domenica 24 marzo 2019

L'eretico che faceva paura!



Il 27 ottobre del 1553 a Ginevra fu messo al rogo dai calvinisti come eretico MICHELE SERVETO (Miguel Servet y Reves, 42 anni) teologo, umanista e medico spagnolo.
Serveto nasce a Villanueva (Spagna), un piccolo villaggio a novanta chilometri da Saragozza, in una famiglia di un notaio, rigorosamente cattolica e  abbastanza agiata. In un primo momento Serveto era stato destinato al sacerdozio, cosa che non avvenne, ed ebbe una solida cultura umanistica, sviluppando un’ottima conoscenza di latino, greco, ebraico, filosofia e matematica.
A 14 anni Serveto si mise al servizio di Juan de Quintana, un francescano minorita, docente all’Università di Parigi e interessato alla figura di Erasmo da Rotterdam. Serveto completò poi i suoi studi all’Università di Tolosa (Francia). Viaggiò al seguito di Quintana e nel 1530 assistette a Bologna all’incoronazione di Carlo V (di cui Quintana era divenuto, da poco, confessore) da parte del papa Clemente VII. Incoronazione che siglò la pace tra Impero e Chiesa, mettendo fine alle guerre d’Italia.
Nel frattempo, cominciando la sua attività di teologo e non essendo riuscito a stabilire una forma di dialogo con alcuni teologi Riformatori, Serveto  decise di pubblicare direttamente le proprie idee in un libro, De trinitatis erroribus (Gli errori sulla Trinità), nel 1531. Il  libro riportava il nocciolo del pensiero di Serveto: la natura di Dio non era  divisibile e le tre persone divine (un vero ostacolo per la conversione di ebrei e mussulmani alla Cristianità) erano soltanto tre suoi aspetti.
Il libro ebbe una certa diffusione e gettò nello scompiglio i pensatori protestanti: da Lutero (che lo definì “un libro abominevolmente malvagio”) a Melantone a Bucero. Quest’ultimo gridò dal proprio pulpito che l’autore avrebbe meritato di essere squartato! Messo sotto pesante pressione da parte dei Riformatori svizzeri, Serveto pubblicò  l’anno seguente una parziale ritrattazione sotto il titolo di Dialoghi sulla  Trinità: tuttavia la ritrattazione era puramente di facciata e gli argomenti esposti rinforzarono il suo precedente pensiero.
Sempre nel 1532 attirò anche l’attenzione dell’Inquisizione cattolica di Saragozza (Spagna), che istituisce un primo processo contro di lui e a Tolosa verrà emesso un decreto per il suo arresto. Ma lui riuscirà a sottrarsi: isolato, senza soldi ed  in pericolo di essere accusato d’eresia, letteralmente scomparve emigrando a  Parigi dove visse sotto uno pseudonimo.
Si mise, in seguito, a fare il correttore di bozze a Lione e, nel correggere libri di  medicina, si appassionò alla materia tanto da ritornare a Parigi e iscriversi alla facoltà di  medicina, dove studiò per quattro anni con Andrea Vesalio (1514-1564) fino alla  laurea e dove scoprì l’importanza della circolazione polmonare del sangue (alla fine del XIX secolo, Robert Willis (1799- 1878) un medico ricercatore scozzese, scrisse che gli studi di Serveto in questo campo erano da considerarsi «eccellenti»).
Serveto fu attirato dallo studio della circolazione sanguigna perchè il sangue nella Spagna del suo tempo era concepito come il veicolo dell’impurità dei marrani ( gli ebrei convertiti a forza) e il sigillo della nobiltà dei cristiani in quanto nutriti del corpo stesso di Cristo. Per Serveto non c’era separazione tra ricerche mediche e discussioni teologiche: parlando del sangue e del processo di respirazione e inspirazione egli parlava, nello stesso tempo, il linguaggio della fisiologia e quello della religione per combattere pregiudizi e superstizioni: Serveto quindi univa, tra i primi, ricerca scientifica e pensiero teologico cercandone un rapporto di arricchimento reciproco. Studiò anche matematica all’università di Parigi per due anni con ottimi risultati che gli permisero di insegnare nell’ateneo. Inoltre tenne lezioni sulla geografia e  astrologia molto apprezzate.
Nel 1540 andò a Vienne (Francia) invitato dall’arcivescovo, che lo conosceva fin dai tempi parigini e che lo volle come medico personale. Serveto avrebbe potuto trascorrere una tranquilla vita di provincia, tuttavia egli si mise pericolosamente in vista scrivendo un’analisi critica di testi dell’antico Testamento (i Salmi e i Profeti), dove  contestò l’interpretazione corrente che considerava alcune frasi dei testi come profezie della venuta del Cristo. Queste sue note furono successivamente iscritte nel famigerato Index librorum prohibitorum cattolico del 1557.
Serveto mostrava capacità esegetiche della Bibbia molto avanti nei tempi e assolutamente non accettate dalle varie istituzioni religiose.
Inoltre si mise in contatto con Giovanni Calvino (1509- 1564) per discutere con lui di argomenti  dottrinali, ma la corrispondenza degenerò ben presto in rissa verbale, dalla  quale il riformatore ginevrino si chiamò fuori non rispondendo più alle provocazioni, richieste e sollecitazioni  espresse sotto forma di trenta  lettere del medico spagnolo. Anzi Calvino fece di più: informò vari suoi discepoli che se mai Serveto si fosse recato a Ginevra, egli avrebbe fatto di  tutto affinchè Serveto non lasciasse vivo la città.
All’inizio del 1553 Serveto fece pubblicare con immense difficoltà a Vienne, in forma anonima, la sua opera principale Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo), basato sui due libri precedenti e sulle trenta lettere scritte a Calvino, che profetizzava la fine del regno dell’Anticristo (il Papa).
Ma a Vienne, nel 1553, è arrestato, processato e condannato. Un errore dello stampatore Frellon di Vienne fu fatale: questi infatti mandò  sbadatamente una copia del libro a Calvino. Il riformatore ginevrino allora, attraverso suoi conoscenti di Lione, avvertì il nuovo arcivescovo locale, il cardinale François de Tournon, della presenza a Vienne ( che si trovava nella diocesi lionese) del  noto eretico Michele Serveto, sotto le mentite spoglie del medico Michel de Villeneuve.
Calvino aiutò perfino l’inquisitore domenicano Mathieu Ory inviando prove documentali  della colpevolezza di Serveto, che venne arrestato ma che riuscì ad evadere corrompendo  delle guardie. Serveto venne quindi condannato per il momento, in contumacia, al rogo della sua effige con tutti i suoi libri.
Egli era ancora libero ma senza un posto dove andare e per quattro mesi non si ebbero più notizie precise di lui: egli sarebbe rimasto qualche tempo in Spagna e di qui avrebbe deciso di raggiungere Napoli per via di terra. Dopo aver pernottato in Savoia, arrivò a Ginevra il 13 agosto 1553, prese una stanza in un albergo per poi,  con un traghetto domenicale, attraversare il lago di Ginevra, giungere nell’Italia settentrionale e, infine, recarsi a Napoli. Sembra che, essendo domenica, abbia giudicato più prudente, per non farsi notare, assistere – come tutti facevano obbligatoriamente – alle cerimonie religiose, entrando così nella chiesa della Maddalena. Purtroppo fu immediatamente riconosciuto ed  arrestato.
Calvino aveva finalmente l’occasione d’oro per sbarazzarsi di un pericoloso  dissidente, che, libero, avrebbe potuto, tra l’altro, essere utile  all’agguerrita opposizione interna alla sua chiesa riformata, rappresentata dal partito dei libertini o  guglielmini, molto critica con la sua gestione teocratica e dittatoriale della città. Il processo si rivelò una battaglia persa in partenza per Serveto, contro il quale Calvino usò ogni mezzo, coinvolgendo nel giudizio finale le chiese riformate di  Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa.











Il cippo dedicato a Serveto a Ginevra










Serveto capì che il suo destino era definitivamente segnato. Chiese di essere ucciso «con la spada», perché aveva paura di cedere alla sofferenza e di ritrattare tutto. Neanche questo gli fu concesso. Il 27 ottobre del 1553 fu condotto, nel rione di Champel di Ginevra, su «una catasta di legno ancora verde», sulla testa gli fu messa una corona di paglia e foglie cosparsa di zolfo e gli fu dato fuoco insieme ai suoi libri. Morì dopo lunghe sofferenze e molti tra i ginevrini presenti aggiunsero legna alla pira.
Serveto morì con dignità sul rogo e fedeltà alle sue idee, avendo  rifiutato anche l’estremo tentativo del pastore di Neuchatel, Guglielmo Farel, di salvargli la vita in extremis, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori. I resti di Serveto andarono dispersi.
Serveto fu un martire della libertà di pensiero ( 50 anni prima di GIORDANO BRUNO) bruciato vivo non già da cattolici oscurantisti obbedienti alla Chiesa di Roma, ma dal principe dei riformatori, Giovanni Calvino. Cattolici, luterani e calvinisti si unirono in una strana alleanza per perseguitare e condannare la sua ricerca teologica, biblica, medica e geografica tesa a superare pregiudizi e oscurantismi religiosi e scientifici: la sua libertà di pensiero e di ricerca faceva paura a qualsiasi chiesa…
Nel 1903, la città di Ginevra fece erigere in Place Champel (il luogo  dell’esecuzione), come espiazione e riabilitazione, un cippo alla memoria dell’eroico teologo-medico Miguel Servet.
Sebastien Castellion (1515- 1563) umanista e teologo francese, tra i primi sostenitori della tolleranza religiosa, scrisse “ Contro il libello di Calvino” per confutare le tesi che Calvino aveva enunciato in un suo “libello” per giustificare l’esecuzione di Serveto. Così scrisse Castellion:
“Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo. Quando i ginevrini hanno ucciso Serveto non hanno difeso una dottrina, hanno ucciso un uomo. Non spetta al magistrato difendere una dottrina. Che ha in comune la spada con la dottrina? Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il magistrato avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma poiché Serveto aveva combattuto con scritti e con ragioni, con ragioni e con scritti bisognava refutarlo. Non si dimostra la propria fede bruciando un uomo, ma facendosi bruciare per essa.”

Nessun commento: