
Il nostro Bardo, non poteva certo rimanere indifferente ad una delle più suggestive leggende della pianura veronese, quella della città di Carpanea.Città perduta che come Atlantide è sprofondata. La leggenda è molto più complessa addirittura raccontava di sette porte d'entrata ed inoltre comprendeva Casaleone, Tarmassia e una delle porte magiche d'entrata era a Minerbe.
Dalla guida "Villa Bartolomea, Castagnaro, Terrazzo" di Ernesto Berro ti estrapolo la leggenda:
"Carpanea" era una grande e bella città: sorgeva tra l'Adige e il Tartro: era circondata da sette ordini di mura e difesa da cento torri altissime, tutta premuta dalle acque disordinate che i fiumi non ancora arginati le turbinavano attorno.
Il tempio dedicato al dio Appo (che rappresentava l'onda placata) era vastissimo e sontuoso; colà il re, ogni mattino portava cibi e bevande. Il popolo faceva ala ed uscito il sovrano deponeva altri doni.
Accortosi il re che i sacerdoti in questo modo si sarebbero fatti più ricchi e potenti di lui, un mattino non andò al tempio, ed anche il popolo non portò i consueti doni.
I sacerdoti compresero che questo atto significava la loro fine, promossero abilmente una sommossa e riuscirono ad arrestare il re che fu imprigionato. Il re riuscì a fuggire dalla prigione, penetrò nella città e quindi nel tempio donde rapì il dio e corse verso il bacino ( costruito per raccogliere le acque sovvrabondanti dei fiumi). I sacerdoti, acortisi del furto diedero l'allarme ed eccitarono la folla.
Il re vistosi perduto buttò il simulacro nelle acque e riparò in una vicina boscaglia.
La folla esasperata nell'intento di recuperare l'immagine del nume si precipitò sulle dighe per aprirle e prosciugare il bacino.
Il re, intanto, uscito dalla boscaglia, era giunto sul piccolo rilievo dove sorgeva il tempio, vide lo scempio del suo popolo e per il dolore impazzì; metre la città, rosa dall'impeto delle acque, sprofondò nei gorghi.
Nella leggenda popolare è tramandato che nella notte di Pentecoste di ogni anno, chi è solo nel fiume o in palude, sente un pianto disperato seguito da un suono di campana: perchè l'infelice figlia del re di Carpanea, che doveva sposare il giovane capo dei sacerdoti, vive sotto le acque e piange il troncato suo sogno d'amore."
E così Angiolo Poli racconta della città perduta.
CARPANEA
"Qua gh'era la cità de Carpanea,
ch'el taramoto se l'à sprofondà";
cossì me poro Barba me disea,
passando via in careto par de là.
Carpanea, Carpanea, ghe sito stà?
O gera i veci, po', che i s'illudea?...
Sfoio le storie e lore no' gh'in sa,
gnanca me Barba, proprio, lo savea.
Mo co' se ara in vale a tiro oto,
opur co' la "Pavesi" meio ancora;
la gumera te svoltola par soto
Siabole vece e trvi carolà
e statue rote la te pesca fora.
No' gè questi i segnai de la cità?
Co' torno da in Lodeta, verso sera,
toco la Roma che me porta via;
la vale, a poco, a poco, se fa nera
e qua se svaia la me fantasia.
Carpanea, Carpanea! soto a 'sta tera,
longo el Misserio e la Lodeta mia,
te dormi, o gran cità, la pace vera
e mi me sento 'na malinconia.
Carpanea, Carpanea, cità Romana,
'desso el to' camposanto el pare on orto
cresse i racolti come 'na fumana.
Dormì fradei Romani i vostri soni,
che 'sto sangue latin no' ve fa torto:
pronto al varsoro e al'erta coi canoni!
Angiolo Poli
1 commento:
Già allora c'erano contrasti tra religione e politica
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