
Leggo adesso che qualcuno ha provveduto a stendere un manto di cemento dove erano questi reperti. Propongo che i responsabili siano "convinti" ad offrirsi volontari per unirsi all'ISIS. Tutti noi saremo in grado di fornire referenze adeguate.
di Francesco Ottaviani

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