Massimo Centini
Il diavolo scambia un neonato con un changeling.
Raffigurazione di Martino di Bartolomeo
Le considerazioni che seguono hanno origine da una singolare notizia presente in un libro di Walter Kafton-Minkel, Subterranean worlds (1989) [1]: si tratta della credenza sui cosiddetti "scambiati" (changelin ).
Ecco di cosa si tratta: secondo le tradizioni popolari di alcuni Paesi,
quei bambini che erano colpiti da malattie invalidanti (poliomielite,
sindrome di Down) erano ritenuti figli delle fate, o di altre creature
della mitologia locale, sostituiti ai figli sani degli umani, che di
fatto venivano allevati dalle fate o da chi per loro. Si tratta di una
credenza interessante sotto il profilo antropologico, che ha subito
numerosi adattamenti entrando a far parte non solo della mitologia
popolare ma, come vedremo, anche del sostrato caratterizzante la
religiosità cristiana.
Procediamo con ordine e ritorniamo a Kafton-Minkel, che chiarisce: "Nel
tentativo di convincere [le fate] a restituire il vero bambino, molti
genitori ben intenzionati battevano o affamavano a morte il proprio
figlio disabile o ritardato. È assai probabile che i changelin
ottusi, balbuzienti o apatici di molte fiabe fossero ispirati da bambini
reali affetti da autismo o dalla sindrome di Down". [2]
Il disconoscimento dei figli ammalati così come strutturato nel
folklore, rappresenta la marginalizzazione simbolica di un tema non
estraneo alla cultura e contrassegnato da evidenti ricadute sul piano
sociologico. Infatti, la ricerca etnografica ha posto in rilievo come in
alcune culture sia ancora oggi radicata la credenza che un figlio
afflitto da patologie o altre caratteristiche che ne enfatizzino la
diversità, sia di fatto escluso dalla comunità e considerato portatore
di un'alterità nella quale si individuano espressioni demonizzabili.
Proviamo a rivolgerci alle fonti storiche per trovare riferimenti
contestualizzati. Nel 1261 morì, nel convento dei Predicatori di Lione,
l'inquisitore domenicano Étienne de Bourbon (1180-1261), che aveva
trascorso nel convento di Lione i suoi ultimi anni di vita, impegnato a
scrivere un trattato sui sette doni dello Spirito Santo. L'opera,
incompleta, è costituita principalmente da una serie di exempla:
tra questi il racconto di una sua scoperta nella regione di Dombes, a
circa quaranta chilometri da Lione, in cui si adorava san Guinefort, un
cane considerato santo e taumaturgo. Naturalmente, dal suo punto di
vista, padre Étienne vedeva in quel culto una manifestazione diabolica.
Tralasciando per ragioni di spazio le motivazioni che condussero alla
"santificazione" del cane in seno alla religiosità popolare [3], ci
soffermiamo su alcuni riti praticati nei pressi della sua tomba che
rientrano nella tematica qui affrontata. Infatti i contadini del luogo
avevano elevato il levriero agli onori degli altari, considerandolo un
santo dispensatore di guarigioni.
Ecco cosa scrisse padre de Bourbon nella memoria giunta fino a noi: [4]
"Soprattutto le donne che avevano bambini malati e deboli li conducevano
in questo luogo, e in un borgo fortificato distante una Lega andavano a
cercare una vecchia che insegnava loro il modo rituale di agire, di
fare offerte ai demoni, di invocarli, e che le conduceva poi in questo
luogo. Quando vi giungevano offrivano sale e altre cose; appendendo agli
arbusti circostanti le fasce del bambino; piantavano un chiodo negli
alberi che erano qui cresciuti; facevano passare il bambino nudo tra i
tronchi di due alberi: la madre, che si trovava da una parte, teneva il
bambino e lo gettava nove volte alla vecchia che era dall'altra parte.
Invocando i demoni esse scongiuravano i fauni che si trovavano nella
foresta di Rimite di prendere questo bambino malato e debole che,
affermavano, apparteneva loro, rendendo invece loro stesse il proprio
figlio grasso e grosso, sano e salvo, che essi si erano portati via.
Dopo di aver fatto questo, le madri infanticide si riprendevano il
figlio e lo adagiavano nudo ai piedi dell'albero sulla paglia di una
culla, e accendevano alla testa e ai piedi di questo, con il fuoco che
si erano portate dietro, due candele della misura di un pollice, e le
fissavano in alto sul tronco; quindi si traevano in disparte sicché le
candele non fossero consumate in modo da non udire i vagiti del bambino
né vederlo (...) Quando le donne ritornavano dal figlio e lo trovavano
ancor vivo, lo conducevano nelle acque impetuose di un vicino torrente,
chiamato Chalaronne, dove lo immergevano per nove volte: se sopravviveva
e non moriva immediatamente o poco dopo è perché aveva i visceri molto
robusti. Noi ci siamo recati in quel luogo, abbiamo convocato il popolo
di questa terra e abbiamo predicato contro tutto ciò che è stato qui
detto. Abbiamo fatto esumare il cane e tagliare il bosco sacro e lo
abbiamo fatto bruciare, assieme allo scheletro del cane. E ho fatto
affiggere dai signori di quella terra un editto che prevedeva il
sequestro e il riscatto dei beni di coloro che d'ora innanzi si fossero
recati in quel luogo per questo motivo".
Come si evince dalla parole dell'inquisitore, il rito assume molteplici
sfaccettature, amalgamando temi propri della medicina simbolica popolare
(il passaggio del bambino tra due tronchi d'albero ricorda le pratiche
nostrane per la cura dell'ernia [5] ), con altri che riverberano
pratiche devozionali di origine precristiana. [6].
Analizziamo gli sviluppi rituali del rito:
• bambini malati condotti presso la tomba del cane;
• offerte rituali (in cui prevale il sale);
• fasce dei bambini appese agli alberi [7];
• passaggio dei bambini tra i tronchi degli alberi;
• presenza di una "vecchia" (vetula) che svolgeva il ruolo di
mediatrice rituale tra le mamme e il cane guaritore; invocazione delle
mamme ai fauni del bosco perché rendessero i loro bambini sani,
sostituiti con quelli dei fauni, "malati e deboli";
• pratica rituale con candele, acqua, ecc.
Davanti a questo quadro essenziale dei fatti, sembrerebbe che nel
rituale sorto intorno a san Guinefort vi siano tutti gli estremi per
scorgere il sostrato di una pratica precristiana. Pratica che si
evidenzia in particolare con il cumulo di pietre, le offerte poste sugli
alberi, il passaggio dei bambini malati tra i rami (casi analoghi sono
numerosi nella tradizione "celtica" e hanno come elemento catalizzatore
non solo gli alberi, ma anche le grandi pietre). La richiesta dei figli
ai fauni risulta un fenomeno che presenta tonalità certamente intrise di
una mitologia che, se pur "cristianizzata", rivela un sostrato comunque
precristiano.
Inoltre, la riunione nel bosco, l'offerta, l'invocazione ai fauni e la presenza di una vetula
descritta come guida rituale, propone elementi riconducibili a
quell'idea della stregoneria, lasciando intravedere alcune linee rituali
che facilmente potevano essere allora correlate al sabba. Ci limitiamo
ad accennare che la sostituzione dei bambini, non necessariamente con
altri ammalati, è un tema che si rintraccia tra le accuse rivolte alle
streghe. [8]
L'aspetto che in questa occasione ci pare importante porre in rilievo
riguarda il ruolo dei fauni, creature che avevano rapito i figli degli
abitanti della regione di Dombes sostituendoli con i loro, malati (come
abbiamo visto accuse del genere erano anche rivolte ad altre creature
della mitologia popolare: dalle fate all'uomo selvaggio). Nell'exemplum
di Étienne de Bourbon si fa riferimento ai fauni perché, ci sembra,
sovrapponibili in gran parte, nell'immaginario cristiano del XIII
secolo, alla figura del diavolo.
Nel fauno si focalizzava quindi l'immagine del demone cristiano, ma
anche quella della creatura silvestre tipica della tradizione
folklorica, proponendo la convivenza in una sola figura dalle
caratteristiche molteplici. Faunus deriva da fatuus, folle, e Gugliermo d'Alvernia ne forniva un'equivalenza con il francese folet, termine del folklore ancora oggi utilizzato.
Jean Claude Schmitt, nel suo studio sul Santo Levriero puntualizza:
"Spiriti non ben definiti, fate o nani, rapiscono i bambini e li
sostituiscono con i loro (...) Étienne de Bourbon, riportando la
testimonianza delle donne da lui interrogate, precisa che sono costoro a
dire (quem eorum dicebant) che i changelin sono figli dei
fauni: per quanto lo riguarda non può aderire a questa opinione. Ma
questa opinione, tra il popolo almeno, è stata a lungo unanimemente
accettata. Il che significa che i changelin rappresentano per i
singoli, concretamente, un'intrusione angosciante nella vita quotidiana.
Già la parola evoca, realmente, tutte le potenze del diavolo, al punto
che accusare qualcuno di essere un changelin costituisce, nel XV secolo, una terribile ingiuria". [9]
La documentazione etnografica propone numerose esperienze presenti nel
folklore europeo del passato (fino al XIX secolo) ed effettuate per
evitare che un neonato potesse essere sostituito con un changelin.
Naturalmente la certezza che il cambio fosse stato effettuato poteva
essere confermata solo quando il piccolo si ammalava, o risultava
insaziabile anche se malgrado ciò deperiva inspiegabilmente. Avuta la
"certezza" della sostituzione: "un buon mezzo è quello di far soffrire
il changelin affinchè le sue grida di dolore richiamino i veri
genitori e li spingano così a riprenderselo: a tal fine si può
picchiarlo o anche semplicemente fingere di bruciarlo o ustionarlo con
l'acqua bollente. Spesso il changelin viene deposto ad un bivio
solitario o al confine di tre paesi o alla confluenza di tre torrenti.
Dopo averlo qui abbandonato, la madre si allontana in assoluto silenzio
per ritornare indietro al primo vagito del bambino, nella speranza che
le sia stato reso il proprio figlio in cambio del changelin". [10]
Le fonti medievali non sempre sono chiare sulla questione changelin:
infatti, come abbiamo già visto, questa figura si confonde con quella
del bambino vittima delle streghe che però mai, dopo averlo rapito, lo
restituivano ai genitori. Inoltre, secondo alcuni teologi era invalsa la
credenza che i demoni incubi sostituissero i figli delle donne con i
loro e che questi fossero poi allattati dalle donne a cui erano stati
sottratti i figli legittimi. Nicola di Jowor, docente presso
l'Università di Praga nel primo decennio del XV secolo, chiariva: "Si
dimostra, e tra il volgo lo si dice comunemente, che i demoni incubi
sostituiscono ai figli delle donne i loro figli e che le donne li
allattano come se fossero i propri figli. Perciò li chiama campione,
cambiati o mutati, sostituiti ai bambini partoriti dalle donne, messi al
loro posto. Li si descrive magri, sempre in lacrime per le sofferenze,
avidi di latte al punto che anche una quantità abbondante non basterebbe
neppure a saziarne uno solo". [11]
Globalmente, le fonti medievali sui changelin, nella maggioranza,
tendono a considerare la sostituzione dei bambini opera del diavolo che
con vari stratagemmi metterebbe in atto questa azione al fine di
insinuare creature del male in seno alla comunità cristiana. Più
prosaicamente, la credenza sui bambini sostituiti risulta un espediente
culturale per dare un senso a quell'alterità che la comunità percepisce
come squilibrio (il figlio ammalato): in linea con le prerogative del
pensiero magico, l'attribuzione a un fattore esterno consente di dare un
senso al disagio e di connotarlo razionalmente, al fine di mettere in
atto pratiche finalizzate a ristabilire l'equilibrio perduto.
NOTE
1. W. Kafton-Minkel, Subterranean worlds, traduzione italiana: Mondi sotterranei. Il mito della terra cava, Edizioni Mediterranee, Roma 2012.
2. W. Kafton-Minkel, op. cit., p. 51.
3. Una ricostruzione dettagliata è stata effettuata da I. C. Schmitt nel libro II santo levriero. Guinefort guaritore di bambini, Einaudi, Torino 1982.
4. Biblioteca Nazionale di Parigi, Ms. lat. ff.413-414; una traduzione
italiana recente è contenuta in J.C. Schmitt, op. cit., pp 5-7.
5. Un esempio tra i tanti: "A guarire il bambino ernioso, si usa presso
di noi [Veneto], di segare un piccolo olmo (Ulmus campestris) ad un
punto qualunque del suo tronco: e dopo segato, si fa passare il bambino
fra il pezzo superiore tenuto sollevato e l'inferiore fisso al suolo,
per tre o quattro volte di seguito; ciò fatto si riuniscono i due
estremi dell'olmo, si legano con una fascia della sua stessa corteccia, e
quando l'albero ha ingommato (cicatrizzato), il bambino è guarito",
Zanetti A., La medicina delle nostre donne, Foligno 1892, p. 211; cfr. A. M. Di Noia, L'arco di rovo. Impotenza e aggressività in due rituali del Sud, Boringhieri, Torino 1983.
6. P. Sébillot, Riti precristiani nel folklore europeo, Xenia, Milano 1990, pp. 47-56.
7. Tale tradizione era ancora praticata nel XIX secolo.
8. Basta sfogliare il Malleus maleficarum (1486) di H. Institor e J. Sprenger, per trovare numerose accuse del genere.
9. J. C. Schmitt, op. cit., pp. 103-105. 111.
10. J. C. Schmitt, op. cit, pp. 103-104.
11. P. Meyer, Chanjon, enfant changé en nourrice, in Romania, 32,1903, pp. 452-453.
Massimo Centini, Il Giornale dei Misteri n° 498 (ottobre 2013)
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