venerdì 22 luglio 2016

Il culto degli alberi

Le divinità degli alberi sono figure divine della Natura legate agli alberi. Tali forze ultraterrene sono presenti in tutte le culture del mondo; sono solitamente rappresentate come giovani donne, spesso collegate al culto della fertilità o alla venerazione nei confronti degli alberi.
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Il culto degli alberi (dendrolatria), collegato alle divinità arboree, si riferisce alla loro adorazione o mitizzazione. Osservando la crescita e la morte degli alberi, l'elasticità dei loro rami, la sensibilità, la rinascita del fogliame, gli esseri umani li hanno sempre visti come potenti simboli di crescita, decadimento e resurrezione. La più antica rappresentazione della costruzione dell'universo è presente nel concetto di albero del Mondo, un albero di dimensioni colossali che sostiene i cieli e li collega con la terra e il sottosuolo.



I Greci consideravano, ad esempio, la quercia come una dimora e manifestazione di Zeus, come il pioppo sacro a Ercole. Ci si aspetta che nelle zone del Sud Europa e nei paesi mediorientali che la scarsa vegetazione e il clima torrido sia nato un fortissimo culto degli alberi, i quali con le loro chiome fornissero riparo e refrigerio, non che acqua, in regioni secche ed assetate (importanza delle oasi). Invece proprio nel Nord Europa, dove le terre erano interamente ricoperte da foreste e i campi agricoli venivano ricavati con fatica e mezzi rudimentali, le popolazioni locali strinsero un più forte legame con gli alberi: ad esempio, i Celti avevano un forte legame con la natura, in quanto creazione di un'unica entità di cui loro stessi facevano parte, così come tutto l'universo stesso, inoltre ogni manifestazione naturale era una manifestazione divina. Presso i Longobardi il culto degli alberi era fondamentale; il frassino Ygadrasil (Odino) ne è un valido esempio, la cui morte avrebbe segnato la fine del mondo. Nella stessa mitologia norrena l'albero Ygadrasil, originario dalla Scandinavia, sorreggeva i nove mondi nati dal sacrificio del gigante Ymir. Giulio Cesare, quando invase la Gallia, fece abbattere una foresta sacra ai druidi, per arginare incursioni ed attacchi.

Quando i cristiani iniziarono la loro opera di conversione dei pagani, la prima cosa che fecero fu quella di vietare il culto degli alberi, distruggendo le foreste sacre. Le prove di tale furioso accanimento si trovano nelle stesse agiografie; si può usare come esempio anatemi dei concili provinciali, come quello di Arles che nel 452 proibì l'adorazione degli alberi, delle fonti e delle pietre; quelli di Tours e Nantes, del 567-568, che si accanirono contro le persone che celebravano riti "sacrileghi" nei boschi e con alberi "consacrati al demonio".

L'accanimento contro il culto degli alberi durò quasi tutto il Medioevo, durante il quale i parroci rimproveravano e mettevano a morte coloro che portavano offerte agli alberi, che innalzavano altari sulle loro radici e ne richiedevano la protezione per famiglia e beni, intonando loro pure dei lamenti.
Nonostante la persecuzione, il culto degli alberi perdurò per tutto l'evo di mezzo inoltrato, nonostante la Chiesa iniziò questa sua lotta ben prima del V secolo: il più noto persecutore dei boschi, San Martino, raccontato da Sulpicio Severo, durante un suo viaggio presso Autun, dopo aver abbattuto un bosco sacro, si apprestò ad abbattere un grosso Pino nei pressi di un santuario. La storia narra che il santo incontrò la resistenza del sacerdote e della popolazione locale ancora pagana, i quali lo attaccarono: "Se hai un po' di fiducia nel Dio che dici di onorare, abbatteremo noi quest'albero che cadrà su di te, se il tuo signore è con te, come dici, sfuggirai". Martino acconsentì, si fece legare nel punto previsto e quando l'albero stette per crollare, si fece il segno della croce e l'albero lo sfiorò di un soffio senza toccarlo, ovviamente il presunto miracolo convertì in massa i "villici".

Dopo San Martino, l'opera distruttiva venne proseguita dal suo discepolo San Maurilio, vescovo di Angers, il quale, nel tentativo di evangelizzare il Comminges, diede fuoco al bosco sacro che, una volta distrutto, fu consacrato a San Pietro. Indicativa è anche la storia di San Germano, vescovo di Auxerre (418-448), il quale andò a Roma per studiare la retorica e il diritto, conquistando una tale fama, che l'imperatore Onorio lo nominò governatore della Borgogna, di cui Auxerre divenne capitale. Nel centro città si innalzava un enorme Pino, a cui si appendevano le teste di animali uccisi nella caccia. Accadde che il vescovo Amatore, santo pure lui, rimproverò a Germano che tale usanza era idolatria, cattivo esempio per i pagani nonché offensivo per i cristiani, intimandogli poi di abbattere l'albero; ma ottenne solo un diniego e dovette provvedere lui stesso. L'abbattimento del Pino fece andare su tutte le furie Germano, che si dimenticò di essere cristiano e a capo del suo esercito si diresse contro Amatore, il quale fu costretto a rifugiarsi ad Autun. Ovviamente, essendo un racconto cristiano, la storia finisce con Amatore che torna ad Auxerre e con l'inganno rinchiude Germano all'interno della chiesa, dove gli pratica la tonsura e gli promette che sarebbe diventato il suo successore, così come gli venne comunicato dallo Spirito Santo: a tale annuncio Germano acconsentì e divenne santo.

Anche in Irlanda nel 665, alcuni sacerdoti cristiani fecero abbattere numerosi frassini sacri, per segnare il trionfo della loro fede su quella locale. Intorno al 670, Barbato, vescovo di Benevento, da tutti ricordato per aver convertito massicciamente al cristianesimo i Longobardi, fece abbattere un gigantesco noce e al suo posto fece erigere una chiesa.
Esemplari le prescrizioni, contro il culto degli alberi e tutti gli altri onori al mondo naturale, di Sant'Eligio, vescovo di Noyon:
«Non prestate attenzione agli auguri, o agli starnuti violenti, o al canto degli uccelli. Se venite distratti mentre siete in cammino o al lavoro, fate il segno della croce e dite con fede e devozione le preghiere della domenica, e niente potrà farvi del male […] Nessun cristiano, nella festa di San Giovanni o di alcun altro santo dovrà eseguire solestitia [riti del solstizio d’estate] o danzare o saltare o cantare canti diabolici. Nessun cristiano dovrebbe mostrarsi devoto agli dei del trivio, dove tre strade si uniscono, né partecipare alle fanes, feste delle rocce, delle sorgenti, dei boschi o degli angoli. Nessuno deve fare lustrazioni (“purificazioni”) o incantesimi usando erbe, o far passare il bestiame attraverso un albero cavo o un fosso perché così lo si consacra al diavolo. Perciò, fratelli, rifiutate tutte le invenzioni del nemico con tutto il vostro cuore e fuggite questi sacrilegi con orrore. Non venerate altre creature oltre Dio e i suoi santi. Evitate le sorgenti e gli alberi che chiamano sacri. Perché voi dovete credere di poter essere salvati con nessun’altra arte che l’invocazione e la croce di Cristo. Come sarebbe possibile altrimenti che i boschi dove questi uomini miserevoli fanno i loro riti sono stati abbattuti e la legna proveniente da lì è stata data alla fornace? Vedete come è sciocco l’uomo, che onora degli alberi morti, insensibili e disprezza i precetti di Dio onnipotente».

Il culto degli alberi era talmente radicato anche da sopravvivere nelle grandi città, nonostante secoli di guerre contro di esso da parte della Chiesa romana, figuriamoci nelle zone rurali. Tale guerra ovviamente non si limitò alla sola Gallia, ma anche nei paesi di origine germanica, come dimostrato da San Bonifacio che, nel convertire i Germani, abbatté la quercia Geismair, consacrata a Thor.
Anche Carlo Magno continuò questa infame opera, infatti nel 772, durante una missione punitiva contro gli Ungari, distrusse un santuario pagano dove veniva venerato Irminsul, un gigantesco tronco d'albero che nelle credenze pagane aveva il compito di sostenere la volta celeste.
Nel 789 venne pubblicata un'altra condanna contro gli "stolti" che accendevano candele e praticavano superstizioni sotto gli alberi, pietre e alle fonti.

Nonostante tutto, il culto degli alberi si perpetuò per altri secoli, prova di questo è la storia del vescovo Anselmo, che nel 1258 ordinò a Sventanistis l'abbattimento di un'enorme quercia sacra, ma l'ascia rimbalzò sul tronco colpendo mortalmente il boscaiolo; così il vescovo in persona prese l'ascia, ma anche lui non vi riuscì e ordinò che l'albero venisse dato alle fiamme. Notizie del genere si hanno anche un secolo dopo, quando, tra il 1351 e il 1355 a Romuva, in Prussia, su richiesta del vescovo Giovanni, gran maestro dei cavalieri della croce, fece segare una quercia sacra sotto la quale la popolazione si radunava a pregare.

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