Paolo Santarcangeli
da Il libro dei labirinti
... Ma il vero luogo dei labirinti italiani di quella specie va cercato,
soprattutto nel Seicento, più che nei tracciati propriamente
labirintiformi, nei giardini filosofici che la fantasia di qualche
malinconico signore - ispirato dai concetti mutuati dal Neoplatonismo o
da altre sollecitazioni intellettualistiche - fece costruire in vari
luoghi della penisola. Per non allungare indebitamente il discorso,
limitiamoci a ricordarne il più celebre: il Parco dei Mostri (o Bosco
Sacro) di Bomarzo. Sino a qualche anno fa esso, come è noto, era caduto
in una dimenticanza quasi assoluta e il complesso delle costruzioni che
lo popola stava cadendo in rovina. Adesso libri dalla bella veste
editoriale ne parlano e tentano di penetrarne i segreti; e si è anche
proceduto a riordinare il parco.
Nel caso di Bomarzo, si tratta con ogni evidenza del tracciato ideale e
intellettuale di un viaggio, di un percorso che ha l'aspetto del
mistero, della pericolosità, dell'orrore, della purgazione, della
perdita del retto cammino, anzi, di una discesa agli Inferi, di una
[i]nekyia[i] e, per finire, del proposito di raggiungere - una volta
attraversati gli inganni del mondo e le rappresentazioni paurose che
suscitano nel nostro animo - un centro ideale di arrivo e di
purificazione: insomma, sono presenti tutti gli elementi di un
itinerario propriamente labirintico, con l'aiuto della filosofia
neoplatonica che rispunta sempre in quella sfera di rappresentazioni. Se
noi tracciamo sulla carta il percorso imposto dalle indicazioni,
otteniamo la figura di un labirinto.

Osserva G. R. Hocke a proposito di Bomarzo: «Questo trucco o gioco di
mano che vuole provocare stupore è determinato da un qualcosa di più
forte che non la palese tendenza all'effetto, alla maniera dei
prestigiatori: si vuole che la natura contrastante dei fenomeni sia
superata nell'esperienza dello spavento stupito [...] In questo mondo,
che non è superiore a quello consueto ma diverso e popolato di fantasmi
schizofrenici [...] si uniscono la magia, una mistica secolarizzata, lo spleen
e il «dandismo», per non parlare dell'erotismo introvertito. I
contadini del luogo considerarono per secoli quel parco come un
paesaggio diabolico di orge erotiche. C'è inoltre l'indubbia intenzione
di racchiudere l'incomprensibile in formule visive [...] Bomarzo è un
concentrato manieristico dell'Europa [...] Ma cosa accadrebbe se si
volesse conoscerne, oltre che la struttura geografica, anche quella
architettonica? Non c'è alcun dubbio: è un labirinto, un labirinto
anamorfotico. Noi dobbiamo piegarci di fronte alla tendenza ai rigiri;
ossia, dobbiamo aspettare di arrivare al centro, al luogo del
nucleo...».
Prendiamo da una descrizione di Elémire Zolla - ampia, poetica e dotta
al contempo - i passi che riguardano più da vicino la materia che stiamo
trattando: «Come non riconoscere le vestigia di un percorso
labirintico, dedicato all'antica religione di Porfirio e di Giamblico e
della soave Ipazia, riesumata nella tavolata di Lorenzo de' Medici, da
Lodovico Lazzarelli, dal Pontano? [...] Dietro comincia la discesa, per
una scalinata dominata da un cane a tre fauci, simbolo infernale, che,
dice il Fulgentius Metaphoralis, sta ai piedi della conoscenza del futuro, alla base della previdenza che ci guarda dalla inferni declinatione.
Il cane simboleggia con le tre bocche il morso della fatica (di chi
brami acquisti), il morso del timore (che angustia i possidenti), il
morso del dolore (che costerà lasciare i beni di fortuna) [...] Si
penetra nell'angolo segreto, che ha sullo sfondo il castello, e sta
sopra un avvallamento a sperone».

Dopo una successione quasi infinita di peripezie, ecco che ci
avviciniamo al termine della lunghissima peregrinazione impedita. «Si
lascino da parte i tremendi avvertimenti, e ci si inoltri dietro gli
animali in lotta: appare una bocca mostruosa addosso a un clivo. Sulle
labbra era forse scritto; 'Lasciate ogni pensier voi ch'entrate';
entrando, si scopre una stanza nella roccia, dove piove luce dall'alto
di due occhi. Un sedile corre attorno il muro, un trapezio di pietra è
la tavola dove si dovrebbe consumare il sacrificio, forse quello dei
ricordi, degli 'oscuri pensier' di cui è padre il futuro [...] A
sinistra dell'Oceano si scendono alcune scalette, accanto a delle fauci
(della balena su cui sta Oceano), ci si inoltra in un dedalo verde dove
affiora d'un tratto una donna riversa, addormentata fra l'erba. L'anima
che sogna, invece di migliorare? Infatti, dopo poco ci si ritrova in
vista dei giganti, delle figure del mondo delle acque infere. Occorre
tornare indietro se non si vuole smarrire ciò che si è acquistato,
sicché si passa ancora a cospetto di Oceano, si rivede l'elefante. I
suoi paramenti indiani suggeriscono che i costruttori sapessero che il Vicuddha Chakra
è un centro dell'anima simboleggiato da un elefante bianco, e denota il
momento della liberazione in cui si domina il tempo nella sua
triplicità: passato, presente, futuro [...] Infine si incontra di nuovo
Cerbero e la sagoma lieve del tempietto, ben sapendo ora quale naturale
preghiera sia da levare nella sua cella ottagonale». [2]
NOTE
1. G. R. Hocke Die Welt als Labyrinth, Reinbeck bei Hamburg, 1961
2. Elémire Zolla, Il Santuario neoplatonico, in Il Mondo, Roma 27 marzo 1962
Paolo Santarcangeli, Il libro dei labirinti (Frassinelli editore 2005, pag. 243)
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