martedì 16 aprile 2013
Rinasce il Tempio della Grande Madre
Rinasce il Tempio della Grande Madre
Pronto il progetto per il santuario
PER APPROFONDIRE arte, cultura, tempio dea madre
di Laura Larcan
ROMA - Cibele, la «Grande Madre» protettrice di Roma, sta per svelare il suo santuario. Nel cuore del Palatino, lì dove la storia affonda le radici nel mito della fondazione, accanto alla Casa di Romolo e quasi sopra il presunto Lupercale, la grotta dove secondo la leggenda i gemelli sarebbero stati allattati dalla lupa.
Il grande Tempio della Magna Mater, risalente al II secolo a.C. è al centro di uno dei progetti di valorizzazione e apertura al pubblico più ambiziosi della Soprintendenza ai beni archeologici guidata da Mariarosaria Barbera. Un nuovo gioiello che entrerà a far parte entro fine anno del percorso di visita del colle Palatino dopo almeno cinquant’anni di chiusura. Si potrà salire sul podio e raggiungere la cella, e ammirare la ricostruzione dei materiali originali che ne decoravano l’architettura.
E scoprire dai frammenti restaurati che le sei colonne corinzie in peperino sulla fronte, i capitelli e la trabeazione, erano un trionfo di stucchi colorati. Il progetto di fruizione dell’area monumentale, curato dall’architetto Claudia Del Monti, è stato presentato in occasione del seminario di studi «Cibele, Vittoria, Apollo, i culti sull’acropoli del Palatino e la Casa di Augusto» organizzato dal dipartimento di Scienze dell’antichità de La Sapienza con il coordinamento del professore Patrizio Pensabene, che proprio nel sito ha diretto le più recenti campagne di scavo.
IL MITO
È uno dei monumenti più famosi dell’antichità perché legato al culto di Cibele, introdotto a Roma dall’Asia minore nel 204 a.C., e originario della Troade, antica regione dell’Anatolia dove si trovano le rovine della città di Troia, la mitica patria dei Romani con Enea come suo capostipite direttamente collegato a Romolo. «Era il santuario di stato, con un culto legato alla statua di Cibele», dice la Del Monti. Ma anche il più sconosciuto, lasciato a riposare nell’oblio del degrado per anni, e ora al centro di un vasto cantiere di restauro e conservazione. Il santuario, che fu inaugurato nel 191 a.C. bruciò due volte e fu ricostruito da Augusto, si presentava su un alto podio introdotto da una scalinata preceduta da una vasta piazza.
IL PERCORSO
«Il percorso di visita restituisce al pubblico la percezione della consistenza delle strutture in antico», annuncia Claudia Del Monti. Si potrà salire alla cella, e attraversare lo spazio occupato in antico dal pronao. E gli scavi condotti in questo luogo negli anni hanno consentito di recuperare i materiali originali della decorazione architettonica del tempio. Colonne corinzie in peperino che sfilavano sulla facciata, la trabeazione e il timpano con tanto di cuspide monumentale. Nel piano della cella, poi, appaiono incastonate le lastre originali superstiti di marmo bianco, portasanta e ardesia. Ma il santuario della Magna Mater diventa soprattutto un caso raro in cui il panorama si svela parte integrante del monumento. «La cella del tempio, in quest’ottica, è un punto strategico, la chiave di lettura dell’antico con tutti i suoi elementi di suggestione - avverte la Del Monti - La scelta di conservare i lecci, cresciuti qui spontaneamente in tempi lontani, serve a sottolineare al pubblico la visuale che si apre sull’asse centrale della cella, che determina l’orientamento del tempio rispetto al cielo e verso i luoghi legati all’approdo della cesta dei gemelli, indicati nel mito della fondazione di Roma».
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