martedì 14 maggio 2024

Il dio Pan

Il dio Pan seduto su una roccia, con in mano un flauto e un grappolo di uva. - statua in marmo, copia romana del II secolo d.C. da un originale greco - Provenienza da Roma - Altezza H. 174 cm; L. 88 cm; W. 80 cm. Peso 2, 5 t. - Museo del Louvre, Paris - Inv. Numero Ma 266 MR 313 



Il Santuario romano a Chester

 


Il santuario di Minerva è l’unico luogo di culto romano scavato nella roccia sopravvissuto in Gran Bretagna
Nei pressi dell’odierna Chester vi è un luogo dedicato dagli antichi Romani di Britannia alla Dea Minerva, divinità delle guerre giuste, dell’arte, della saggezza e protettrice degli artigiani.
È proprio quest’ultima sua “vocazione” che la portò ad essere raffigurata a migliaia di chilometri di distanza da Roma, proteggendo i lavoratori che dalla cava di arenaria tagliavano e trasportavano i blocchi per la costruzione delle loro fortezze.
La legione Victrix, insieme alla Legio IX Hispana comandata da Quinto Petilio Ceriale, è infatti legata ai maestri costruttori della fortezza di Eburacumche nella tradizione divenne il fulcro originario delle corporazioni di mestiere. I lavoratori della XX Legione Valeria Victrix portavano i propri omaggi a Minerva e pregavano affinché li proteggesse dal loro rischioso lavoro.
L’ultima menzione di questa legione in Britania risale al 108 d.c, ovvero dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme.


La città di York venne fondata dal governatore romano di Britannia, Quinto Petilio Ceriale, intorno al 71 d.C., con il nome di Eboracum o Eburacum ....Il figlio di Vespasiano, Tito, comandò le legioni romane che nel 70 d.C. distrussero il Tempio di Gerusalemme, portando forse con sé il mistero della sacra arte connessa alla costruzione del tempio di Salomone e dell’Arca dell’Alleanza.
Non è quindi un caso che fosse diffuso il culto di una Dea come Minerva, Dea della sapienza e protettrice delle Arti sacre, le stesse che determinarono la costruzione del Tempio di Salomone.
Il destino della Legio Hispana è avvolto nel mistero.. nel 120 d.C la Legio Hispana fu sostituita a Eburacum dalla VI Victrix e, secondo alcune leggende, si pensa che si sia unita agli scoti , alcune iscrizioni la indicano invece nei Paesi Bassi.
Significativo anche il fatto che i romani diedero a quella fortezza costruita in Britannia il nome di Eburacum.
Il termine Eburacum avrebbe il significato di "popolo dei tassi", un popolo identificato con i Biturgi considerati i "Re del Mondo"
Il nome Eburacum sembra anche contenere il mistero di una antica sacra stirpe: quella davidica, poiché Eber, nel Vangelo di Matteo viene indicato come antenato di Gesù...
Il tempo e il vandalismo, oltre al fanatismo religioso contro le divinità ritenute pagane, hanno portato alla loro quasi completa distruzione, e anche del santuario di Minerva a Chester ormai non rimane che l’ombra del suo antico splendore.
Un occhio attento però riesce a discernere la figura fiera che impugna una lancia e indossa l’elmo, mentre un gufo le è appoggiato sulla spalla destra.

lunedì 13 maggio 2024

Una opera non ancora studiata a fondo manomesso dai lavori per la TAV

Se l'ipogeo della Montagnola di Quinto Fiorentino avesse una nuova lettura?..


È bene ricordare che la grande Tholos della Montagnola di Quinto Fiorentino "adesso manomessa dopo i lavori TAV". Lavori che hanno cancellato parte della struttura della collina e del monumento e all'interno cancellati alcuni graffiti e, parte dell'intonaco bianco visibile sulle pietre ai lati dei pilastri d'ingresso alla camera centrale, oltre alle tracce di colore rosso che si potevano vedere sua pietre della parete. Parete del monumento dove alla base è presente la grande pietra "porta lebete" in arenaria.
Dall'interno della camera centrale e stata tolta la grande lastra "vassoio" in arenaria che era sul lato del pilastro.
Sopra questa lastra vassoio sono state trovate tracce di bruciato e polvere d'oro. (Questa lastra venne portata a Villa Corsini a Castello, per permettere che all'interno del monumento venissero messe impalcature per la sicurezza, durante i lavori della galleria TAV. che passa a poco più di 25 metri sotto il monumento).
La lastra di arenaria serviva per officiare riti funebri prima della sepoltura.


- Visto che all'interno della tholos non sono state trovate tracce di ossa umane, ma è stata rinvenuta, al lato d'ingresso alla tholos, a circa cinquanta centimetri di altezza dal piano di calpestio un'urnetta cineraria con ceneri e ossa di un bambino, ma databile ad epoca successiva alla costruzione del monumento e, constatato che sono visibile sulla struttura del monumento modifiche alla conformazione strutturali iniziali, fatte in epoca antica, questo porta a pensare che l'interno della tholos sia stato utilizzato come luogo di culto, prima della sepoltura dei defunti, vista la presenza di varie sepolture trovate sull collina.

sabato 11 maggio 2024

Un bagno per poche ore

 Non credo sia un semplice pettegolezzo legato alla visita del Papa a Verona e precisamente nel carcere di Montorio. Da voci di corridoio emerge che già da un po di tempo nel carcere di Montorio si sta costruendo una piccolo edificio appositamente finalizzato alla funzione di bagno-gabinetto per la sola e completa disposizione del Papa dei suoi bisogni umani, pensiamo che Francesco resterà fra i detenuti solo a pranzo. Una cosa assurda, senza pensare poi alle spese che credo saranno a carico del carcere, sarei felice se qualcuno smentisse questa brutta notizia che cozza con i principi del pontefice



mercoledì 8 maggio 2024

Ecco l'arroganza cristiana romana da un articolo apparso sull' Osservatore Romano

L'arroganza cristiana romana-cristiana non ha limiti 



"L’Osservatore Romano, il quotidiano ufficiale del Vaticano, non ha trovato nulla di meglio da fare che celebrare la morte del Premio Nobel Josè Saramago attaccandolo. Con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, e con la stessa arroganza di chi ritiene di avere sempre la verità in pugno. Come quando la Suprema sacra congregazione del Sant’Uffizio nel 1615 il denunziò il grande scienziato, matematico e filosofo Galileo Galilei per aver sostenuto la teoria copernicana, eliocentrica, del Sole al centro, contraddicendo così la Chiesa, che all’epoca riteneva invece la Terra immobile al centro dell’universo! L’attacco a Saramago, che oggi non può difendersi, è l’ennesimo episodio grottesco che risponde alla strategia di attaccare chi ha idee diverse dalle proprie. Saramago, per l’Osservatore Romano sarebbe colpevole in quanto “si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell’inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle “purghe”, dei genocidi”. E allora?  Quanti scrittori e giornalisti ci sono che non hanno mai avuto occasione di scrivere una riga sui Gulag? Meglio avrebbe fatto l’Osservatore Romano ad astenersi dalle critiche a Saramago il giorno dopo la sua morte. Considerato anche il pesante armadio della vergogna della pedofilia che affligge la Chiesa, incapace oggi di celarne il contenuto come ha fatto per secoli!" Da: https://www.bellunopress.it/2010/06/19/e-morto-il-premio-nobel-jose-saramago-e-losservatore-romano-da-la-notizia-attaccandolo/


Ecco l'articolo apparso sull'OSSERVATORE ROMANO a dieci anna dalla morte di Saramago:



Nel suo discorso in occasione dell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura (1998) lo scrittore e drammaturgo José Saramago ha voluto rendere un tenerissimo omaggio al nonno materno, «l’uomo più saggio che ho conosciuto, anche se non sapeva né leggere né scrivere». Con lui, ricordava ancora il romanziere portoghese, nelle notti d’estate qualche volta dormiva «sotto un grande albero di fico, tra i cui rami una stella mi appariva e poi lentamente si nascondeva dietro una foglia». Mentre il sonno tardava, le notti si popolavano di storie che lo cullavano. «Verrà il giorno in cui dirò queste cose e nulla di ciò importerà se non a me», diceva chiedendosi a quale “albero” migliore avrebbe potuto appoggiarsi.

Il conferimento del Nobel ha coinciso con le celebrazioni planetarie del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo; ovviamente lo scrittore ha colto l’occasione per ricordare come ancora «l’ingiustizia si moltiplica, la disuguaglianza peggiora, l’ignoranza cresce, la miseria si diffonde» nel mondo. La denuncia della sopraffazione e dell’iniquità che corrodono lo spirito umano ha infatti segnato buona parte della sua vasta produzione, in cui spesso mette a tema come si sia perso il senso di solidarietà, e come questo smarrimento abbia portato la società contemporanea e le sue strutture di potere a divenire profondamente miopi. Come si legge nella motivazione del Nobel, «grazie a parabole sostenute dall’immaginazione, la compassione e l’ironia, l’autore ricostruisce e rende tangibile una realtà difficile da afferrare».

L’intenso romanzo Cecità (Ensaio sobre a cegueira, 1995) ne è un valido esempio. In esso lo scrittore fa una lucida analisi della natura umana, raccontando come, in modo inaspettato e misterioso, un automobilista fermo davanti al semaforo rosso diventa all’improvviso cieco, “paziente zero” di quella che in poco tempo sarebbe diventata una vera e propria pandemia, colpendo indistintamente tutti gli abitanti di un luogo non ben determinato, ad eccezione di un’unica persona, identificata semplicemente come «la moglie del medico» (in verità in questa storia, nessuno dei personaggi ha un nome proprio), e provocando uno scenario apocalittico.

La tematica centrale dietro gli eventi assurdi e inspiegabili del racconto è infatti quella dell’indifferenza, dell’egoismo, che con l’espandersi della pandemia diventano sempre più evidenti, e che l’autore denuncia con veemenza, come aspra critica rivolta alla società in generale, e in particolare a quella comunità cittadina, nella quale la cecità “bianca” — così chiamata perché quanti ne vengono colpiti sono come avvolti in una nube lattiginosa — riesce a snaturare le più elementari leggi del vivere comunitario, rivelando il peggio che si annida nell’animo umano.

Rivedendo anzi la natura del disordine che si è venuto a creare con l’arrivo di un morbo che ha colpito la popolazione in modo così indiscriminato e insensato, si chiede se non fosse già presente prima che la cecità oscurasse gli occhi della gente, se è stata l’improvvisa oscurità a creare il caos, oppure se la malattia sia diventata “visibile” proprio grazie alla cecità.

Facendo dire alla rassegnata protagonista femminile «Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me siamo ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono», l’autore invita il lettore alla consapevolezza e alla responsabilità di vedere, mentre tanti hanno purtroppo perso questa capacità. Davanti all’egoismo esasperato, si domanda perplesso se dobbiamo davvero essere tutti ciechi per vedere l’altro.

Quando i personaggi del racconto vengono abbandonati a loro stessi, rinchiusi in un manicomio dove le risorse sono praticamente inesistenti, le basilari regole sociali imparate nel percorso della vita decadono all’improvviso. E lo spazio lasciato alla loro creatività, in teoria ideale per concepire una nuova forma di comunità più solidale, si tramuta invece a poco a poco, svelando le pulsioni più primitive dell’essere umano. Ben presto l’unica legge sarà quella del più forte, in cui pochi rendono impossibile la vita alla maggioranza sfiduciata e inerme. Un mondo dal quale la solidarietà viene completamente bandita, in cui l’uomo riesce addirittura ad annullare la propria evoluzione biologica, culturale e comunitaria. Nella morsa della paura dell’altro, solo la lotta per la sopravvivenza sembra tenerlo in vita.

Convinto assertore del pessimismo antropologico ma profondo conoscitore dello spirito umano, l’autore sostiene che «noi uomini non siamo buoni, ma bisogna avere il coraggio di ammetterlo» per poter aspirare alla guarigione, e che la nostra reazione in situazioni di impotenza e abbandono può diventare spietata e smarrire ogni ombra di obbiettività, portandoci al vero disprezzo per l’altro.

Alla fine del periodo di confinamento, quando la moglie del medico lascia il lazzaretto (dove era entrata fingendosi cieca per salvare il marito) e affronta la propria sorte, si rende conto di come tutto quello che è successo non abbia minimamente migliorato il genere umano. Anzi, il mondo dei ciechi ha tristemente ceduto il passo a quello dei barbari. Entrando in una chiesa si imbatte in una scena che la lascia esterrefatta. Tutti i santi sono bendati, perfino Cristo sulla croce, come se si volesse dire che lo stesso Dio non merita più di vedere: «Se i cieli non possono vedere, che nessuno veda». In verità è l’uomo che, sentendosi abbandonato al suo destino, non vuole essere guardato e ne dà la colpa a Colui che a suo avviso non è stato capace di salvarlo.

Nonostante la sua visione distopica del mondo, questo racconto può far riflettere sui comportamenti umani, specie nei momenti più complessi e imprevedibili della vita, se non si vuole sprofondare nel nonsenso. Si può ancora sperare che per il buio della ragione ci sia un rimedio efficace, quello cioè della compassione. Un antidoto sicuro all’indifferenza e l’unico che ci può portare dalla cecità e durezza di cuore al rispetto dell’altro, materia prima fondamentale per la costruzione della civiltà dell’amore. Simile forse a quella che popolava i sogni dell’autore, mentre da bambino si addormentava beato con suo nonno sotto un grande albero di fico.

di Sergio Suchodolak


Dietro gli avvenimenti più disparati


Nato nel piccolo paese di Azinhaga, in Portogallo, il 16 novembre 1922, José Saramago è morto alle Isole Canarie il 18 giugno di dieci anni fa. Dapprima si è dedicato all’attività di traduttore e di critico letterario, pubblicando una raccolta di poesie e diversi testi teatrali, romanzi, racconti. L’apprezzamento della critica è arrivato nel 1982 con Memoriale del convento e successivamente con L’anno della morte di Ricardo Reis, ma il vero successo internazionale è giunto una decina di anni più tardi con il controverso Vangelo secondo Gesù Cristo e con Cecità, che nel 1998 gli varranno il premio Nobel per la letteratura. José Saramago ha continuato a scrivere fino agli ultimi anni di vita, firmando opere di grande rilievo come Tutti i nomiLe intermittenze della morte Caino, suo ultimo romanzo. Nonostante il pessimismo di cui sono intrise molte delle sue opere, che si prestano a molti piani di lettura, nel decimo anniversario della morte preferiamo ricordarlo come un autore che comunque ha cercato di mettere in luce il fattore umano che si nasconde dietro gli avvenimenti più disparati. Per Saramago non ci sono eroi, ma solo uomini, con i loro pregi e i loro difetti, in fondo semplici portavoce del genere umano, degni di una compassione che in Cecità viene ben espressa con queste parole: «Essere un fantasma dev’essere questo, avere la certezza che la vita esiste, perché ce lo dicono quattro sensi, e non poterla vedere». (sergio suchodolak)

martedì 7 maggio 2024

Quelle api che ornavano il mantello nell'incoronazione del 2 dicembre di Napoleaone ad Imperatore (vien da ridere)

 LE API DI NAPOLEONE E LE ORIGINI DELLA DINASTIA MEROVINGIA



Partiamo da quello che scrive la Fondation Napoleon (prestigioso istituto di preservazione della storia francese):


The Bee
Symbol of immortality and resurrection, the bee was chosen so as to link the new dynasty to the very origins of France. Golden bees (in fact, cicadas) were discovered in 1653 in Tournai in the tomb of Childeric I, founder in 457 of the Merovingian dynasty and father of Clovis. They were considered as the oldest emblem of the sovereigns of France.
Traduco:
L’APE
Simbolo di immortalità e resurrezione, l’ape fu scelta (da Napoleone, sottinteso) per collegare la nuova dinastia alle prime origini della Francia. Le api dorate (in realtà, cicale) furono trovate nel 1653 a Tournai nella tomba di Childerico, fondatore nel 457 della dinastia merovingia e padre di Clodoveo. Si considera l’emblema più antico dei sovrani di Francia
In pratica, Napoleone voleva ammantare la sua dinastia (che avrebbe voluto fondare) di prestigio con un collegamento con le dinastie reali francesi dei primordi, in particolare i Merovingi
Quelli nella foto sono due pezzi originali rinvenuti nella tomba di Childerico (anche se altri pezzi sono mancanti perché rubati nell’Ottocento)
Ps come dice anche la fondazione francese, ci sono tesi diversi sulle api: c’è chi dice che siano cicale e chi fiori di giglio. Napoleone però come simbolo (o meglio come uno dei suoi simboli) ha adottato le api dorate, aderendo a questa interpretazione.

sabato 4 maggio 2024

Maria, Miriam e Iside, la madre per tutti di sempre, tanti nomi una unica dea

 “Dedico a te, o Maria, esempio di inaudita fedeltà, queste pagine brevi, stampate - per volontà non mia - per iniziare ai secreti della tua anima ermetica i dotti fanciulli della ingenua umanità. Maga, sacerdotessa, zingara, cartomante, medichessa, astrologa, divina — seduttrice ed ammaliatrice sempre — sei passata e passi anche tu attraverso al labirinto delle vittime di due estremi, la fede ignorante e la boria scientifica dei terrestri. Quindi non meravigliarti se la mia prosa sarà accolta come Calandrino di Messer Boccacci in Mugello.

Non so ora, o Maria, dove ti trovi e quale maschera porti, ma questo libro ti arriverà lo stesso e con un sorriso eroico dirai: — Toh! parla un morto della tragedia storica che vissi e piansi in omaggio alla gratitudine dei popoli melensi, immemori di chi loro ha donato la libertà del non credere! [...]
Tu sorridi, o amica diletta, tu ridi...
Siimi serenamente giudice. Aspetto il tuo verdetto. Un fiore. Lo staccherai dall'albero della Genesi, lasciando che gli altri fruttifichino il bene e il male, che l'umanità, avanzando, raccoglie e digerisce. Conserva per te la melagrana, perché ti riconoscerò dalle labbra rosse, come nel Cantico dei Cantici, e dalla voce regale... perché hai testa di donna e corpo flessuoso di serpente tentatore: non ridere... lo vedi il Cherub dalla spada fiammeggiante che veglia, ci spia, ci fa da delatore?... oh il perfido eunuco!"
G. KREMMERZ, La Porta Ermetica

La nostra Grande Madre Iside

 A Sais la statua di Atena, che essi [gli Egiziani] identificano con Iside, reca incisa questa epigrafe: «Io sono tutto ciò che è stato, che è e che sarà, e nessun mortale mai sollevò il mio peplo» (Plutarco; Iside e Osiride, 9, p. 67).



giovedì 2 maggio 2024

UN TORO CON TRE CORNA



Staua in bronzo del Toro d'Avrigney (Haute-Saône) – Scoperto nel 1756 - Époque gallo-romaine, I secolo d.C. - Musée des Beaux-Arts et d'Archéologie de Besançon, Francia
Le tre corna come la coccarda che adornano la fronte dell'animale rivelano la sua natura divina, che proviene anche dall'antico background delle credenze indigene.
Conosciamo oggi una trentina di rappresentazioni del toro con tre corna. La maggior parte è concentrata nel territorio di Sequan, ma alcune statuette sono state trovate anche nelle valli del Rodano, del Reno, della Mosella e del Neckar e persino nell'Inghilterra meridionale. La statua di Besançon, per le sue dimensioni e per il suo trattamento eccezionale, costituisce tuttavia un'eccezione all'interno di questo corpus.

martedì 30 aprile 2024

25 aprile e primo maggio: feste arcaiche legate alla fecondazione della natura

 Adesso che stanno passando le due festività stagionali (25 aprile e 1 maggio), potrebbe essere interessante sottolineare che ambedue queste date hanno avuto nel passato un significato celebrativo ben diverso da quello secolare attuale [Festa della Liberazione/Libertà (in Italia e in Portogallo) e Festa internazionale dei Lavoratori].

25 aprile


Il 25 aprile, festa di San Marco, era la data quando si celebravano le Rogazioni maggiori (mentre le Rogazioni minori venivano celebrate il lunedì, il martedì e il mercoledì prima della festa dell'Ascensione), una serie di riti cattolici, che consistevano in preghiere, atti di penitenza e processioni propiziatorie per la buona riuscita delle semine.
Ma, come spesso succede, questo rito cattolico era derivato da precedenti festività romane, quella dell'Ambarvalia che comprendeva processioni fatte allo scopo di propiziare il buon esito dell'annata agraria con invocazioni alla dea Cerere, e quella dei Robigalia.
Quest'ultima veniva celebrata in onore del dio Robigus, una divinità ctonia e maligna legata alla “ruggine”, una particolare malattia del grano causata dal fungo Puccinia graminis.
Per acquietare la furia della divinità, le celebrazioni comprendevano dei giochi (ludi), ma soprattutto il sacrificio di un cucciolo di cane (catulus), che doveva avere il manto rosso. Il richiamo al colore rosso era tematico: la malattia del grano era caratterizzato da un colore rosso, lo stesso colore del pelo e del sangue dell’animale sacrificato, il cui colore richiama anche quello del dio della guerra e, sorprendentemente, dell’agricoltura, Marte. Infatti, secondo uno dei massimi esperti di religioni romane, William Warde Fowler, il nome Robigus non era altro che un’indigitazione del dio Marte, vale a dire un nome usato in una preghiera per invocare uno specifico intervento del dio.
1 maggio
Il 1 maggio, invece, veniva celebrato (e tuttora si celebra) da molti popoli del passato, come Calendimaggio, il cui nome deriva dal periodo in cui si svolgeva, vale a dire le calende del mese nel calendario romano.
I Romani lo facevano coincidere con Floralia, una cerimonia di cinque giorni per onorare Flora, la dea romana dei fiori, che era considerata una delle più antiche dee della religione romana ed era una delle 15 divinità ad avere uno specifico sommo sacerdote, il Flamen Florialis.
Beltane
Per i Celti, il 1° maggio (o comunque nella data a metà tra l'equinozio di primavera ed il solstizio estivo) si festeggiava Beltane (in gaelico irlandese: Bealtaine, e in gaelico scozzese: Bealltainn).
L'etimologia del termine deriverebbe dal termine celtico *belo-te(p)niâ (fuoco brillante).
Conosciuto anche come Cétshamhain ("il primo/l'inizio dell'estate"), Beltane segnava l'inizio dell'estate e marcava il momento quando il bestiame veniva portato ai pascoli estivi.
Storicamente, si festeggiava in Irlanda, in Scozia e nell'Isola di Man e iniziava la notte prima del 1 maggio. Gli antichi Celti credevano che il sole fosse tenuto prigioniero durante i mesi invernali, per essere rilasciato ogni primavera e celebravano quindi questo momento con falò e feste, oltre a rituali per proteggere il bestiame, i raccolti e le persone e per incoraggiare la crescita. Si riteneva che le fiamme, il fumo e le ceneri dei falò avessero poteri protettivi. Le persone e il bestiame venivano fatti camminare intorno al falò e qualche volta saltavano attraverso le fiamme o le braci.
I pozzi sacri
Anche i pozzi sacri venivano visitati a Beltane: i visitatori pregavano per la salute mentre camminavano in senso solare (spostandosi da est a ovest) intorno al pozzo. In seguito lasciavano delle offerte, o monete o un clootie (un tipico budino). La prima acqua prelevata da un pozzo a Beltane veniva considerata particolarmente potente, così come la rugiada mattutina di Beltane. All'alba di Beltane, le fanciulle si rotolavano nella rugiada o si lavavano il viso con essa. La rugiada veniva anche raccolta in un barattolo, lasciata alla luce del sole e quindi filtrata. Si pensava che essa aumentasse l'attrazione sessuale, mantenesse la giovinezza e aiutasse a guarire i disturbi della pelle.
La Notte di Walpurga
Più articolata è l’interpretazione della Notte di Walpurga (Walpurgisnacht), la notte dal 30 aprile al 1 maggio. La notte è così chiamata perché è la vigilia della festa di Santa Walpurga, una badessa anglosassone dell'VIII secolo nata in Inghilterra e morta in Germania. Il 1° maggio 870 (circa) fu il giorno in cui le spoglie di Santa Walpurga furono traslate alla Chiesa della Santa Croce a Eichstätt.
Ma pare che la festa sia molto più antica: secondo alcune tradizioni teutoniche del IV-V secolo, le streghe in questa notte uscivano dai loro rifugi per danzare e cantare, in particolare, nella zona del monte Brocken (Harz), situato in Germania settentrionale, dove questi canti e balli erano dedicati alla luna e all'arrivo della primavera. Insomma una specie di Halloween primaverile, che fu trasformata dalla Chiesa cattolica in una festa, nella quale i cristiani invocavano l’intercessione di Santa Walpurga per proteggersi proprio contro la stregoneria e il sabba delle streghe.
In vaste parti dell’Europa settentrionale [Germania, Paesi Bassi, Repubblica ceca, Svezia (dove è nota come Valborg), Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia (dove è nota come Vappu ed è una festa molto importante)] le persone accendono falò, e fanno forti rumori per cercare di tenere lontane le streghe e i cattivi spiriti.
Altri metodi usati per scongiurare le forze del male in quella notte erano di appendere rametti benedetti nelle case o nei granai, o di lasciare offerte di pane con burro e miele (noto come "ankenschnitt").
L'albero di Maggio
In Inghilterra (nelle zone di influenza anglosassone o vichinga), ma anche in Austria, Ungheria, paesi scandinavi, ecc., il 1° maggio era dedicato al ballo attorno al Maypole (albero di Maggio) un albero o palo ornato di fiori attorno al quale i giovani di entrambi i sessi ballavano. Secondo alcune fonti, la cerimonia è stata ispirata dall'albero del mondo, il Yggdrasil, delle saghe nordiche, ma altri affermano che i Maypole siano simboli fallici di fertilità. Comunque, questa danza divenne particolarmente popolare nelle isole britanniche intorno al 1350-1400, e veniva ripetuta anche a Pentecoste o nella festa di mezza estate.
Immagini
• A sinistra in alto: Un'antica processione delle Rogazioni maggiori
• A destra in alto: Festeggiamenti per Beltane
• A sinistra in basso: Il pozzo sacro di Santa Brigida presso Buttevant, nella contea di Cork (Irlanda).
• Al centro in basso: La festa del Maypole
• A destra in basso: Francisco Goya: Il sabba delle streghe (Museo Galdiano, Madrid)


La prigione nel Torrione di Chinon


 

Al centro "il Cuore raggiante" nel Torrione di Chinon, luogo di prigionia templare. Al di là di tante cose che si possono dire, ricordo le parole quasi commosse di Charbonneau-Lassay nel descrivere la devota accuratezza con cui la pietra fu scavata e levigata fino a formare un dolce incavo nel muro della prigionia, contrastante con l'approssimazione e rudimentalità delle figure attorno.

Un pozzo impressionante


 

Il pozzo naturale più profondo e grande del pianeta si chiama Xiaozhai Tiankeng. Si trova a Fengjie, Comune di Chonqinun, nel cuore della Cina. Questo incredibile pozzo è completamente naturale e raggiunge una profondità di 662 metri, lunghezza di 626 metri e larghezza di 537 metri. Ma la cosa più sorprendente non sono solo le sue dimensioni o le sue pareti quasi verticali, ma l'esplosione di vita che ospita.

Xiaozhai Tiankeng è ciò che i geologi chiamano un pozzo o una dolina, una depressione del terreno generata, tra gli altri, dall'effetto dell'acqua. In questo caso, si è formato su una grotta e ospita un fiume sotterraneo che misura in totale 8,5 chilometri e sfocia in una spettacolare cascata. Le sue grandi dimensioni lo rendono il pozzo del suo genere, noto come tiankeng, più grande e profondo del mondo.
Oltre alle sue dimensioni, Xiaozhai Tiankeng impressiona per la biodiversità che ospita al suo interno. La sua base è così grande che ospita circa 1.300 specie di piante come il ginkgo e animali selvatici. Tra gli "inquilini" più affascinanti che passeggiano nella loro foresta sotterranea, spicca la pantera nebulosa (Neofelis nebulosa), un felino dal pelo inconfondibile che arriva a 1,1 metri e spesso riposa sugli alberi.
Questo tiankeng si trova in un'ampia area carsstica di 280 km2 formata da calcare. Gli esperti ritengono che il pozzo, profondo tra 511 e 662 metri, abbia preso forma negli ultimi 128.000 anni. Per buona parte della sua storia, fino a quando il tetto della grotta non crollo', era un'enorme cavità sotterranea. In Cina si trovano anche altri tiankeng di dimensioni notevoli, come Dashiwei. Stranamente, nonostante le sue dimensioni, Xiaozhai Tiankeng ha iniziato a studiare relativamente recentemente, anche se la popolazione locale lo conosce fin dall'antichità.

Donne uccello


 

Figure femminili di profilo di uccello rinvenute a Micene, Grecia, intorno al 1360 aC, nel tardo periodo miceneo III A. Modellate in argilla e con decorazione lineare di vernice marrone e rossa brillante e pastigliatura negli occhi. Sono alte tra i 9 e i 10 centimetri.



La prima rappresenta una donna seduta su un sedile a treppiede con un bambino in braccio, a cui mancano il braccio e la gamba sinistra e la gamba sinistra del sedile è stata incollata insieme
La seconda è una statuetta femminile di tipo psi, del 1280 a.C. circa con profilo di uccello, campanelli e treccia, modellata in argilla e con decorazione lineare con vernici brune e nere. Fu scoperta a Tirinto


L'ultima figura è una statuetta femminile di tipo fi, con profilo di uccello, aste, calze e stuoia, modellata in argilla e con decorazione lineare ondulata e parallela, con vernice nera lucida, del tardo periodo miceneo III e rinvenuta a Tirinto, in Grecia.
Queste figure sono esposte nella sala 170 del Museo del Louvre.

lunedì 29 aprile 2024

Il Dio asino

 [ Nei tempi del primo Cristianesimo l’asino è emblema di Cristo. ]



Un celebre graffito, ora conservato nel museo del Palatino, raffigura un crocifisso con la testa d’asino, fusione di Cristo e d’un reinterpretato Anubis. Anubis ha capo di sciacallo: così si pensava: ora pare che l’animale sia il lupo grigio del deserto; non ricorderò l’importanza di questo Dio nella religione egiziana, messaggero dell’aldilà e scorta dei defunti nell’altro regno. Il graffito, risalente alla metà del III secolo e proveniente dal Pedagogio, la scuola dei paggi, vede un uomo in adorazione; la scritta in greco, didascalia dell’immagine, è «Alessameno venera il suo Dio». La prima spiegazione era che l’autore del disegno fosse lo stesso Alessameno, seguace di una setta gnostica e dichiarante il suo credo; oggi si propende verso l’interpretazione che il disegno sia una crudele irrisione di altri verso Alessameno, che doveva essere cristiano. E tuttavia la mitezza dell’asino fa di quest’animale, dalle straordinarie intelligenza e bontà, un simbolo del Christus patiens, del Cristo che sopporta la sofferenza per redimerci: e Gesù in quanto Cristo entra in Gerusalemme la domenica delle Palme in groppa a un asino, che già presso gli ebrei personificava la mansuetudine, laddove il cavallo significa guerra. Ricordo che proprio l’intelligenza e la bontà dell’asino ne fanno oggi un terapeuta, giacché egli è capace di curare malattie psichiche, in particolare l’autismo. Il centro di onoterapia di Polverara, presso Padova, mi è familiare e carissimo: si porta l’ammalato, di solito un ragazzo, al centro del recinto, e dopo un breve intervallo uno dei tredici asini che colà abitano si stacca dal gruppo, si avvicina al ragazzo e incomincia a carezzarlo e baciarlo. È il terapeuta a scegliersi il paziente, non il paziente il terapeuta. L’asino trasfonde la sua immensa capacità di affetto sull’ammalato dandogli equilibrio, sicurezza, forza; io sono addirittura convinto che riesca ad attirare su di sé il malessere, privandone il soggetto – il più profondo motivo per il quale egli è emblema di Cristo. Insieme col pellicano, che si ferisce il petto per nutrire i suoi piccoli col proprio stesso sangue.
Paolo Isotta, da Il canto degli animali
ph Robert Bresson, Au hasard Balthazar 1966

domenica 28 aprile 2024

Sembrano mammelle, ma sono testicoli

Allora, diciamo che #Artemide no, non è una dea semplice. Nera, come la notte. E non a caso è uno dei volti di Ecate. Vergine, ma di quelle dispettose, che vogliono restare tali, e si infratta nei boschi perché non odia solo i maschi, odia l’umanità intera. Ombrosa, vendicativa, selvaggia, come le cerve e i lupi che ama e di cui si circonda. Sanguigna e feroce come i testicoli di toro di cui si adornava la sua statua, ad Efeso. Artemide, la dea dei contrasti, dell’istinto, contrapposta all’algida razionalità del gemello Apollo. Spiazzante come tutto cio che è oscuro, notturno, lontano, eppure così presente dentro di noi. #mitologiagreca #diana #storia #storiadellarte #storiantica #dei #deigreci #anticaroma #arte #arteantica

 

sabato 27 aprile 2024

Le mura poligonali del centro Italia

 Il poligonale dell’area megalitica sacra più antica sabina.



Antiche mura poligonali tra Fara e Poggio Mirteto, in località “Grotte di Torri”, presso il fiume Farfa (nel comune di Fara), è ben conservata ancora oggi una struttura in opera poligonale, Si tratta di un recinto di mura poligonali in III maniera che delimitano un’area grossomodo quadrata di circa 90 metri di lato!!.
Se ne conserva oggi l’intera fronte ovest, per una lunghezza di circa 50 metri, con filari regolari e tendenti all’orizzontalità. I blocchi sono tagliati accuratamente ed i giunti perfettamente combacianti (foto). Oggi queste mura sono inglobate in un casale ottocentesco, al di sotto del quale sono presenti delle grotte (non accessibili), che hanno dato origine al toponimo.
Questa struttura è stata interpretata in vari modi, sia come villa romana che addirittura come “cittadella”. Più probabilmente si tratta invece di un santuario. La tipologia ricalca quella di un’area sacra delimitata e chiusa da un grande muro di cinta (temenos), come talvolta si ritrova nei santuari italici.
La cella cultuale era collocata probabilmente all’interno del recinto sacro, sui cui resti venne edificata in seguito la chiesa altomedievale di S. Lorenzo (ancora visibile nel Settecento ed oggi scomparsa), che dovette soppiantare l’antico culto.
(Da verificare,)
Al di sotto del muraglione in opera poligonale corre un criptoportico con copertura a volta, rivestito da una muratura romana in opera incerta del I secolo a.C., in perfetto stato di conservazione. Questo criptoportico, sottostante al santuario, andrebbe messo in relazione ad un rituale religioso e forse ad un oracolo).
Nel territorio comunale di Poggio Mirteto, in località Poggio Mirteto scalo, si trova il Colle del Castellaccio. Il toponimo deriva da un castrum medievale, ancora oggi in parte conservato. Qui sono presenti due terrazzamenti degradanti, disposti lungo il declivio del colle. Il terrazzamento superiore è in opera reticolata di età augustea. Il terrazzamento inferiore invece è realizzato in opera poligonale di II e III maniera, con giunti approssimativi e l’inserimento di molte zeppe. Queste murature, databili alla seconda metà del II secolo a.C., sono state messe in relazione ad una villa romana, di cui se ne ignora in realtà la planimetria.
Anche qui sono presenti delle grotte. Questi due terrazzamenti hanno la fronte rivolta verso il Tevere e la loro estrema vicinanza al fiume lascia supporre che fossero connessi in qualche modo ad un porto fluviale. Non è escluso tuttavia che servissero per un altro santuario, anche in questo caso costituito da terrazze degradanti, come spesso si ritrova nei grandi santuari repubblicani .
«Consiste in uno spazio quadrato perfetto, di cui ciascun lato è di passi ordinari centoventi, rinchiuso da muri di travertini di varie grandezze, e di diverse figure, alcuni dei quali sono della grossezza di tre palmi, e più, e di lunghezza di sette, otto, e anche più. Essendo queste mura in buona parte rovinate, si veggono sparsi all’intorno in gran quantità i travertini caduti, ed ora appena sono rimaste all’altezza ove di una canna, e ove di una, e mezza. La porta, per cui si entrava in questo circuito, era nel mezzo del lato, che sta dalla parte di Scirocco, e se ne veggono chiaramente i vestigj. Sotto di questo piano – prosegue il monaco antiquario – tutto è voto, e vi si osservano grotte con volte bellissime, sebbene tutte non si possano vedere o perché sono riempiute di terra, o perché alcune sono state fatte rimurare dal signor Marchese Simonetti