venerdì 6 marzo 2009
A Iside regina del cielo e madre nella terra
Il 5 marzo, nell’ Impero romano, veniva festeggiato il Navigium Isidis, festa del vascello di Iside, che faceva inoltrare nella fioritura e riapriva la navigazione affidandola ad Iside Pelagia sposa felice di Osiride il verde, rinato nel rinnovarsi delle stagioni.
Durante tale festa culminava l'iniziazione isiaca di cui Apuleio ci ha lasciato un vivido ricordo narrandoci come Lucio dalle fattezze asinine (evidente allusione al nemico Seth-Tifone) recuperi quelle umane grazie all'intervento della Dea: "Eccomi, o Lucio, sono qui, commossa dalle tue preghiere. I miei svariati nomi. Il mio vero nome, egizio, è Iside. Sono qui, mossa a pietà dalle tue vicende".
PREGHIERA AD ISIDE
“Tu, invero, santa e sempre pronta a venire in soccorso di tutti gli uomini, sempre generosa nei confronti dei mortali, ai miseri in disgrazia accordi l’amore dolce della madre. Neanche un giorno o una notte e neanche un solo momento, per quanto breve possa essere, passa privo della tua benedizione, senza che tu protegga gli uomini in terra e mare e offra la tua destra che offre soccorso, allontanate le tempeste dell’esistenza, grazie alla quale sciogli anche i lacci inestricabilmente aggrovigliati di ogni destino, calmi le tempeste della fortuna e arresti i crudeli corsi degli Astri.
Gli Dei superstiti ti venerano, gli inferi ti onorano, tu fai ruotare la sfera del cielo, illumini il sole, governi il mondo e calchi il Tartaro. Grazie a te le stelle diventano propizie, grazie a te tornano le stagioni, gli Dei si rallegrano e gli elementi sono tuoi schiavi. Ad un tuo cenno soffiano i venti, le nubi danno nutrimento, i semi germogliano, i germogli crescono. Gli uccelli che attraversano il cielo, le fiere che si aggirano suoi monti, i serpenti che si nascondono sul terreno, i mostri che nuotano nel mare temono la tua maestà.
Ma le mie capacità sono troppo deboli per far riecheggiare le tue lodi, né sono così ricco da poterti offrire dei sacrifici, né ho una così grande fecondia da poter dire quelle cose che provo per la tua maestà, né sarebbero sufficienti mille bocche ed altrettante lingue, né una concatenazione senza fine di un sermone instancabile. Pertanto cercherò di fare soltanto quello che invero può fare uno che è devoto ma per il resto è povero: contemplerò le tue sembianze divine e il tuo santissimo nume riposti nei più segreti recessi del mio cuore custodendoli in eterno”.
(APULEIO, Metamorphoses, XI, 25)
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