martedì 17 aprile 2018

Pensieri sulla morte, da un amico appena scomparso

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La Morte non è un fenomeno come qualsiasi altro ma, in certa prospettiva, è l'Evento per antonomasia poiché, sul piano fisico e biologico (e, almeno in apparenza, psichico e intellettuale), coincide con la Fine dell'individuo. Almeno così in prospettiva di mero materialismo (ben misera cosa, parola di uno che ha passato giornate in sala settoria...). 

Si comincia a morire nel momento in cui si nasce; e il decesso è come un nemico perennemente in agguato, nessuno al mondo può essere certo che non sia dietro l'angolo. Tutto questo genera inevitabile angoscia, pur rifiutata ed esorcizzata in vari modi.

Le religioni hanno dunque cercato di offrire risposta e consolazione a tale Paura suprema, con il duplice scopo di lenire la ferita sociale dovuta alla scomparsa del singolo inteso come membro della comunità e, al tempo stesso, far sì che l'esistenza di ciascuno non risulti svuotata di significato come per molti sarebbe se questa si identificasse con una corsa verso il nulla, un baratro oltre il quale nulla sopravvive se non la memoria fra i superstiti (neppure quella, per il defunto anonimo). 

Le parole iniziali dell'ultimo post di sideros tradiscono conoscenza delle tesi di Ariès (riprese e conndivise in misura più o meno ampia da vari autori in letteratura scientifica, anche dal sottoscritto nel suo infinitamente piccolo). 
Più in generale per i popoli antichi, ancora fino a tutto il Seicento e parte del Settecento, la morte era un fatto che rientrava nell'ordine naturale delle cose. Cui si cercava di porre rimedio consolatorio nei limiti del possibile, ma che era conosciuta e accettata nella sua ordinarietà. Subenrerà poi un'alterazione graduale, fino alla tabuizzazione dei giorni nostri nei quali la morte è stata fra l'altro rimossa e spostata fisicamente (dalla casa alla corsia ospedaliera, per esempio) e la cura del moribondo passa non di rado dalla famiglia (che una volta presenziava con solennità al trapasso, "partecipando") a estranei quali infermieri o badanti. 

Ma c'è di più: la morte in sé pare non esistere più. E' sempre ricondotta (anche per i centenari) a un'infinità di circostanze contingenti, patologiche o acciedentali, accomunate dal fatto che, prima o poi, saranno sconfitte. 

E' una vergogna, un oltraggio, una carcassa che ci si sforza di relegare nell'eccezionalità pur essendo, invece, quanto di più normale ci sia. E' "uno scheletro nell'armadio abbandonato nella linda, ordinata, funzionale e piacevole casa che la modernità aveva promesso di costruire" (Z. Bauman, "Il teatro dell'immortalità"). D'altronde, il canto delle sirene della scienza sembrerebbe promettere davvero se non la sconfitta della morte quanto meno la prospettiva di un formidabile aumento della vita media... In ciò vi sono esagerazioni mediatiche, ma anche possibilità reali (come quella offerta dalle ricerche sulle staminali).

E tuttavia, si riscontra un enorme paradosso: mai come adesso siamo stati sopposti a un bombardamento massmediatico di simile imponenza quanto alla morte stessa... Riferimenti abbondano ovunque, dai fumetti al cinema, dai giornali e notiziari agli spot pubblicitari al punto che qualcuno (Giovannini) ha scritto un saggio su questa capillare diffusione della "Necrocultura". 

Cacciata dalla porta, rientra dalla finestra; pur come morte "altrui".

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