sabato 7 aprile 2012

E le praterie divennero proprietà....



Il grande olocausto dei nativi americani – quinta parte


La quinta fase (1865-1891) è quella che consolida definitivamente la conquista del West attraverso un massiccio movimento migratorio, incoraggiato dal “Homestead Act” del 1863, che dichiarava proprietario di un terreno chi vi risiedeva stabilmente per almeno cinque anni. Di fronte a questo movimento migratorio, i territori Indiani vennero progressivamente sempre più ridotti e schiacciati verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Il governo non trovò altra soluzione che rinchiudere ciò che restava dei nativi nelle famigerate riserve: territori piccoli in cui gli Indiani erano costretti a una povera sussistenza attraverso gli aiuti federali, che erano per lo più inconsistenti. Spinti più dalla fame che non dà altro, gli abitanti delle riserve spesso sconfinavano alla ricerca di alimenti arrivando di conseguenza allo scontro con i coloni e con le immaginabili conseguenze. Gli Indiani in vita all’inizio di questa fase erano circa 175.000 nelle pianure e altri 75.000 nelle Montagne Rocciose (a fronte di oltre un milione all’inizio della colonizzazione) costituendo di fatto l’ultimo “Territorio Indiano” (corrisponde circa all’attuale Oklahoma). Delle tribù facenti parti di questi ultimi sopravvissuti ve ne erano di pacifiche(che progressivamente si estinsero) e di più bellicose (Sioux, Cheyenne , Comanche, Apache per citare solo le più note). Queste ultime furono protagoniste degli ultimi episodi di resistenza agli invasori e vennero definitivamente sconfitte nel 1891. Nel 1899 anche il Territorio Indiano fu aperto alla colonizzazione (chiamate ipocritamente “civilizzazione”) terminando definitivamente il processo di conquista del Nord America.
L’evento che aprì questa fase avvenne nell’Arizona, dove nei pressi di Tucson si consumò un orrendo massacro. Nei pressi della città si era insediata una tribù di Indiani Arivaipa, dell’ etnia degli Apache, in tutta legalità e disarmati,guidati dal capo Eskimizin. Dal momento che in Arizona, alcune bande Apache avevano compiuto delle scorrerie, un gruppo di delinquenti (che si facevano chiamare Tucson Ring, che fomentava volutamente lo scontro allo scopo di trarne profitto) aizzò gli abitanti della città contro la tribù di Eskimizin. I suoi membri vennero assaliti nel sonno e 144 di essi vennero uccisi:tutti donne e bambini,visto che i guerrieri erano assenti per la caccia. Eskimizn venne poi sconfitto in altri scontri e alla fine la sua tribù chiese la pace. Stessa cosa fece Cochise.
Quasi tutti gli Apache ormai erano confinati nelle riserve. A coloro che si rifiutarono, il generale Crook diede una caccia spietata, finché li costrinse all’internamento o li uccise. Le condizioni di vita all’interno delle riserve erano comunque al limite della sopportazione umana e a rendere ancora peggiore la situazione contribuivano agenti governativi a cui in realtà non importava nulla delle condizioni degli Indiani lì rinchiusi, ed anzi approfittavano della loro posizione per arricchirsi vendendo i beni destinati agli Indiani. Ben presto alcuni gruppi di guerrieri guidati da capi quali Victorio, Geronimo, Juh, Natche (figlio di Cochise) uscirono dalle riserve e presto nacquero i soliti scontri con i coloni. Messicani e americani si accordarono per mettere fine alle scorribande degli Apache: si contò un totale di circa 10.000 uomini tra soldati e volontari alla caccia di poche decine di guerrieri Indiani. Dopo anni di caccia continua, gli Indiani si arresero nel 1886 e vennero deportati in Florida in un minuscolo territorio dove la fame e gli stenti contribuirono a decimarli definitivamente.
Per quanto riguarda le pianure del Nord (la famosa “Prateria”), gli avvenimenti furono praticamente identici. In questa zona, già devastata dalle epidemie degli anni passati, le nazioni indiane rimaste erano quelle dei Sioux, degli Arapaho e degli Cheyenne del Nord. I Sioux, i più numerosi, a loro volta suddivisi in sette tribù, divennero presto tenaci avversari dei colonizzatori avanzanti. Visto il gran numero di emigranti che si era trasferito sulle loro terre, gli Indiani capirono che per la loro sopravvivenza era necessario non permettere ai bianchi (che i Sioux chiamavano “Wasichu”, ossia “ladri di grasso”), di espandersi ulteriormente nelle loro terre. Venne così firmato il trattato di Fort Laramie nel 1851, che assegnava agli Indiani un vasto territorio e 50.000 dollari annui. Naturalmente, questo trattato non soddisfaceva le mire espansionistiche degli statunitensi che cercarono subito un pretesto per riaprire le ostilità. Bastò un piccolo incidente: una vacca di proprietà di un agricoltore mormone, si era sperduta nel campo dei Brulè (una delle sette tribù dei Sioux) nei pressi di Fort Laramie, dove fu abbattuta e consumata dalla tribù. I bianchi pretesero violentemente la consegna del colpevole e, durante la trattativa, partì un colpo di fucile che uccise il fratello del capo della tribù, Stirring Bear. Ad una minima reazione indiana seguì una violenta sparatoria in cui poi lo stesso Stirring Bear rimase ucciso, così come tutti i militari che erano intervenuti. Ora i bianchi avevano il pretesto che cercavano. Il generale Harney, incaricato della spedizione di rappresaglia dichiarò prima della partenza, che “voleva il sangue” e lo ebbe: una volta rintracciati i Brulè, attaccò il loro campo lasciando sul terreno 136 cadaveri Indiani, soprattutto civili disarmati. Questo fu il primo di una lunga serie di rivolte e conseguenti repressioni che insanguinò per 40 anni le Pianure del Nord.
L’evento più tragico fu la rivolta dei Santee (nome che comprendeva quattro diverse tribù di etnia Sioux) scoppiata in Minnesota nel 1862. Questi Indiani erano stati costretti a firmare un infame trattato nel 1851, in seguito a cui furono confinati in una minuscola riserva con un compenso di 40.000 dollari ogni lustro (pagata sempre con pesanti ritardi), e, come se non bastasse, alcuni coloni si insediarono sul già esiguo territorio loro assegnato. I Santee morivano di fame, mentre i mercanti rifiutavano di vendere loro merce a credito. Uno di questi mercanti disse una frase che passò alla storia : “Se hanno fame,che mangino l’erba!”. Di fronte ad un simile atteggiamento i fatti precipitarono ben presto. Il capo dei Santee, Little Crow, decise per una manifestazione pacifica di fronte a Fort Ridgley per pretendere l’annualità, ma, venuto a conoscenza dell’omicidio di una famiglia di coloni, da parte di alcuni suoi guerrieri in cerca di cibo, fu costretto,vista la prevedibile reazione dei bianchi, a scegliere la via della guerra. I Santee erano esasperati e si accanirono a distruggere ogni cosa e uccidere qualunque bianco capitasse loro sotto mano. Il terrore calò sulla frontiera, mentre 40.000 coloni abbandonarono le loro case e fuggirono ad Est. L’avanzata indiana, dopo l’iniziale successo, venne però fermata a Fort Ridgley, ed in seguito, frantumata dalla risposta americana. Il colonnello Sibley fu incaricato dal suo superiore, generale Pope, della repressione e, in diversi scontri riuscì a sconfiggere i Santee. Dopo la resa, questi ultimi videro decadere i loro diritti e deportati in una nuova riserva, prima in Dakota e poi in Nebraska – sorte che toccò anche agli Winnebago, nonostante non avessero preso parte a nessuna azione. In tutto il Minnesota non restarono che 374 Indiani. Questa rivolta era costata ai bianchi quasi 700 morti civili e circa un centinaio di caduti tra l’esercito. Coloro che invece non accettarono la resa, stretti attorno ai loro capi, Little Crow e Inkpaduta, si accamparono a Devil’s Lake. La guerra avrebbe potuto considerarsi conclusa, ma il generale Pope decise di eliminare ogni focolaio di resistenza e preparò una spedizione contro gli ultimi Sioux ribelli, guidati da Inkpaduta (Little Crow era stato ucciso alcuni anni prima da un cacciatore di taglie), scatenando così un conflitto tremendo che sarebbe finito solo nel 1891. La spedizione partì nel 1863 sotto la guida del colonnello Sibley e del generale Sully e attaccò il villaggio di Devil’s Lake, dal quale gli Indiani riuscirono però a fuggire,lasciando però a terra 30 caduti. La campagna si risolse in pratica in un lungo inseguimento durato per due mesi in cui i seguaci di Inkpaduta vennero scacciati e respinti verso Ovest pagando un alto prezzo ,ma mai sconfitti definitivamente. Del resto queste campagne non fecero che rendere sempre più dura la resistenza dei Sioux. Nel 1865 la notizia del massacro eseguito l’anno precedente dal colonnello Chivington si sparse immediatamente tra gli Indiani. All’inzio di quell’anno migliaia di guerrieri tra Cheyenne, Sioux e Arapaho erano pronti a dare battaglia per scacciare i bianchi dalle pianure. La guerra durò tre anni e consacrò alla storia i nomi di capi eroici quali Red Cloud,Crazy Horse, Gall,White Bull, Roman Nose e molti altri.In questi tre anni si combatterono molte battaglie con alterne fortune,nei quali i bianchi riuscirono a riportare solo successi parziali di fronte alla durissima resistenza indiana. Nell’Aprile del 1868 i capi Red Cloud e Gall firmarono un trattato con i quale le loro richieste vennero esaudite:ai Sioux veniva concesso “per l’eternità” il territorio a Nord dell’alto corso del fiume Platte e ad est delle montagne del Big Horn,più la possibilità di cacciare i bisonti fuori da tale territorio.Un altro massacro che avvenne come appendice a questa guerra merita comunque di essere menzionato:il 23 Gennaio 1870 il maggiore Baker attaccò di sorpresa un villaggio di Blackfeet,accusati di avere rubato dei cavalli ai bianchi:su poco più di 200 Indiani presenti,e vennero massacrati oltre 180,di cui ben 140 era donne e bambini.
Come al solito gli Indiani diedero troppa fiducia alla parola dei colonizzatori e un solo anno dopo la firma del trattato,nel 1869,questo venne trasgredito e agli Indiani si vietò la caccia fuori dalle riserve,mentre poco dopo venne decisa la costruzione di una ferrovia che avrebbe tagliato in due la terra dei Sioux. A protezione dei costrutori vennero costruiti diversi forti difesi da guarnigioni dal grilletto facile che accoglievano a fucilate qualunque indiano si presentasse alla loro vista.
Il colpo di grazia però venne quando sulle Black Hills,la montagna sacra dei Sioux,venne scoperto l’oro. Nel giro di due anni venne fondata una città nel paese indiano,Custer City,dal nome del generale che aveva scoperto il giacimento e che contava già 11.000 abitanti,i quali non avevano nessun riguardo per i diritti degli Indiani ,i quali naturalmente rifiutarono di vendere quel territorio che consideravano sacro e gli americani decisero quindi,secondo la prassi ormai ben conosciuta, di costringerli con la forza. Ancora una volta i Sioux guidati da Crazy Horse e Sitting Bull e gli Cheyenne di Dull Knife si dimostrarono dei durissimi avversari sconfiggendo prima la spedizione del generale Crook nella battaglia di Rosebud e poi quella del generale Custer nell’epica battaglia di Littel Big Horn, nella quale un’intera unità americana,il 7° Cavalleggeri venne annientato. Dopo altri successivi scontri minori,alla fine si giunse ad un accordo nel 1877,con cui si rinunciava a deportare i Sioux in Oklahoma:essi potevano continuare a vivere nel loro territorio,ulteriormente mutilato. Quanto agli Cheyenne di Dull Knife, essi deposero le armi e vennero deportati a Sud nella riserva di Darlington attraverso una lunghissima marcia in condizioni disumane. Al loro arrivo trovarono un ambiente completamente diverso dal loro ed inospitale,tanto che molti morirono in pochi mesi di malattie e denutrizione. Nel 1878, un gruppo di circa 300 Cheyenne guidati da Dull Knife e Little Wolf,del quale solo 89 uomni decise di fare rientro nella propria terra. La situazione era tragica e paradossale: le autorità degli Stati Uniti mobilitarono 12.000 uomini per impedire a questi pochi Indiani di rientrare nella loro patria. Nonostante le durissime condizioni di marcia e la pressione militare incessante,questi Cheyenne riuscirono a raggiungere di nuovo la Prateria,dove si divisero in due gruppi sotto la guida di ciascun capo. A questo punto i militari catturarono il gruppo guidato da Dull Knife e lo imprigionarono a Fort Robinson. Nel 1879 si decise cosa fare di loro: dovevano essere deportati nuovamente in Oklahoma. Era una decisione apparentemente priva di senso, come tutte le deportazioni di cui furono vittime gli Indiani,ma in realtà lo scopo era ben preciso: annientarli sistematicamente lasciando che la fame,le malattie e le fatiche sostituissero le pallottole. I Cheyenne ormai capirono che non restava loro altro che vendere cara la pelle e il 9 gennaio del 1879 decisero per la fuga. Nel corso di successivi inseguimenti e combattimenti, vennero tutti massacrati,eccetto per la famiglia di Dull Knife,che riuscì a raggiungere la riserva di Pine Ridge dopo altri 18 giorni di marcia,e nella quale fu concesso loro di stabilirsi. Quanto agli altri Cheyenne,sotto la guida di Little Wolf,riuscirono ad ottenere una riserva sul fiume Tongue.
Conclusesi queste aspre lotte,ormai gli Indiani erano tutti stati confinati nelle riserve e gli Stati Uniti ormai apparivano ormai padroni incontrastati del Nord America. Tuttavia il sangue era ancora destinato a scorrere.Infatti i Sioux soffrivano sempre di più la fame e i continui sorprusi. Temendo una sollevazione imminente, vennero mandati dei distaccamenti di poliziotti Indiani a parlamentare con i Sioux. Fu durante uno di questi incontri,il 15 dicembre del 1890,che si verificò un incidente, nel quale Sitting Bull venne ucciso.Ma l’incidente più grave avvenne a Wounded Knee, dove il capo Big Foot si era regolarmente accampato con la sua tribù che contava 230 donne e bambini e 120 uomini,sotto la sorveglianza di 470 militari del ricostituito 7° Cavalleggeri. Il 29 dicembre 1890 ,i soldati iniziarono una brutale perquisizione del campo e durante di essa,venne esploso un colpo di fucile che colpì un soldato. Gli statunitensi non aspettavano altro e aprirono un fuoco violentissimo usando anche i mitragliaori pesanti. Si calcola che in questo macello morirono circa 300 Indiani che vennero trucidati con i metodi più brutali senza nessuna distinzione:persino i bambini vennero fatti a pezzi a colpi di sciabola. Questo massacro spezzò per sempre il sogno di libertà del popolo Sioux:ormai le forze in campo erano talmente sproporzionate che ogni resistenza era considerata vana. Nel 1891 tutti gli Indiani vivevano nelle riserve:per arrivare a questo punto di calcola che l’80% dei nativi del Nord America vennero deliberatamente sterminati con un preciso piano di annientamento.Si spiegano così le lunghissime marce forzate nelle stagioni più dure,o l’omicidio volontario di moltissimi bambini secondo l’idea per cui :”le larve generano vermi”.
Per troppo tempo su questa vicenda,come su altre analoghe, si è intenzionalmente steso un vergognoso velo di interessato silenzio. Ogni popolo di questo pianeta ha i suoi scheletri nell’armadio ed è ora che ognuno metta da parte la sua apparenza di buonismo ipocrita od ogni pretesa superiorità morale o culturale con la quale giustifica veri e propri abusi nei confronti della sovranità di altri paesi. Dalla fine del genocidio dei nativi d’America è passato un secolo,ma la mentalità degli imperialisti è mutata solo nella forma ,restando identica negli scopi di sottomettere chiunque non si pieghi alla loro volontà di egemonia.
A questo scopo valgono gli usi di questo o quel torto subito,olocausto o meno ,sfruttato e strumentalizzato,usato come un’armatura che rende inviolabile e sempre giustificato chi la indossa, disonoronando e umiliando per primi proprio quegli sventurati che la violenza della repressione l’hanno subita, facendo apparire chiunque sia intervenuto in loro difesa come degli imperituri eroi a cui tutto è consentito. Anche in quest’ultimo caso si è comunque fatta una vergognosa distinzione: nella liberazione dei campi di concentramento nazisti non sono intervenute solo le “liberatrici” armate occidentali,ma anche l’esercito sovietico(che ha pagato 26milioni di caduti a sua volta),ma che non è affatto stato presentato come liberatore dalla storiografia occidentale.
Se il genocidio indiano è stato dimenticato è solo perché di esso non vi era nulla da sfruttare: per essi non verrano mai indette “giornate della memoria” ,né verrano presentati come demoni dalla stampa “politically correct” coloro che avranno tesi “negazioniste” o “revisioniste” a riguardo.
Oggi,ciò che ci hanno lasciato gli eroici difensori del Nord America è un grande insegnamento, che ogni giorno i fatti quotidiani non cessano di ribadire:che di fronte alla sete di conquista degli imperialisti di ieri e di oggi,non c’è accordo, organizzazione internazionale o principio morale che tenga. Agli Indiani ieri,così come ai popoli sovrani di oggi non restano che due scelte:arrendersi o resistere. Il modus operandi degli Stati Uniti,fin dalla loro fondazione come abbiamo visto, non è affatto cambiato,ma si è solamente esteso al resto del mondo. Così come un tempo si spingevano le tribù indiane a rinunciare alle armi,in cambio della pace,oggi si fa lo stesso con gli Stati sovrani,e quando questi hanno deposto l’ultimo fucile,si approvitta della situazione per annientarli.
Così come durante conquista dell’America si spingevano le nazioni indiane,alternando le promesse alle minacce,a massacrarsi tra di loro,oggi si fa lo stesso soffiando sul fuoco di movimenti fondamentalisti o separatisti,usando l’arma evolutissima dei mass media,che se fosse esistita ai tempi delle guerre indiane,probabilmente queste ultime sarebbero durate al massimo una decina di anni. Ma naturalmente queste pagine della storia sono molto scomode per chi la storia,purtroppo oggi da noi la scrive,e naturalmente vengono sminuite o sviate:nei libri di scuola si parla molto dei conquistadores spagnoli e dello sterminio di Inca,Maya e Aztechi,ma nulla viene detto della storia degli Indiani del Nord America. Riguardo a ciò si citano sempre la guerra d’Indipendenza contro i “padroni” inglesi, la guerra di Secessione contro gli schiavisti del Sud e il pittoresco scenario del West con tutta la sua schiera di personaggi da cinema presentando la nascita degli USA come un evento misto di eroismo,libertà ed intraprendenza.
Nessuna autorità occidentale oggi taccia gli Stati Uniti come violatrici di quei tanto sbandierati “diritti umani”.I cattivi sono sempre loro:tedeschi, russi,cinesi e arabi e tutti coloro che a seconda della fase storica conviene attaccare. Chissà da che parte starebbero oggi i capi della resistenza indiana se potessero vedere quello che gli eredi dei loro carnefici stanno facendo oggi al mondo.

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