martedì 17 ottobre 2017

I mostri di Palagonia

(Leonardo Sciascia)
Almeno una volta l'anno, rivedo la villa Palagonia, la settecentesca villa di Bagheria dove, diceva Giovanni Meli, l'arte impietrisce, eterna e addensa gli aborti di bizzarra fantasia (e l'ottava continua con Giove che riconosce la propria «insufficienza»: mostri ne escogitai quanto seppi; ma dove finì la mia potenza, da quel punto stesso cominciò Palagonia - cioè il principe Ferdinando Gravina di Palagonia; ed è un bel concetto, direi alla Borges, questo del dio che consegna alla fantasia umana la prosecuzione della serie dei mostri). E ogni volta mi appare sempre più disgregata, fatiscente, dentro il cerchio che le si stringe a soffocarla del cemento, delle case nuove.
Goethe, che con tanto spregio ne scrisse, sarebbe forse contento di questa nemesi: una mostruosità che ne divora un'altra. Noi no: poiché abbiamo bevuto in ben altre cantine e ben altri mostri abbiamo visto generati dal sonno della ragione. Questi di Palagonia ce li eravamo addomesticati: piccoli mostri da guinzaglio, da passeggio; roba da «spleen» rurale, domenicale. Sicché mentre si disgregano e scompaiono, la sola cosa che nella villa resta a suscitare inquietudine è il ritratto di colui che così l'ha voluta: un signore magro e allampanato, tutto azzimato e incipriato, in abito da cerimonia; uno cui piaceva pagare da sé le proprie follie e far pagare agli altri le proprie virtù – così lo vide Goethe, questo seppe di lui. E anche noi.
( Nero su nero, Einaudi, 1979)

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