SPECCHI E RIFLESSI, ETERNA OSSESSIONE DEGLI ARTISTI
Caravaggio, Marta e Maria Maddalena (1598 circa)
Il dipinto mostra un equivoco assai radicato in seno alla tradizione cristiana:
sorella di Marta era, infatti, Maria di Betania e non Maria di Magdala.
Immagine tratta dal sito http://upload.wikimedia.org/
di Antonio Pinelli
Fin dalla notte dei tempi, specchi, riflessie giochi d' ombre sono stati
fra i principali strumenti di lavoro degli artisti, ma hanno anche
svolto un ruolo centrale nella trattatistica che si è interrogata sulle
origini dell' arte, dibattendo sulla sua natura, i suoi limiti, i suoi
pregi. Secondo Plinio il Vecchio, i Greci attribuivano l' invenzione
della pittura alla figlia di Butade, un vasaio di Corinto, che essendo
innamorata di un giovane in procinto di partire per la guerra, ne aveva
ricavato un ritratto, ricalcandone la silhouette proiettata sulla parete
dalla luce di una lampada. Il racconto di Plinio mette in relazione la
nascita della pittura con quella della scultura. Il giovane, infatti,
muore in guerra e Butade, per consolare la figlia, trae da quel ritratto
bidimensionale un simulacro a tre dimensioni in argilla, che diverrà
oggetto di culto presso il tempio di Corinto. Anche se fantasiosamente
poetica, questa leggenda non è poi così implausibile: basti pensare ai
profili netti della pittura vascolare greca a figure nere e al ruolo
svolto dalle ombre proiettate dalle torce nelle grotte del Neolitico,
sulle cui scabre pareti si affollano le immagini di cervi e bisonti. Ma
anche se fosse priva di fondamento, questa leggenda conserva un nocciolo
di verità su cui vale la pena di indugiare, perché da una parte apre
uno spiraglio su espedienti di cui effettivamente gli artisti si sono
sempre serviti, dall' altra collega l' arte a quelle funzioni
magico-esorcistico e di culto - propiziare una cattura o scongiurare una
perdita, fermare il tempo, fissare il ricordo, tramandare il transeunte
- che da sempre ne costituiscono uno degli scopi principali,
alimentandone il ben noto potere di fascinazione. Se poi associamo
questo tema dell' ombra e dell' arte come «riflesso di un riflesso» alla
teoria cognitiva affidata da Platone al famoso mito della caverna,
secondo cui gli uomini percepiscono la realtà non direttamente ma
attraverso le ombre da essa proiettate, abbiamo tutti gli elementi per
risalire, da una parte alla secolare polemica di stampo platonico sui
limiti conoscitivi dell' arte, che sarebbe parvenza di una parvenza,
dall' altra all' origine delle accuse che spesso hanno accompagnato l'
arte nella sua pretesa di rispecchiare la verità. Denigrazioni di cui lo
specchio è stato usato come principale simbolo ed emblema: specchio
come fonte d' inganni e aberrazioni (ottiche e mentali); specchio come
strumento e campo di manovra del Diavolo, che se ne serve per
solleticare la vanità femminile ma anche maschile, come nel mito di
Narciso, che si perde per seguire la propria evanescente immagine nello
specchio di una fonte. Ed ecco allora nei dipinti di tanti artisti
nordici, come Baldung Grien, i teschi e i corpi in disfacimento far
capolino a turbare l' autovagheggiamento delle belle alla toletta e
ammonire sulla cruda verità della Vanitas vanitatum. Ma anche lo
specchio come attributo della Prudenza (che riflette, non agisce d'
impulso): valgano per tutti un celebre dipinto di Giovanni Bellini o la
Marta e Maddalena di Caravaggio, dove lo specchio che ha fomentato la
vanità di Maddalena si trasforma in strumento di conversione, perché
riflette il «prudente» argomentare di Marta, che convincerà la bella a
cambiar vita. In tutti questi dipinti compare quello specchio convesso,
che nella tizianesca Donna allo specchio del Louvre, fuoco dell' odierna
mostra, ha il compito di far sì che la dama, cui il servizievole
compagno porge anche uno specchietto piano, possa controllare la propria
nuca e le spalle, giù fino alle reni. È lo stesso tipo di specchio che
Van Eyck ha introdotto nel suo celebre ritratto dei coniugi Arnolfini,
per mostrarceli anche di spalle e far intravedere se stesso che ne
dipinge le fattezze. Lo stesso specchio in cui Parmiginanino si
autoeffigiò, con la sua mano in primo piano deformata a dismisura dall'
effetto fish eye, emblema di un' arte che infrange le regole e il culto
della forma attraverso la deformazione per istituire un nuovo e più
elegante canone di bellezza fondato sulla «sproporzione»(la Madonna con
il collo lungo ). O, per dirla con Vasari, in favore di una
«graziosissima grazia che ecceda la misura». Sulla Donna allo specchio
di Tiziano ha ragione Gentili nel sostenere che, pur discendendo da
modelli consolidati come la Venere allo specchio o la Vanitas, l'
assenza di un qualsiasi travestimento o segnale specifico ci fa
intendere che il pittore ha scartato le allusioni mitologiche e
moraleggianti, per farne un' opera straordinariamente aperta e moderna.
Ma non si può fare a meno di ricordare che quel gioco di specchi che
consente alla pittura di mostrare «tanto il dinanti che il di dietro»
(Pietro Aretino) è legato al «paragone delle arti», tanto caro alle
dispute cinquecentesche, perché mostra come la pittura possa ovviare a
quell' assenza di tridimensionalità che la scultura rivendicava a
proprio vantaggio. Un espediente, quello di inserire nel dipinto
superfici specchianti che moltiplichino le vedute del soggetto
riprodotto che, sulla scorta di un famoso quadro perduto di Giorgione, è
messo teatralmente in mostra da un celebre dipinto di Savoldo, il
cosiddetto Ritratto di Gastone di Foix. Mentre dal canto suo il
Bronzino, stimolato dall' inchiesta del Varchi sulla «maggioranza delle
arti», offrì una strepitosa dimostrazione della superiorità della
pittura sulla scultura, ritraendo il nano Morgante nudo sia di fronte
che da tergo su un' unica tela double face che in questi giorni si può
ammirare a Palazzo Strozzi.
SPECCHI E RIFLESSI ETERNA OSSESSIONE DEGLI ARTISTI - La Repubblica
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