martedì 21 luglio 2020

Il tempio dedicato ad Artemide ad Efeso, una delle sette meraviglie del mondo antico



A voler dar credito allo scrittore greco Plutarco, nel lontano 356 a.C due avvenimenti importanti accaddero la notte del 21 luglio. A Pella, in Macedonia, nacque un bambino che avrebbe poi conquistato una fama immortale, uno dei più grandi imperatori dell’atichità, Alessandro Magno. 

Quella stessa notte, al di là del Mar Egeo, nella colonia greca di Efeso (nell’attuale Turchia) un uomo qualunque era deciso a conquistare l’immortalità. 
Per raggiungere il suo scopo non trovò di meglio che dare fuoco a una delle sette meraviglie del mondo antico, il Tempio di Artemide a Efeso. Addirittura, coloro che lo avevano visto ne parlavano come la più grande delle sette meraviglie, impressionante per le sue dimensioni e per la suggestiva collocazione tra la città e il mare.

Il tempio dedicato alla dea Artemide, detto anche Artemision, era forse l’edificio più grande dell’epoca: secondo lo scrittore di viaggi Pausania superava “tutti gli edifici tra gli uomini”. In effetti, era praticamente grande il doppio del Partenone di Atene, con i suoi (circa) 125 metri di lunghezza e 66 di larghezza, e con le 127 colonne di marmo alte più di 18 metri, a formare due file intorno alla cella dove era custodita la statua lignea della dea.
Per costruirlo, secondo Plinio il Vecchio, c’erano voluti 120 anni, ma la storia del tempio è in realtà molto più lunga. Nel VII (o forse nell’VIII) secolo a.C. era stato eretto un tempio più semplice dedicato ad Artemide, in un luogo all’aperto già sacro alla dea. Poi, durante il regno di Creso (re della Lidia), che aveva conquistato Efeso, iniziarono i lavori di edificazione dell’Artemision, all’incirca intorno al 550 a.C. Pare che il ricchissimo sovrano abbia finanziato in parte la costruzione del tempio, che è conosciuto anche come “tempio di Creso”.
Era talmente bello e imponente l’Artemision di Efeso, che sembrava impossibile fosse opera solo degli uomini. Gli Efesî credevano che senza l’intervento della dea gli enormi blocchi degli architravi (del peso stimato di circa 24 tonnellate ciascuno) non sarebbero mai stati portati così in alto, a sormontare le splendide colonne decorate con figure a rilievo.
Secondo il poeta Pindaro invece, forse per il fregio decorativo dov’erano raffigurate scene con le Amazzoni, il tempio era stato costruito addirittura dalle leggendarie donne-guerriere, che cercavano rifugio a Efeso durante i loro scontri con Eracle.
Insomma, una meraviglia senza uguali secondo Antipatro di Sidone:
“…tranne l’Olimpo, il Sole non ha ancora mai contemplato nulla di simile”
Quella notte del 21 luglio la dea Artemide (che a Efeso era venerata soprattutto come dea della fertilità), secondo Plutarco, era troppo impegnata ad assistere alla nascita di Alessandro per accorgersi che la sua magnifica casa di Efeso andava a fuoco.
Per giunta per mano di un uomo insignificante di nome Erostrato, un pastore alla ricerca di una fama imperitura, che pensò bene di procurarsela incendiando il grandioso tempio, dove il fuoco arse senza fatica per la trabeazione in legno, forse a partire proprio dalla statua della dea.
Gli Efesî condannarono a morte l’empio piromane, ed emanarono anche un divieto: il nome di Erostrato non doveva essere ricordato per nessun motivo, proprio per negargli la soddisfazione di aver raggiunto il suo infame scopo.
La damnatio memoriae non riuscì, perché lo storico Teopompo, che visse alla corte del padre di Alessandro Magno, ne tramandò il nome, così come il geografo Strabone e un paio di autori romani. Tanto che da lui deriva il termine erostratismo, ovvero la “patologica ansia di sopravvivere nella memoria dei posteri“. Il pastore greco in cerca d’immortalità è quindi riuscito nel scopo, visto che ha ispirato, fra gli altri, autori come Jean-Paul Sartre, Alberto Moravia e Fernando Pessoa.
Il Tempio di Artemide invece non è sopravvissuto alla furia del tempo e degli uomini. Fu ricostruito con la stessa magnificenza dell’originale nel III secolo a.C. a spese degli Efesî, che rifiutarono l’aiuto economico di Alessandro Magno. L’imperatore macedone voleva che il suo nome comparisse in un’iscrizione sul tempio, ma i cittadini di Efeso trovarono una buona scusa per non accettare: era ingiusto che un dio (come veniva considerato Alessandro) presentasse dei doni a un altro dio…
Nel 267 d.C. il tempio venne nuovamente distrutto, questa volta dai Goti, e nuovamente ricostruito, o forse restaurato, finché nel 401 fu raso al suolo, forse da una folla di cristiani che obbedivano agli ordini dell’arcivescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo.
Della più grande tra le sette meraviglie del mondo antico oggi rimangono solo le fondamenta e una solitaria colonna composta con vecchi resti, che lungi dal ricordare la magnificenza di un tempo sembra piuttosto il simbolo di un malinconico abbandono.

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