lunedì 24 maggio 2010

Sull'autenticità dei Protocolli di Sion





A proposito della questione sull’autenticità dei «Protocolli» dei Savi
Anziani di Sion
di Francesco Lamendola - 20/05/2010

Fonte: Arianna Editrice


Da quando hanno fatto la loro comparsa nella storia d’Europa (la prima
traduzione italiana apparve nel 1921 a cura di Giovanni Preziosi), i
«Protocolli dei Savi Anziani di Sion» non hanno cessato di polarizzare
l’attenzione degli storici, dei politologi e dell’opinione pubblica
intorno
alla controversia sulla loro autenticità.
Il libro, apparso nella Russia di Nicola II all’interno di un’opera più
vasta del mistico russo Sergej Nilus, è scritto in prima persona da un
“grande vecchio” che rivolge le sue parole a un’assemblea di anziani
ebrei,
esponendo le linee guida di un piano strategico dalla straordinaria
vastità
di concezione e mirante, addirittura, alla conquista e alla
sottomissione
del mondo da parte degli Ebrei, il “popolo eletto”.
Infiltrandosi come una prodigiosa, efficientissima e segretissima quinta
colonna nelle società cristiane, e segnatamente nei centri del potere
economico, finanziario, culturale e dell’informazione, gli Ebrei -
stando a
questo testo - si porrebbero l’obiettivo dichiarato di indebolire la
fibra
morale di tutte le società non ebree, sovvertendo gradualmente, ma
inesorabilmente, tutti i valori, tutte le certezze, tutte le tradizioni,
fino a creare le condizioni adatte perché il mondo intero cada, come un
frutto maturo, in potere dell’ebraismo internazionale, che agisce per
mezzo
di banchieri, uomini politici, giornalisti ed esponenti del mondo della
cultura.
Dal momento che i «Protocolli» si prestano ad una lettura in chiave
antisemita e che, effettivamente, essi entrarono a far parte del
bagaglio
propagandistico antisemita del nazismo (e, in misura molto più blanda,
del
fascismo, ma solo all’epoca delle leggi razziali del 1938), con tutto
quello
che ne è derivato, gli storici della seconda metà del Novecento hanno
liquidato l’intera questione della loro autenticità, dichiarandoli un
falso
confezionato dalla «Ochrana», il servizio segreto zarista,
probabilmente a
Parigi e con lo scopo di creare una sorta di giustificazione morale per
i
“pogrom” che infuriavano, di quando in quando, in Russia, in Ucraina, in
Polonia.
Anche il saggista Sergio Romano, col suo libro del 1992 «I falsi
protocolli», ha impostato così tutta la problematica ad essi relativa,
come
già il titolo suggerisce chiaramente: come se, una volta assodata la
loro
non autenticità, venisse a cadere interamente l’altra questione, ad essa
collegata, ma che nessuno osa anche soltanto accennare, tanto forte è il
timore di essere accusati di antisemitismo o addirittura di simpatie
per il
nazismo: se, cioè, le cose espresse in quel documento possano
corrispondere
a dei fatti reali e se, inoltre, siano o meno in linea con la Legge
ebraica
e con il sentire ebraico nei confronti dei “gojm”, dei Gentili.
Ma torniamo al legame fra l’«Ochrana» e i «Protocolli».
Ora, a parte il fatto che si potrebbe discutere se tutti i “pogrom”
fossero
voluti e organizzati dagli ambienti antisemiti della Russia e dai
servizi
segreti zaristi, o se non possano ricondursi anche, almeno in parte, ad
una
manovra delle potenti lobbies ebraiche dell’Europa occidentale e degli
Stati
Uniti, proprio allo scopo di screditare il governo zarista (ne abbiamo
già
parlato nell’articolo «Possono darsi delle verità così tremende che
nessuna
voce umana riuscirebbe a pronunziarle», inserito sul sito di Arianna
Editrice in data 28/02/10), forse sarebbe il caso di domandarsi se la
questione della autenticità, affermata o negata che sia, costituisca
davvero
la questione centrale che ci si dovrebbe porre davanti a questo
impressionante documento.
Infatti, posto e stabilito che nessuna seria società segreta lascia
documenti scritti relativi ai suoi complotti (e, in questo senso, i
«Protocolli», nella versione in cui li conosciamo, sono quasi
certamente un
falso), il punto è che non si dovrebbe guardare il dito che indica la
Luna,
ma la Luna in se stessa: si dovrebbe cioè vedere se, nello sviluppo
della
storia moderna e nelle prescrizioni e invocazioni della “Torah”, della
“Mishna” e del “Talmud”, i concetti espressi nei «Protocolli» trovino
corrispondenza, oppure no.
A proposito dell’intera questione, Julius Evola, autore della
«Introduzione»
all’edizione italiana del 1938 dei «Protocolli», curata dalla rivista di
Giovanni Preziosi «La vita italiana», così si esprimeva (pp. 9-10):

«Due punti vengono particolarmente in risalto nei “Protocolli”. Il
primo si
riferisce direttamente alla questione ebraica. Il secondo ha una
portata più
generale e conduce ad affrontare il problema delle forze vere in atto
nella
storia. Perché il lettore si renda pienamente conto dell’uno e
dell’altro
punto, crediamo opportuno svolgere alcune considerazioni,
indispensabili per
un giusto orientamento.
Per un tale orientamento, occorre anzitutto affrontare il famoso
problema
della “autenticità” del documento, problema sul quale si è voluto
tendenziosamente concentrare tutta l’attenzione e misurare la portata e
la
validità dello scritto. Cosa invero puerile. Si può infatti negare
senz’altro l’esistenza di una qualunque direzione segreta degli
avvenimenti
storici. Ma ammettere, sia pure come semplice ipotesi, che qualcosa di
simile possa darsi, non si può, senza dover riconoscere che, allora,
s’impone un genere di ricerca ben diverso da quello basato sul
“documento”
nel senso più grossolano del termine. Qui sta precisamente – secondo la
giusta osservazione del Guénon – il punto decisivo, che limita la
portata
della questione dell’”autenticità”: nel fatto, che NESSUNA
ORGANIZZAZIONE
VERAMENTE E SERIAMENTE SEGRETA, QUALE SI SIA LA SUA NATURA, LASCIA
DIETRO DI
SÉ DEI “DOCUMENTI” SCRITTI. Solo un procedimento “induttivo” può dunque
precisare la portata di “testi”, come i “Protocolli”. IL CHE SIGNIFICA
CHE
IL PROBLEMA DELLA LORO “AUTENTICITÀ” È SECONDARIO E DA SOSTITUIRSI CON
QUELLO, BEN PIÙ SERIO ED ESSENZIALE, DELLA LORO “VERIDICITÀ”. Giovanni
Preziosi già sedici anni or sono, nel pubblicare per la prima volta il
testo, aveva ben messo in rilievo questo punto. La conclusione seria e
positiva di tutta la polemica, che nel frattempo si è sviluppata, è la
seguente: CHE QUAND’ANCHE (cioè: dato e non concesso) I “PROTOCOLLI” NON
FOSSERO AUTENTICI NEL SENSO PIÙ RISTRETTO, È COME SE ESSI LO FOSSERO,
PER
DUE RAGIONI CAPITALI E DECISIVE:
1) Perché i fatti ne dimostrano la verità;
2) Perché la loro corrispondenza con le idee-madre dell’Ebraismo
tradizionale we moderno è incontestabile.»

Che l’antisemitismo di Evola non fosse di tipo biologico - e quindi
razzista
- è attestato, peraltro, dal seguente passaggio (che, ove ipotizza una
strumentalizzazione degli stessi Ebrei da parte di poteri occulti
corrispondenti ad un livello più alto, che potrebbe far capo a forze non
interamente umane, ricorda, sia detto fra parentesi, la posizione
sostenuta
al presente da David Icke; op. cit., p. 21-22):

«Diciamo subito che noi personalmente non possiamo seguire, qui, un
certo
antisemitismo fanatico che, nel suo voler vedere dappertutto l’Ebreo
come
“deus ex machina”, finisce col cader esso stesso vittima di una specie
di
tranello. Infatti dal Guénon è stato rilevato che uno dei mezzi usati
dalle
forze mascherate per la loro difesa consiste spesso nel condurre
tendenziosamente tutta l’attenzione dei loro avversari verso chi solo in
parte è la causa reale di certi rivolgimenti: fattone così una specie di
capro espiatorio, su cui si scarica ogni reazione, esse restano libere
di
continuare il loro giuoco. Ciò vale, in una certa misura, anche per la
questione ebraica. La constatazione della parte deleteria che l’Ebreo ha
avuto nella storia della civiltà non deve pregiudicare una indagine più
profonda, atta a farci presentire forze di cui lo stesso Ebraismo
potrebbe
esser stato, in parte, solo lo strumento. Nei “Protocolli”, del resto,
spesso si parla promiscuamente di Ebraismo e di Massoneria, si legge”
cospirazione massonico-ebraica”, “la nostra divisa massonica, ecc., e in
calce della loro prima edizione si legge: “firmato dai rappresentanti di
Sion del 33 grado”. Poiché la tesi, secondo la quale la Massoneria
sarebbe
esclusivamente una creazione e uno strumento ebraico è, per varie
ragioni,
insostenibile, già da ciò appare la necessità di riferirsi ad una trama
assai più vasta di forze occulte pervertitrici, che noi siamo perfino
inclini a non esaurire in elementi puramente umani. Le principali
ideologie
consigliate dai “Protocolli” come strumenti di distruzione e
effettivamente
apparse con questo significato nella storia - liberalismo,
individualismo,
scientismo, razionalismo, ecc. - non sono, del resto, che gli ultimi
anelli
di una catena di cause, impensabili senza antecedenti, quali per esempio
l’umanesimo, la Riforma, il cartesianismo: fenomeni dei quali però
nessuno
vorrà seriamente far responsabile una congiura ebraica, così come il
Nilus,
in appendice, mostra d credere, inquantoché fa retrocedere la congiura
ebraica niente di meno che al 929 a. C. Bisogna invece restringere
l’azione
distruttrice positiva dell’internazionale ebraica ad un periodo assai
più
recente e pensare che gli Ebrei hanno trovato un terreno già minato da
processi di decomposizione e d’involuzione, le cui origini risalgono a
tempi
assai remoti e che sui legano ad una catena assai complessa di cause:
essi
hanno utilizzato questo terreno, vi hanno, per così dire, innestato la
loro
azione, accelerando il ritmo di quei processi. La loro parte di
esecutori
del sovvertimento mondiale non può dunque essere assoluta. I “Savi
Anziani”
costituiscono invero un mistero assai più profondo di quanto lo possano
supporre la gran parte degli antisemiti, e così pure, per un altro
verso,
coloro che invece fanno cominciare e finire ogni cosa
nell’internazionale
massonica, o simili.»

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