Anche nel mondo romano assistiamo ad una evoluzione del giardino inteso come orto con funzione prevalentemente produttiva, ma che già abbozza anche una funzione estetica e sensoriale dato che era compreso in questi spazi concepiti dentro alla domus, nelle aree scoperte e di solito poste nella parte posteriore della casa. Spazi verdi che si trasformano in “giardini ameni”, i viridaria, luoghi concepiti per il corpo e per lo spirito, costituiti da un equilibrato insieme di specie arboree e da fiore coltivate a fini decorativi, simbolici e contemplativi, abbelliti spesso da grotte, corsi d’acqua, fontane, statue mitologiche che formavano precisi percorsi filosofici.
La storia della Villa Veneta nasce a Roma. E’ infatti proprio il mondo romano che genera la “cultura di villa”, la cultura di abitare in campagna, che andrà poi a dissolversi con la caduta dell'Impero Romano.
L’’Oriente concepì questi luoghi magici creati per la mente e per lo spirito, il mondo romano fu pronto ad importarli assieme alle divinità sublimi e terribili, così approdò nella romanità anche la sapienza greca, i miti, come i paesaggi fuori dal tempo che solo le raffinate culture legate all’acqua sapevano realizzare, e il Mediterraneo fu il laboratorio e il crogiolo dove approdarono e furono elaborati i saperi più diversi, le conoscenze più profonde, le teologie tese all’immortalità. I giardini come i broli sostituirono i salotti culturali, i templi dove adorare le nuove divinità frutto di sincretismi elaborati, pensiamo ai Giardini Boboli o al Girdino Giusti a Verona luoghi magici dove le rappresentazioni teatrali si trasformavano in riti e liturgie collettive dove lo spettatore divenivail credente e i guitti i sacerdoti della nuova religione legata indissolubilmente alla potenza della madre natura.
L’acqua fu il ponte che uni indissolubilmente Venezia all’Oriente, per certi versi il potere navale della Roma Imperiale che permane, sotto mentite spoglie, per tutto il medioevo.
l'esperienza prenda forma e la prenderà nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, con la villa che Giuliano da Sangallo progettò per I Medici a Poggio a Caiano, alla metà degli anni Ottanta del Quattrocento.
"Dopo l'esperienza fiorentina è nella Roma dei primi decenni del Cinquecento che la volontà di far rinascere la villa antica ritrova le forme pienamente desunte dall’antica architettura del passato, con Villa Madama:il Rinascimento è proteso alla rivisitazione della sapienza del passato legato alla sapienza e alla religiosità filosofica greca. Con la bonifica dei territori paludosi del Veneto, inizia la costruzione delle Ville in campagna per un maggior controllo sull'operazione di bonifica". Così nuove ville sulla base delle esperienze romane, vengono realizzate nel Veneto quasi a preparare l’opera di Palladio: anche il Michele Sanmicheli con la villa Soranza, e Jacopo Sansovino con villa Garonzi di Pontecasale e Gianmaria Falconetto con Villa dei Vescovi portano il nuovo modo di concepire la prestigiosa residenza agricola che apre alla nuova economia focalizzata nel contensto di una agricoltura innovativa che produce ricchezza attraverso le nuove copiose culture cerealicole legate al riso e al governo delle acque. Sempre la dimora del nuovo padrone prevede e attua un giardino brolo dove il Signore trova refrigerio per lo spirito e alimenti per il corpo.
Fino ad arrivare a Palladio, il giovane che da scalpellinaio divenne architetto, fu in grado di mettere in pratica la brillante intuizione di Alberti: è in campagna che l’architetto può sperimentare al meglio e realizzare la buona architettura, poiché là non è vincolato a strutture preesistenti né circondato da strade e case vicine.
Dimore legate indissolubilmente alla religiosità pagana che il popolo veneto ha inseguito da sempre, e ha mantenuto indissolubilmente vive nel cuore anche se la religione monoteista imposta da Roma ha cercato di dominare un popolo di grandi bestemmiatori che portano la grazia nell’istinto
Fra le terre pedemontane dove affiorano polle d’acqua sorgiva purissima o acque termali segni della presenza di divinità legate alla terra, Quelle ville erette con tanta grazia sono dei partenoni, dei templi, delle case per accogliere e venerare gli dei del luogo per ingraziarli di questa terra e dei abbondanti frutti che essa dispensa da secoli nel segno della fecondità e dell’abbondanza.
La Rocca Pisana edificio di incomparabile bellezza ideato dallo Scamozzi posta sull’apice di un colle domina dall’alto in un grande respiro la cittadina di Lonigo posta ai piedi dei Berici. Costruita sopra i resti di un tempio dedicato a Zeus può essere ancora considerato una casa degli dei. Era stata concepita come casina estiva della Famiglia Pisani costruita nel 1574.
Venezia uno -stato anfibio- che alla scoperta delle Americhe è già incamminato verso la terraferma veneta e lombarda. La sconfitta di Agnadello, del 1509 spinge la Serenissima non più ad investire sul mare, ma bensì nell’agricoltura, nella gestione e nel governo delle acque fluviali e di resorgiva e la razionalizzazione delle paludi:dove la coltura del riso riuscirà a produrre ricchezza e a debellare l’atavica fame. La -venezianità- si fondò anche in terra ferma sull’organizzazione delle acque, la bonifica delle paludi attuata sia realizzando nuovi canali di sgrondo e di irrigazione.
Opere che determinarono, con le nuove ville volute dalla nobiltà veneziana, il paesaggio che perdurerà per tutta la prima metà del Novecento quando la città -uscirà- investendo indiscriminatamente tutto il territorio per toccare il degrado totale negli anni ottanta con l’inondazione di case e capannoni, in una informe -megalopoli padana-.
Nonostante tutto il territorio riesce ancora a salvare l’eredità del suo passato, la memoria dell’armonia e della bellezza lasciataci dalla Civiltà veneziana.
E’ la villa veneta l’elemento fondante che riesce a mantenere anche una validità economico agricola per tutto l’Ottocento, costituendo anche una identità sociale, culturale, storica e paesaggistica.
L’assetto polifunzionale della villa veneta prevede che essa sia dotata di tutta una serie di edifici, come barchesse, magazzini, stalle, connessi con le esigenze agricole del fondo. Soprattutto nel Settecento, questo aspetto pratico della villa perde di significato e la residenza di campagna finisce per diventare esclusivamente il luogo di delizie della villeggiatura
Il nucleo centrale della Villa è la dimora patrizia del signore che controlla, coordina e organizza il lavoro e il giardino non mancherà mai, luogo legato ai ludici ozi del signore concepito anche per intrattenere e meravigliare gli ospiti, quasi sempre immerso nel contesto bucolico che infonde anche al misero contadino una possibile speranza per il suo lacerante e faticosissimo lavoro.
La specificità del progetto palladiano è di riunire gli annessi agricoli e la casa padronale in un’unica composizione in modo da creare un effetto più imponente e unitario, con una composizione architettonica di grande efficacia sia funzionale che visiva, ispirata alle forme dell’architettura antica. La lunga storia della villa veneta dopo Palladio è ricca e complessa a partire dall’allievo di Palladio, Vincenzo Scamozzi, sino ad arrivare a quell’innovativo tradizionalista (o innovatore tradizionalista) veneto che fu Carlo Scarpa.
Potremo anche parlare di un giardino veneto, con un suo stile “sobrio” ma sempre legato all’armonia e come luogo di serenità dove come osservava Ovidio: la bellezza deve sempre coniugarsi all’utilità e così il giardino veneto estende questi principi anche alla villa di città dove anche se in aree più ristrette non mancherà l’area dedita alle piante da frutta e l’orto per produrre la verdura necessaria alla casa.
A delimitare quasi sempre la forma quadrangolare sono quasi sempre le siepi che armoniosamente si integrano con l’ambiente intorno. Quasi sempre si sfruttano pendii o si creano artificialmente e cosi le acque possono scorrere leggere in piccoli rivi alimentando i zampilli delle fontane o mantenendo il ricambio delle peschiere.
Forse il prototipo della villa veneta è la casa del poeta Francesco Petrarca ad Arquà, collocata nella lussureggiante natura dei colli vulcanici Euganei, chi visita questi luoghi rimane sorpreso per la stretta somiglianza che questo paese possiede alla natura e ai dolci borghi toscani Con Francesco Petrarca, che abbandona Padova per ritirarsi in campagna, fa rinascere la "cultura di villa" come ideale letterario". Il Poeta non a caso scelse questo paese, per la forte similitudine ai luoghi della sua infanzia. Secondo l’uso medioevale il giardino antistante l’abitazione era coltivato a fiori e piante aromatiche. Sul retro vi era la corte e l’orto delimitati da mura e fuori da esse vi era un brolo di sette campi con vigne, piante da frutto e ulivi per il fabbisogno familiare.
Nel contesto della villa veneta si tende a legare ed a integrare l’architettura con il giardino e il paesaggio. L’architettura della villa trova nel giardino il collegamento con i campi coltivati creando un preciso paesaggio quasi a comporre un percorso che integra e riprende un nuovo ordine.
Per chiarezza bisogna spiegare l’etimo
di brolo e ricollocare questa parola un tempo diffusa in tutta l’Italia settentrionale e in Toscana che oggi è ormai in disuso, anche se rimane come toponimo di molte località.
Come termine dialettale veneto è ancora in uso e designa il piccolo frutteto composto da tante varietà di piante da frutta situato nei pressi dell’abitazione dove si è soliti consociare la coltivazione di verdure per uso e consumo della famiglia. Un modo intelligente di usare il giardino decidendo di usare piante che oltre a soddisfare sotto un punto di vista ambientale possano dare anche dei succulenti frutti che scalarmente possano maturare e così permetterci di avere dalla primavera all’estate la possibilità di consumarli o di poterne farne marmellate con i frutti in eccesso. Passo ad accennare le più comuni piante coltivate nei broli veneti.
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