giovedì 17 marzo 2011
Parole di un pagano
Il senso del limite
di Alain de Benoist - 12/03/2011
Fonte: Arianna Editrice
Le società antiche capivano che non c’è vita sociale possibile senza
considerare l'ambiente naturale. Citando Catone («Piantar
l'albero per
chi seguirà»), Cicerone scrive nel De senectute: «Alla domanda “Perché
lo pianti?”, risponde senza esitare: “Gli Dei immortali vogliono che
ereditare dagli ascendenti non mi basti, ma che anche trasmetta ai
discendenti” (7, 24). La riproduzione durevole è stata infatti regola
d'ogni cultura fino al XVIII secolo. Ogni contadino di una volta era
un inconsapevole esperto in «sostenibilità». Ma anche i poteri
pubblici spesso lo erano: Colbert regolava il taglio dei boschi per la
ricostituzione delle foreste, facendo piantare querce che dessero
legno alle navi trecento anni dopo.
I moderni hanno agito all'inverso, comportandosi come se le
«riserve»
naturali fossero moltiplicabili all'infinito - come se il pianeta,
in
ogni sua dimensione, non fosse uno spazio finito. In ogni attimo del
presente hanno impoverito l'avvenire, consumando a oltranza il
passato.
Il XX secolo è stato definito in vari modi: come secolo
dell'ingresso
nell'era atomica, della decolonizzazione, della liberazione
sessuale,
degli «estremi» (Eric Hobsbawm), della «passione del reale» (Alain
Badiou), del trionfo della «metafisica della soggettività»
(Heidegger), della tecnoscienza, della globalizzazione, ecc. Il XX
secolo è stato certo tutto questo. Ma è anche il secolo dell'apogeo
del consumismo, della devastazione del pianeta e, per contraccolpo,
della preoccupazione ecologica. Per Peter Sloterdijk, che caratterizza
la modernità col «principio sovrabbondanza», il XX secolo è stato
innanzitutto il secolo dello spreco. Scrive: «Mentre, per la
tradizione, lo spreco era il peccato per antonomasia contro lo spirito
di sussistenza, mettendo in gioco la riserva sempre insufficiente di
mezzi di sopravvivenza, un profondo cambio di senso è avvenuto attorno
allo spreco dell'era delle energie fossili: si può dire che oggi lo
spreco sia il primo dovere civico. Il divieto di frugalità, che ha
sostituito il divieto di spreco, s'esprime nei costanti appelli per
sostenere la domanda interna».Non si confonda lo spreco con la spesa
ostentata, già tipica delle vecchie aristocrazie. Infatti essa non si
separava mai da un elemento di gratuità e generosità, totalmente
mancante nella società mercantile attuale. Adam Smith definiva ancora
lo spreco come un cedere alla «voglia di godere l'istante». E nella
vecchia borghesia la frugalità era ancora un valore cardinale, come
elemento d'accumulazione del capitale. Col capitale che
s'alimenta da
solo, come oggi, e crea sempre nuovi valori, da tempo il tappo è
saltato. L'obsolescenza programmata dei prodotti è l'uno dei
principi
dello spreco.
All'inizio del XXI secolo, che s'annuncia come il secolo dove il
«fluido» (Zygmunt Bauman) tende a sostituire ovunque il solido - come
l'effimero sostituisce il duraturo, come le reti sostituiscono le
organizzazioni, le comunità le nazioni, i sentimenti transitori le
passioni di un'intera vita, gli impegni puntuali le vocazioni
immutabili, gli scambi nomadi i rapporti sociali radicati, la logica
del Mare (o dell'aria) quella della Terra -, si constata che
l'uomo
avrà consumato in un secolo riserve costituite dalla natura in
trecento milioni d'anni. Se ne traggano le conclusioni.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento