domenica 22 gennaio 2017

I santuari italici della prostituzione sacra


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La prostituzione sacra nell’Italia antica


Fra le varie forme del sacro che si manifestarono nel mondo antico spicca tra le più singolari l’istituto della prostituzione sacra. Su questo tema sono stati scritti vari saggi, fra cui quello di Cristiano Panzetti La prostituzione sacra nell’Italia antica, che è il primo studio dedicato alla prostituzione rituale nell’Italia antica e che costituisce un punto di partenza per ulteriori indagini in materia. La prima parte del libro descrive il fenomeno nei suoi caratteri generali: nelle religioni pagane c’erano rituali che prevedevano matrimoni sacri celebrati nei templi, orge sacre che propiziavano la fertilità dei campi, riti iniziatici e culti misterici a sfondo erotico. Queste cerimonie religiose erano il retaggio delle epoche preistoriche, nelle quali si praticava il culto della Grande Dea che lascia intuire il significato magico e mistico che le popolazioni preistoriche attribuivano alla figura femminile, al punto che le prime organizzazioni sociali si presentano con evidenti caratteri matriarcali. Con l’avvento di forme sociali più complesse e con l’arrivo dei popoli indoeuropei, le divinità maschili si manifestano con caratteri eroici e guerrieri e quelle femminili assumono caratteri erotici più spiccati: si introducono così elementi di forte differenziazione sessuale.
Con l’inizio dei tempi storici gli antichi culti della fertilità tendono a essere istituzionalizzati e si configurano nella forma della prostituzione rituale, la cui funzione era di invocare l’aiuto degli dèi per assicurare la fertilità della terra, degli uomini e degli animali. Le donne che si offrivano al culto della prostituzione sacra potevano essere donne libere che occasionalmente si prestavano a questi riti, oppure vere e proprie sacerdotesse che svolgevano quest’attività in maniera continuativa. Nelle fasi più antiche sembra che l’esercizio della prostituzione sacra fosse legato a momenti di carestia o di pestilenza, e questo induce a vedere in questo culto una funzione civilizzatrice che mitigava le più primitive pratiche del sacrificio umano. I culti monoteistici ebraici prima, cristiani e musulmani poi, avversarono e censurarono la prostituzione rituale, poiché per le pretese moralizzatrici del Dio unico era intollerabile legare la sfera della sessualità ai culti sacri.
I riti sessuali potevano svolgersi sotto l’aspetto della ierogamìa o della ierodulìa. La ierogamìa simboleggiava l’unione fra un dio e una dea (il Cielo e la Terra): durante il rito il sovrano si accoppiava con la sacerdotessa, la quale trasferiva al sovrano il potere fecondante della dea affinchè il re potesse trasmetterlo ai sudditi. Nella ierodulìa le schiave consacrate alle divinità si offrivano a coloro che visitavano il tempio per rendere omaggio agli dèi. Le schiave che praticavano la ierodulìa erano di rango sociale inferiore alle sacerdotesse che si accoppiavano coi sovrani, tuttavia avevano funzioni importanti nelle cerimonie religiose. Esisteva anche la forma della prostituzione apotropaica che poteva essere praticata dalle ragazze che, prima di sposarsi, consacravano la propria verginità agli estranei per scacciare magicamente i pericoli della vita coniugale, e per raccogliere la dote necessaria al matrimonio.
La prostituzione sacra era particolarmente diffusa presso i Sumeri, che veneravano la dea Inanna, e successivamente presso i Babilonesi, che veneravano Ishtar. I Fenici la praticavano in onore di Astarte, i Greci riferirono il culto ad Afrodite. Naturalmente la prostituzione sacra era una straordinaria fonte di arricchimento per i santuari in cui veniva praticata: particolarmente celebri furono quello di Babilonia in Mesopotamia, quello di Corinto in Grecia, quello di Pyrgi in Etruria.
Nell’Italia antica le colonie greche e fenice diffusero l’usanza della prostituzione sacra; anche se le testimonianze letterarie e archeologiche sono molto lacunose in materia, lasciano intendere una probabile diffusione di questi culti nell’ambiente della Magna Grecia. In particolare i celebri rilievi del “Trono Ludovisi” sembrano, secondo Panzetti, provenire dalle colonie greche, e alludono al rito della nascita di Venere dalle acque. I racconti popolari calabresi sulla “bella dei sette veli” sembrano legati alla celebre danza dei sette veli che le sacerdotesse eseguivano in onore di Astarte.
Un discorso a parte merita il santuario etrusco di Pyrgi. Questo tempio è celebre soprattutto perché l’archeologo Massimo Pallottino trovò le lamine in scrittura fenicia con traduzione etrusca, che sono uno dei pochi documenti che hanno gettato luce sul mistero della lingua etrusca. Il tempio era consacrato alla fenicia Astarte, associata all’etrusca Uni. A Pyrgi prestavano servizio una ventina di sacerdotesse, e la sua fama si diffuse in tutto il mondo antico. Il santuario di Pyrgi accumulò enormi ricchezze attraverso il culto della prostituzione sacra, e per questo nel 384 a.C. fu saccheggiato dai Greci di Siracusa, guidati da Dionisio I°.
I culti greci di Afrodite vennero acquisiti dai Romani, ma in versioni più morigerate: la Venere romana era soprattutto una dea della fecondità legata alla famiglia. Infine Panzetti avanza ipotesi sulla persistenza dei riti di prostituzione nel folclore, nella letteratura popolare e nella stessa liturgia cattolica: alcuni culti della Madonna e le processioni delle verginelle derivano probabilmente da riti di prostituzione sacra, opportunamente filtrati dalla morale cristiana.
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Cristiano Panzetti, La prostituzione sacra nell’Italia antica, A&G, Imola, 2006, pp.136, € 19,00. (IBS) (LU)

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