L’Inno di Mameli, conosciuto anche come Fratelli d’Italia ma con il titolo originale: “Il canto degli Italiani”, venne scritto da Goffredo Mameli, ventenne studente genovese, nell’autunno del 1847 e poco dopo musicato a Torino da un altro genovese: Michele Novaro. Erano questi due giovani seguaci delle idee propugnate da Giuseppo Mazzini: un individuo che fu, al di là della retorica settaria otto-novecentesca che lo descrive come un romantico ed idealista rivoluzionario, un lucido e programmato maestro del terrore al servizio delle logge massoniche britanniche che, con i mezzi allora disponibili, segnò con il sangue la strada verso l’unificazione dell’Italia colpendo indistintamente re, politici, cattolici ecc. Un massone violento ma nel contempo di scarso coraggio preferendo mandare a morire e ad uccidere i suoi adepti standosene tranquillo ed al sicuro “in esilio”. Un tipo di rivoluzionario “da salotto” come se ne sono rivisti nello stato italiano nella seconda metà del 1900 e degno compare di quel “rivoluzionario di professione”, al servizio anch’egli della massoneria, di nome Giuseppe Garibaldi.
Tornando al ventenne Goffredo Mameli ed al ventinovenne Michele Novaro, essi furono così preda di una mistica esaltazione risorgimentale da non essere assolutamente toccati dalla feroce repressione e dal saccheggio effettuate dalle truppe del generale piemontese Lamarmora, nella primavera del 1849, contro la città di Genova il cui popolo si era ribellato ai Savoia per risollevare l’antico vessillo della gloriosa Repubblica che si voleva ripristinare 35 anni dopo che il Congresso di Vienna aveva cedutola Liguriaai Savoia contro la volontà del suo popolo.
La violenza esercitata dal generale Lamarmora, attraverso le sue truppe e contro la popolazione di Genova, fu tale che, facendo un parallelo con la strage di Marzabotto del 29 settembre 1944 ad opera delle SS della Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, al comando del maggiore Walter Reder, si può affermare che quest’ultimo fu sicuramente un dilettante che fu perseguito dalla giustizia italiana mentre il “professionista del saccheggio e dell’assassinio”: generale Lamarmora, ricevette encomi e medaglie e strade intitolate a suo nome.
Riprendendo in considerazione l’Inno di Mameli, questo è l’inno adottato, in via provvisoria nel 1946, dallo Stato Italiano. Oggi è anche definito Inno Nazionale perdurando l’abitudine truffaldina di considerare le parole stato e nazione come sinonimi perché, se è evidente che lo Stato Italiano esiste come conseguenza delle guerre di aggressione promosse dal Regno di Sardegna e Piemonte, guidato dai Savoia ed in combutta conla GranBretagna, Francia e Massoneria Europea, a partire dalla seconda metà del 1800 e fino al 1918 contro gli “Stati sovrani” presenti sul territorio della penisola, è altrettanto evidente che la nazione italiana non è mai esistita né mai esisterà se non nella testa dei mistificatori della storia. L’inno di Mameli continua ad essere “provvisorio”, dal 1946, nonostante nel 2006 e nel 2008 siano stati presentati, al Senato, disegni di legge costituzionali per ufficializzare nella Costituzione (modifica Art. 12) tale inno.
Quanto sopra è un piccolo inquadramento storico della nascita e vita di un inno che ha acceso e continua a stimolare costanti fenomeni di dissenso a cui si contrappongono le affermazioni di scandalizzati rappresentanti del governo ai vari livelli e dei politicanti che si alimentano alla greppia dello stato romano-centrico; tutti soggetti che hanno garantita la loro sopravvivenza solo continuando a sostenere la sacralità dell’unità di questo stato anche attraverso l’intoccabilità dell’inno. Sicuramente esiste in una parte dell’opinione pubblica, non propriamente politicizzata, la superficiale convinzione che l’inno di Mameli rappresenti qualcosa di importante ma della cui supposta importanza, se interrogati in proposito, non sanno dare spiegazione a meno di ricorrere a stereotipi che sono stati inculcati nei loro cervelli sino dalla prima infanzia in maniera assolutamente e volutamente acritica.
Pochissimi conoscono il testo completo dell’Inno di Mameli mentre, per la stragrande maggioranza, la conoscenza si limita alla prima strofa perché è quella che viene cantata in apertura ad avvenimenti sportivi, in particolare calcistici. Leggendo le strofe dell’inno di Mameli, è assolutamente evidente a chi sottende profondi ed evoluti significati alle parole “libertà” e “democrazia” che, quanto scritto dal ventenne Mameli, sia stato il prodotto di un invasato da crisi mistico-risorgimentale o di un individuo in preda ad una crisi etilica.
Nella prima strofa si cita una Italia che Iddio avrebbe creato come schiava di Roma. Già l’uso del termine “schiava” fa un po’ rabbrividire, oggidì, ma ciò che è disturbante è il richiamo ad un Impero Romano che costruì nei secoli la sua grandezza (riferita all’estensione territoriale) e la sua ricchezza con la conquista di terre in Europa, nel bacino del Mediterraneo, in oriente ecc., assogettando con la violenza le popolazioni autoctone e riducendole in schiavitù se non gradivano “la cultura romana” perchè tentavano di difendere la loro terra e la loro identità dall’invasione delle legioni di Roma. Chi visita la città di Roma e le sue “grandiose vestigia” dovrebbe ricordarsi che queste grondano del sangue di milioni di persone, appartenenti ai territori occupati e rapinati dalle legioni di Roma, uccise o ridotte in schiavitù e magari utilizzate, a migliaia, nei “giochi circensi” (Colosseo) per fare divertire la plebe idiota romana. Di fronte a ciò cosa dice la trita e ritrita demagogia patriottarda italica ? Roma ha portato nel mondo la civiltà. Bella roba !!! E’ grosso modo la stessa argomentazione che viene addotta per giustificare le guerre coloniali in Africa condotte dal Governo italiano savoiardo e dal fascismo poi con metodi crudeli ed estremamente violenti (es.: campi di concentramento in Libia, gas tossici in Abissinia ecc. ecc.). Anche in questo caso la solita giustificazione e qualcuno lo avrà sentito dire da persone anziane: “siamo andati in Africa a costruire le strade”. Grande sciocchezza.
La seconda, terza e quarta strofa sono un esagitato richiamo a un popolo diviso che forse era stato unito, secondo il Mameli, solo sotto l’impero romano e che brama di tornare a “fondersi insieme” sotto un’unica bandiera e, con l’amore e l’aiuto di Dio, diventare invincibile.
Farneticazioni prive di riscontro concreto perché è assodato che le popolazioni entro i confini dell’Impero romano furono costrette a starci con la coercizione e la violenza analogamente a come accadde alle popolazioni degli Stati Sovrani, presenti nella penisola, che, nella seconda metà del 1800, furono tutt’altro che liete di essere chiamate a partecipare alla costruzione del nuovo stato sulla punta delle baionette dell’esercito savoiardo ed è inoltre difficile pensare che Dio volesse stare a fianco di chi perseguiva la via della violenza, quando non del massacro, come appunto si mostrò capace l’esercito savoiardo anche contro i ministri di Dio, preti, suore ela ChiesaCattolicain generale.
Il parossismo dell’esaltazione mistica del Mameli lo ritroviamo nella quinta strofa dove i toni diventano truculenti e, per surriscaldare gli animi patriottici dei suoi compagni di fede, descrive una Austria che, insieme al cosacco (Russia), beve il sangue italiano e polacco ma ancora per poco perché l’Aquila Austriaca ha ormai perso le penne… Con riferimento alla quinta strofa sanguinaria è curioso osservare che il 1847, anno della stesura dell’inno, è l’anno in cui nacque, in Inghilterra, Abraham Stocker il famosissimo autore del libro: “Dracula il Vampiro”.
La storia dell’Inno di Mameli e della breve vita del suo autore è la riprova di come individui pericolosi , tipo Giuseppe Mazzini e legati a potenti poteri come la massoneria, siano capaci di manipolare le menti e quindi le vite sfruttando per i loro fini nefandi gli entusiasmi, a volte poco riflessivi, della gioventù ed attivando sommovimenti politico-sociali immani con i conseguenti disastri, distruzione e morte. La storia di questo disgraziato paese nel solo arco temporale1861 -1945 ne è la prova concreta.
*Unione Padana
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