martedì 17 agosto 2021

Uno dei simboli della Roma del Novecento

La "Bocca della Verità" è uno dei simboli di Roma e ha alimentato attraverso i secoli la propria fama in tutto il mondo, dando adito a numerose interpretazioni circa la sua funzione. 



M.° Giorgio Marlin Colatriani


LA BOCCA DELLA VERITA'






Risalente secondo alcuni studiosi al IV secolo a.C. la scultura, di 1 metro e 66 centimetri di diametro e 22 di spessore, raffigura un volto barbuto con occhi, narici e bocca cavi, attraverso cui poteva eventualmente filtrare l'acqua di scolo, ma la sua fama è legata al mito che la voleva giudice della lealtà di coloro che infilavano la mano nella fessura corrispondente alla bocca: se avessero mentito avrebbero rischiato che la scultura tenesse il loro arto bloccato. Si tratta di una leggenda che nel corso dei secoli, specialmente dal medioevo, ha riguardato la sincerità nei rapporti amorosi ma anche quella di personaggi illustri, quali l'imperatore Giuliano che venne smascherato per aver truffato una donna e a cui il diavolo, nascosto dentro all'opera marmorea, promise riscatto in cambio del ripristino del paganesimo. Altre qualità attribuite alla scultura erano la divinazione e la capacità di donare forza e virilità, per la presenza di uno scroto emergente dalla barba. <…>

Prima della conclusiva perizia di identificazione del reperto scultoreo della Bocca della Verità, citiamo quanto storicamente raccontano gli studiosi come Giuseppe Massimi. Identificata approssimativamente quale simulacro d'idolo parzialmente interrato, prima di essere dissepolta fu ignorata per lungo tempo. Una nota leggenda riportata dal Crescimbeni proseguì per lungo tempo e varie supposizioni si fecero su di essa: che fosse il dio Oceano per le sue ben identificate corna a forma di chele di granchio: «Intorno a questa pietra è passata voce di età in età, che ella fosse un simulacro d'idolo, nella cui bocca, che è aperta, gli antichi romani fossero poveri di por la mano quando giuravano giudizialmente, e che giurando il falso la mano restava addentata nella bocca…». Giovanni Battista Giovenale nel 1927 riporta altre notizie sull'opera: «Le appendici frontali non sono corna bovine, come altri ha potuto credere, sibbene branche di granchio; e queste caratterizzano il dio Okèanos». Il ricercatore propone altre ipotesi, come quella secondo cui i pittori della scuola del Callisto, che dipingevano sovente uomini barbuti, avrebbero visto la Bocca, cui si sarebbero ispirati, fra i ruderi vicino al tempio di Ercole, dove certamente la vide e descrisse nel 1452 Nikolaus Muffel (storico autore di una Descrizione della città di Roma). 

Spostata dal terreno divelto su richiesta del papa Sisto IV ( 1471-1484) la Bocca, con i suoi elementi facciali separati da antiche fratture, sarebbe stata in seguito disegnata da Martino Eemskerk (1498-1574) e dall'Anonimo di Fabriczy (1562-1572). Quindi il mito popolare si diffuse fortemente da quando la Bocca fu esposta e ricomposta definitivamente nel 1637. Attualmente si fa presente che, dopo un recente restauro di pulitura dell'opera, alcuni dei simboli descritti ed evidenziabili in foto antecedenti al lavoro, ora non sono più facilmente riconoscibili. Evidentemente un'energica pulitura della scultura ha eroso in maniera eccessiva alcuni rilievi, resi ancora meno evidenti per la naturale venatura violacea, comparsa nel bianco del marmo dopo la cancellazione della precedente patinatura. Questa protezione secolare e uniforme si era formata nel tempo attraverso concrezioni lichenoidi e un successivo strato di grasso, creato dalle tantissime mani che hanno toccato il mascherone.

E' grazie alla documentazione fotografica precedente al restauro che è possibile ancora evidenziare, con maggiore facilità rispetto alle attuali immagini, tutta la simbologia presente sulla Bocca della Verità, di cui ho svolto un'accurata perizia, frutto di anni di ricerche. Il celeberrimo disco marmoreo dall'aspetto apotropaico, deve dunque il suo nome all'attribuzione popolare che esso possa mordere la mano di chi mente. L'interessante opera ha ispirato varie leggende e teorie di identificazione. Definita erroneamente "antico chiusino di pozzo" o della Cloaca Massima, è superficialmente un marmo di epoca imprecisata raffigurante un volto di uomo o di divinità (il dio Oceano, un satiro, etc.). Per i numerosi aspetti storici e archeologici, come la simbologia e la religione, convergenti tra loro e per l'elemento con il quale è stata costruita, si è giunti dopo anni a una conferma della sua identità. A conclusione di tale perizia, detta opera confermerebbe la specifica raffigurazione simbolica di forma solare del dio Fauno, divinità italica con un culto anteriore a Roma, spesso confusa con il dio Silvano, divinità delle selve e dei boschi, o con il dio greco Pan dal quale, anche se aveva in comune alcune caratteristiche, differiva per vari poteri divinatori.







Immagine tratta dalla rivista Fenix



II grande tondo della Bocca della Verità fu collocato, dopo il suo ritrovamento nel 1637, nel vicino portico di Santa Maria in Cosmedin, singolare complesso architettonico del Paganesimo e del Cristianesimo. <…> L'enorme mascherone della Bocca della Verità, opera dall'aspetto panteista e dall'originalissimo contenuto artistico e arcano, infonde ancora oggi nella gente un'emozione unanime di fronte all'inconsueta atmosfera in stile pagano, per il suo aspetto misterioso e per ì suoi strani simboli, resi quasi irriconoscibili per la lenta erosione, provocata dal fango durante i secoli di interramento. La forma tondeggiante fu una rappresentativa propiziazione solare per l'agricoltura, ma singolare è il gran numero di simboli raffigurati nell'effigie: un elemento tondo dall'evidente forma di scarabeo al centro della fronte documenta l'ingresso nel Lazio arcaico del culto di Kepher, divinità egiziana del sole nascente. Questo nome, avendo per geroglifico lo scarabeo, evidenziava, tramite l'abitudine del coleottero di rotolare una palla di sterco con le proprie uova sulla sabbia riscaldata dal sole, l'origine di ogni forma di vita. Per questo motivo lo scarabeo divenne in Egitto il più diffuso amuleto, presente anche tra le divinità del pantheon egizio. Simbolico è lo scroto, raffigurato sfericamente in basso, rappresentante la ghiandola bilaterale della forza generatrice, parallelamente alle due chele, in alto sulla fronte simili a corna, a significare una simbiosi fluviale-marina con la simbologia caprina e boschereccia. I profili di due teste di lupo, dall'indubbio riferimento alle lupercali, si evidenziano ai lati del volto.


M.° Giorgio Marlin Colatriani - dal n° 1 di Fenix (novembr

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