martedì 15 marzo 2011
Un pirata inventò il capitalismo
E un pirata inventò il capitalismo
di Giulio Giorello - 04/10/2010
dal Corriere della Sera
Il comportamento razionale dei filibustieri prefigura quello delle imprese
I marinai di un mercantile viaggiano tranquilli sulle onde. Una nave da duecento tonnellate appare all’orizzonte. Vista a distanza sembra inoffensiva. Batte bandiera inglese. Quando si fa più vicino, il naviglio rivela, però, tratti sinistri: è anch’esso un mercantile, ma alquanto modificato. Invece dei soliti sei cannoni, ne ha più di venti... La scena che Peter Leeson ci invita a contemplare in questo suo The Invisible Hook, ovvero alla lettera «l’uncino invisibile», che tratta dell’Economia secondo i pirati, è la minaccia di un arrembaggio: la nave misteriosa trasporta una ciurma di canaglie, comandate da un qualche Capitan Uncino. Gli ultimi dubbi verranno presto dissolti, perché i capi pirata amano personalizzare le loro insegne, variando lo schema di quella che è nota come la Bandiera della Morte, ovvero la Jolie Rouge (in seguito Jolly Roger), il drappo rosso — e poi nero — che reca teschio e ossa. Che cosa farà il comandante del mercantile alla vista di quello spauracchio dei mari? Magari si limiterà a seguire l’esortazione del Capitan Uncino della versione musicale di Edoardo Bennato: «Meglio che questa volta si arrenda». Ma cosa lo ha indotto a desistere da qualsiasi autodifesa?
Il fatto è che — almeno nella stragrande maggioranza — quei predoni del mare godevano fama non solo di essere spietati con chi non cedeva subito le armi, ma anche di essere fedeli alla parola data: chi si arrende avrà salva la vita, anche se perderà la roba. Uno scambio abbastanza equo per tutti coloro che si trovavano sospesi «tra il Diavolo e il profondo mare azzurro»: da una parte quelli che avevano tentato la sorte sulle onde; dall’altra i pirati stessi, che sfidavano la morte affrontando tempeste, abbordaggi, o magari l’implacabile «giustizia» di chi viveva sotto la legge.
Questo il paradosso dei pirati pacifisti. Come scrive Leeson: «La Jolly Roger finiva per salvare la vita ai marinai delle navi da carico. Segnalando l’identità dei pirati e i potenziali obiettivi preveniva una battaglia sanguinosa che avrebbe inutilmente ferito o ucciso non solo dei pirati ma anche degli innocenti marinai. Paradossalmente, dunque, l’effetto del lugubre simbolismo del teschio era simile a quello di una colomba che tiene nel becco un ramoscello d’ulivo!». I pirati erano capaci di beffarsi delle potenze del mondo intero e di elaborare insieme strumenti semiotici di mediazione piuttosto sofisticati — e tutto allo scopo di minimizzare i costi e massimizzare i profitti delle loro... imprese. Qui valeva la legge dell’Uncino Invisibile, degno correlato piratesco della Mano Invisibile di Adam Smith. La ricerca dell’utile personale di ciascun cittadino finiva per produrre la ricchezza della nazione; allo stesso modo, l’egoismo di ciascun pirata era funzionale all’economia di quello «Stato in miniatura» rappresentato dalla nave di questi predatori del mare.
Come scrive Leeson, i pirati erano sì dei «fuorilegge assoluti», ma non per questo erano incapaci di forme articolate di autogoverno. La loro massimizzazione del «piacere» richiedeva appunto «potere e libertà», e tutto questo era garantito da una «democrazia anarchica» che permetteva di affrontare con successo la grande questione che sottende l’origine dello Stato moderno. Per dirla con Baruch Spinoza: com’è possibile che ogni individuo ceda alla struttura pubblica una porzione della propria libertà e nello stesso tempo eviti «che la sua coscienza soggiaccia assolutamente all’altrui diritto»? La risposta è: definendo un sistema di controlli e contrappesi che garantisca che qualsiasi struttura statuale, «lungi dal convertire in bestie gli uomini dotati di ragione o farne degli automi», consenta invece «che la loro mente e il loro corpo possano con sicurezza esercitare le loro funzioni. Il vero fine dello Stato è la libertà».
È singolare, nota Leeson, che tutto ciò venisse realizzato con più di un secolo di anticipo rispetto al sistema di checks and balances escogitato dai padri fondatori di quell’«esperimento democratico» grazie a cui tredici colonie del Nordamerica divennero il nucleo degli Stati Uniti. Prima che contro la Corona e il Parlamento d’Inghilterra insorgessero i «risoluti ribelli», già si erano ammutinati non pochi marinai delle navi di sua maestà, per non dire delle piratesche «canaglie di tutto il mondo» che rifiutavano di chinare il capo di fronte a qualsiasi autorità. Il vero esperimento democratico è stato il loro — e le società aperte di cui oggi l’Occidente va tanto orgoglioso non hanno fatto che imparare da quei «mostri».
Non è perché fossero istintivamente miti o portati alla democrazia che i pirati finirono con lo scegliere la politica dell’intimidazione nei confronti del nemico esterno e quella del buon governo al proprio interno. Credo che ci possa aiutare a mettere in luce i tratti più salienti dell’Uncino Invisibile un modello elaborato da Elliot Sober in un contesto diverso (il dibattito sulla selezione darwiniana): in breve, biglie di diverso colore vengono filtrate da un crivello, i cui fori — che immaginiamo tutti uguali — bloccano quelle di dimensione superiore al diametro dell’apertura. Supponiamo inoltre che le biglie così piccole da non essere fermate dai buchi siano tutte colorate di rosso; possiamo concludere che il crivello seleziona solo biglie di quel colore. Ma quel tratto è tipicamente contingente: che il rosso si stabilizzi come carattere distintivo delle biglie «sopravvissute» è una mera conseguenza del meccanismo sottostante che discrimina le biglie per dimensione e del fatto «accidentale» che tutte le biglie abbastanza piccole sono di quel colore. Dunque, non è perché sono rosse che le biglie passano attraverso quel crivello; piuttosto, il fatto che sono rosse è un segno che esse erano adatte a superare l’ostacolo. Analogamente, possiamo dire che i nostri pirati erano «buoni» solo perché la loro bontà è stata selezionata come «tratto contingente» dalla logica economica che coordinava le loro pratiche.
Nel caso del crivello di Sober è facile individuare il meccanismo sottostante (se il diametro della biglia è maggiore di quello del foro, questa non passa). Nel caso dei pirati la ragione nascosta di tutto il processo è appunto l’Uncino Invisibile: la pirateria tra Seicento e Settecento aveva favorito l’evoluzione di quei tratti «buoni» perché questi erano i caratteri più vantaggiosi. Dunque, non solo l’analogia bensì anche la differenza con il crivello di Sober è istruttiva: le biglie ben poco fanno per modificare il crivello; le scelte dei pirati, invece, riescono a rimodellare il sistema di contromisure adottate dalle marine delle varie nazioni, nominalmente o realmente in guerra contro di loro. È un po’ come se il tingere di rosso alcune biglie ne riducesse la dimensione rendendole più «agili e snelle», in modo da eludere le maglie del crivello! I pirati sanno scegliere i colori, ed è grazie al rosso o al nero della Jolly Roger che riescono a piegare ai loro scopi le maglie di qualsiasi crivello venga loro opposto dal commercio «legale». Ma sanno anche che la mossa è rischiosa, perché li segnala come fuorilegge. Non diversamente, è rischioso per i pavoni possedere code sgargianti o per gli alci avere grandi palchi di corna per sedurre le femmine. Nello spirito darwiniano ciò funziona, anche se quegli animali rischiano maggiormente di apparire come possibili vittime dei predatori; quando riescono nei loro intenti, però, sono loro i «predatori» nella gara degli amori. E così sono i pirati, che il loro vessillo segnala inequivocabilmente come nemici di tutte le bandiere, ma che — quando il colpo va a segno — consente loro di ottenere quella «felicità» di cui vanno in cerca, e magari senza troppo spargimento di sangue.
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