giovedì 3 giugno 2021

El Babao

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Potrebbe essere un cartone

Babao (o Barababao), nell’antica Venezia, era un piccolo demonio, sfacciato e spiritoso che amava farsi beffe delle persone, soprattutto delle donne.
Per antonomasia venivano chiamati Babai gli “Inquisitori di Stato”, per la paura che ispirava il loro tribunale (G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1867, p. 53)
L’etimologia della parola Babau Γ¨ incerta. Alcuni ritengono che derivi dall’arabo “Baban”, collegato quindi al timore degli europei per le invasioni dei Saraceni (IX-X secolo); altri sostengono che sia un’onomatopea, che deriva dal raddoppiamento dal latrato del cane o animale simile.
Nei tempi antichi, veniva spesso associato a demoni mostruosi e temibili che comparivano nelle ore notturne.
Il babao veneziano, invece, era una figura piΓΉ accattivante: si divertiva a nascondere gli oggetti delle donne di casa, come gli aghi, le forbici, le pentole e le chiavi, facendole diventar matte. Quando arrivava l’inverno, invece, si rimpiccioliva sino a potersi nascondere nel loro seno, cosΓ¬ da potersi scaldare. Amava poi, come un impenitente voyeur, intrufolarsi di notte nelle camere degli sposi (cfr. Guida ai misteri e segreti di Venezia e del Veneto, Milano 1970, p. 20).
Il Consiglio dei Dieci, d’accordo col Senato e col Maggior Consiglio, istituiva il 28 settembre 1539 la magistratura dei tre Inquisitori per l’esame e la segreta istruttoria del processo contro i delitti di Stato. Ben presto i veneziani paragonarono questa nuova magistratura ai figli di Satana, “anzi chiamandoli, per il terrore che inspiravano, i tre babai; babao essendo il nome finto del diavolo che s’adopra per far paura ai fanciulli” (E. Musatti, Leggende popolari, Milano 1904, p. 34).
Musatti ricorda anche come il nome di questa magistratura, tanto odiata quanto temuta dai veneziani, fu macchiata anche dalla pubblicazione di falsi documenti da parte dello storico Daru, nella sua monumentale “Storia della Repubblica di Venezia” (1834).
In realtΓ , la tremenda nomea, con cui fu tramandato nei secoli il ricordo di questa magistratura, deriva dall’esagerazione di alcuni scrittori del periodo romantico, in cui la stessa Venezia fu descritta come un labirinto di calli strette e oscure, gondole che scivolavano nella nebbia, spie che tramavano nell’ombra, e magistrature pronte a servirsi di bravi e veleni per eliminare i propri nemici (cfr anche Venezia – Palcoscenico reale e immaginario del cinema).
Dopo il Botta, nella sua Storia d’Italia, e il Romanin, nella Storia documentata di Venezia, anche il Molmenti riscattΓ² la reputazione di questa antica magistratura:
La Repubblica di Venezia morì senza gloria, ma non tra le colpe, i delitti e le abiezioni, di cui fu accusata. Di quali orrende ingiustizie non furono incolpati il Governo veneto, il terribile Consiglio dei Dieci e i non meno terribili Inquisitori, il cui solo nome faceva accapponare la pelle del pubblico dei teatri diurni di mezzo secolo fa ? Dietro al tremendo Tribunale degli Inquisitori di Stato, che, secondo la storia scritta dai romanzieri e dai poeti, giudicava per via sommaria e sopra semplici delazioni anonime, sorge come una cupa fantasmagoria di sale oscure, illuminate appena da torcie gialle, fumiganti, di scale segrete, che scendono ai Pozzi, di tenebrosi sotterranei, di sedie nefande, sulle quali sono strozzati miseri innocenti, di barche mortuarie, dileguantisi fra le ombre spettrali del Canal dei Marrani, dove sono affogate le vittime.
(P. Molmenti, Venezia, Bergamo 1907, p. 117)

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