domenica 13 aprile 2025

Tra abilita umana e arte

Ogni poro, ogni capello, ogni muscolo — scolpiti non dalla natura, ma dalle mani dell’uomo che rappresenta.
Nel 1885, credendo di essere vicino alla morte a causa della tubercolosi, lo scultore giapponese Hananuma Masakichi realizzò questo doppio in legno a grandezza naturale come ultimo dono per la donna che amava.
Costruita con fino a 5.000 strisce di legno intrecciate tra loro, senza una sola giuntura visibile, la scultura è tenuta insieme solo da colla, perni e incastri a coda di rondine.
Laccata per imitare la pelle, con occhi di vetro fatti a mano e capelli inseriti uno a uno, confonde il confine tra corpo e creazione.
Non è solo una somiglianza: è l’addio dello scultore, sospeso nel legno.



Solo il mistico Boni poteva fare questi ritrovamenti

Il Lapis Niger e l’Heroon di Romolo
Dove si provava il Lapis Nioger rispetto alla Curia Iulia
Come appariva, prima dei lavori, il luogo dove si celava il Lapis Niger
Al centro del cerchio era ubicato il Lapis Niger

A partire dal 1898 la direzione degli scavi al Foro Romano venne affidata all’archeologo Giacomo Boni, posto a capo della spedizione dell’Università La Sapienza di Roma. Boni fu il primo a rendersi conto che il terreno era composto da strati di epoche diverse, e per tanti applicò per la prima volta il metodo dello scavo stratigrafico e delle fotografie aeree. Il 10 gennaio 1899 durante gli scavi nell’area del Comizio (tra la Curia Iulia e la piazza del Foro), tornò alla luce una pavimentazione in marmo nero, separata dalla pavimentazione augustea in travertino mediante una transenna in marmo bianco. La scoperta venne associata ad alcuni passi degli scrittori Sesto Pompeo Festo e Valerio Flacco, che raccontavano della presenza di un “Niger Lapis in Comitio”, ovvero di una pietra nera del Comizio, che per gli antichi era il luogo di sepoltura di Romolo o il luogo della sua morte. Scavando al di sotto della pavimentazione in marmo nero venne trovata un’area sacra monumentale, composta da una piattaforma su cui giaceva un’altare a tre ante a forma di U, dotato di basamento e di un piccolo cippo posto tra le ante, e due basamenti minori che reggevano rispettivamente un cippo a tronco di cono (forse il basamento di una statua) e un cippo piramidale. Quest’ultimo presentava un’iscrizione bustrofedica (ovvero un’iscrizione le cui linee vanno alternativamente da sinistra a destra e da destra a sinistra allo stesso modo in cui si muovono i buoi nei lavori d'aratura) in latino arcaico con caratteri etruschi, la più antica testimonianza scritta del latino, databile tra il 575-550 a.C. L’altare possiede lo stile classico della prima Età Repubblicana: la sagoma della base è a doppio cuscino sovrapposto, ma si conserva solo lo scalino inferiore. Sotto e intorno ai basamenti furono rinvenuti ex-voto in ceramica etrusco-corinzia e in bronzo, assieme ad ossa di sacrifici. L’attribuzione dell’altare è ancora oggetto di discussione; risale sicuramente al VI secolo a.C. (durante il periodo della monarchia etrusca). Alcuni hanno associato il sito al santuario del Volcanal, descritto da Dionigi di Alicarnasso presso l’area del Comizio, dove sorgeva una statua di Romolo e un cippo con scritte in greco. Tuttavia il cippo rinvenuto non ha parole greche ma latine, riferite alla maledizione scagliata contro chiunque avesse violato il luogo sacro (Qui Hunc Lovum Violavit Sacer Sit). Altre ipotesi vogliono che questo luogo sia stato creato dai re etruschi per alimentare il mito di Romolo, facendo inoltre costruire una tomba fittizia rinvenuta da Giacomo Boni sotto la Curia Iulia. La tomba non era altro che un Heroon, ovvero uno spazio funebre finto usato solo per il culto, tanto che di fronte al sarcofago furono rinvenute ossa di sacrifici animali, tra cui ossa di avvoltoi.

Sotto la Velia

Il Compitum Acilium


Nel 1932 durante i lavori per l’apertura della nuova Via dell’Impero (oggi Via dei Fori Imperiali), ebbe inizio lo sbancamento della Velia, l’altura che univa in antichità il Palatino al Colle Oppio. Durante gli sterri a nord del Tempio di Venere e Roma tornarono alla luce i resti di un piccolo santuario dei Lares Compitales di Età Augustea, fatto costruire da un membro della Gens Acilia. In antichità questi tipi di santuari, chiamati Compita (Compitum al singolare), venivano costruiti in corrispondenza di importanti incroci stradali o terminazioni di strade importanti, che solitamente costituivano il confine di un quartiere (un Vicus). L’edicola sorgeva su un podio rivestito di marmo alto 1,40 metri, largo 2,38 e profondo 2,80. Sul lato anteriore si trovava una scala di quattro gradini che consentiva l’accesso al podio. La piccola cella aveva una profondità di 1,56 metri. Dell’edicola furono rinvenuti un frammento di colonna e i resti della trabeazione. Quest’ultima consisteva in un architrave a due arcate, la cui fascia superiore leggermente sporgente era sostenuta da una barra decorata. Sull’edicola era riportata l’iscrizione: [Imp(eratore) Cae]sare Augusti(!) pontif(ice) max{s}(imo) trib(unicia) potest(ate) XVIII [imp(eratore) XIV L(ucio) Cor]nelio Sulla co(n)s(ulibu)s mag(istri) secun(di) vici compiti Acili Licinius M(arciae) Sextiliae l(ibertus) Diogenes / L(ucius) Aelius L(uci) l(ibertus) Hilarus / M(arcus) Tillius M(arci) l(ibertus) Silo. Da questo riferimento ad Augusto e Lucio Cornelio Silla, si ricava che il Compitum venne costruito nel 5 a.C. In seguito alla scoperta e alla sua descrizione ad opera di Guglielmo Gatti, il Compitum Acilium venne distrutto per proseguire i lavori.

giovedì 10 aprile 2025

LEGGENDE, LA CITTA' DI CARPANEA



Una leggenda del Basso Veronese, di quel territorio un tempo ricoperto per gran parte di paludi, chiamato ‘Grandi Valli’. Un tempo però, si racconta che al posto delle paludi esistesse una città con sette ordini di mura, difesa da cento torri altissime. Attorno, fiumi e fossati, regolate da dighe. Alle spalle della città, un lago conteneva le acque disordinate. Sulla parte più alta, sorgeva un tempio in onore del dio delle acque Appo, che proteggeva la città e la collina su cui sorgeva dalla forza devastante delle acque circostanti. Il tempio era incredibilmente grande ed il re della città, accompagnato dal suo popolo, doveva portate quotidianamente cibi e bevande in offerta al dio, per placare le sue ire. Ma un giorno, il re, pensando che così facendo i sacerdoti del tempio sarebbero ben presto divenuti più potenti e ricchi di lui, smise di perpetuare tale rito e il popolo lo imitò. I sacerdoti, compreso che quella sarebbe stata la loro fine, istigarono il popolo contro il proprio re: il dio Appo avrebbe con la propria ira causato sventure infinite alla città, fu quindi catturato, e messo in un’umida prigione.
Qui, vi meditò la sua vendetta e una notte, favorito dalle tenebre e dal sonno dei guardiani, fuggì, penetrò nel tempio e rapì la statua del dio. I sacerdoti, accortesi del furto, incitarono la folla contro di lui, colpevole di sacrilegio. Il re, vistosi perduto, corse verso il lago e vi gettò la statua e approfittando dello sbigottimento generale, fuggì nei boschi che sorgevano a fianco della città di Carpanea e corse poi al palazzo reale. La folla, esasperata dal fatto, in parte si gettava nel lago per cercar di recuperare il simulacro, affogandovi miseramente. Alcuni si precipitarono sulle dighe, aprendole con l’intento di prosciugare il lago. Ma così facendo, le acque improvvisamente inondarono il tutto, creando un immane gorgo. Così, tra le grida di disperazione, le genti di Carpanea scomparvero, mentre il re, dall’alto del pinnacolo del tempio, osservava lo scempio del suo popolo e fu anch’egli colto da disperazione. Cominciò a suonare la campana del tempio in un disperato tentativo di richiamare la folla sulla collina, ma anche questa, erosa dall’impeto delle acque, sprofondò nel gorgo. E’ così, che si formarono le Grandi Valli.
E la notte, chi percorre l’argine delle paludi, può udire ancora il pianto disperato che proviene dal profondo della terra. E la notte di Pentecoste, al lamento vi si aggiunge un suono lugubre che si spande su tutta la Valle: è la campana del tempio…

Scalinata all'estremità orientale dell'ingresso Tempio di Zeus a Olimpia.


 

Il Maetro


  Aurèle Robert, svizzero nato nel 1805 e morto nel 1871.

mercoledì 9 aprile 2025

La persecuzione del paganesimo

 "9 aprile 423 (l'anno in cui morì Onorio)


Imperatori Onorio e Teodosio ad Asclepiodoto, prefetto del pretorio: i pagani che ancora rimangono, benché crediamo che non ve ne siano, rinuncino a compiere ciò che da tempo è stato vietato."