Stenio Solinas
ARCIMBOLDO IL LEONARDO DEGLI ASBURGO

Arcimboldo,
Autoritratto, 1587 - Palazzo Rosso, Genova
L'uomo di carta. Quando Giuseppe Arcimboldo dipinse nel 1587 il proprio
ritratto, al tramonto della sua vita e al culmine della sua fama, è così
che volle raffigurarsi, i capelli e la barba, il naso, le labbra e gli
occhi a comporre una maschera puramente cartacea, tanti fogli ben
tracciati e sistemati. Un umanista, insomma, e non un artista,
«l'egiziano erudito» come era stato ribattezzato nella sua cerchia di
amicizie, l'uomo che aveva inventato e/o immaginato un linguaggio
cifrato, delle macchine per camminare sull'acqua, il «liuto
prospettico», il «clavicembalo a colori» e altre mille diavolerie che
non gli sopravvissero. Scomparve tutto con lui, compresa la sua fama:
quello che era stato per un quarto di secolo il pittore di corte di
Vienna e di Praga, elevato per questo al rango di conte palatino, il
maestro di giochi e di cerimonie e insomma il Leonardo degli Absburgo,
si inabissò con il secolo che l'aveva visto nascere. Perché riemerga
bisognerà aspettare il Novecento della scienza ma anche del dubbio, del
fantastico applicato all'inconscio, della crisi dei valori e del
clangore delle ideologie. Un precursore della modernità troppo in
anticipo sul proprio tempo, insomma. Ma è davvero così?
Proviamo a ricondurre Arcimboldo all'interno del proprio tempo, un tardo
Cinquecento rinascimentale che si avvia a diventare maniera, bizzarria,
eccentricità. È un mondo, un'epoca, una corte in cui i maghi si
mischiano ai cabalisti, agli astrologhi, agli alchimisti, agli studiosi
di scienza naturale, ai fisici e ai matematici, le scienze alla moda
sono la chiromanzia, la fisiognomica, la geomanzia e insomma il
carattere degli individui si nasconde nelle linee di una mano, nelle
rughe di un volto, nei tratti di un paesaggio...
Per dipingere una testa composta come La Primavera, Arcimboldo
mette su tela 80 varietà botaniche; per quella che fa riferimento
all'Acqua sono 62 i pesci, i crostacei, le conchiglie marine riprodotte
con virtuosismo incredibile. Per quanto esse possano affondare in una
tradizione popolare, è l'elemento spirituale, intellettuale, letterario e
politico che fa la loro originalità e la loro grandezza, e che però in
qualche modo le segna e le condanna nel momento in cui il complesso e
raffinato simbolismo che ne è alla base, le allegorie imperiali e
principesche che la sostengono si riveleranno estranee ovvero
incomprensibili al nuovo secolo che viene alla ribalta.
Milanese, figlio d'arte, ma semplice omonimo di quella aristocratica
famiglia che alla città aveva dato tre arcivescovi e la cui pietra
tombale è ancora visibile all'interno del Duomo, Giuseppe Arcimboldo si
creò un passato che fosse all'altezza di quel nobile presente che a
prezzo di fatiche e di sacrifici aveva alla fine raggiunto, una sorta di
principe fra i pittori e dei pittori. Proprio la consapevolezza di una
diversità lo spinse del resto a una frequentazione intellettuale, quella
dei Lomazzo, dei Comenini, dei Morigia, alla quale affidare il racconto
e il ricordo di un magistero stilistico, come se avvertisse il pericolo
di un oblio e di una dimenticanza, come se solo la parola scritta
potesse in qualche modo riscattare e difendere l'immagine dipinta.
In una sala del museo fanno bella mostra di sé quelle «nature morte
antropomorfe», secondo la celebre definizione di André Pieyre de
Mandiargues, che come in un gioco di specchi rovesciati contengono due
differenti soggetti a seconda se le si guardino dall'alto o dal basso.
Il cuoco è anche un piatto d'arrosti, L'uomo-vegetale è anche un cesto
d'ortaggi... È un linguaggio metaforico usato quando ancora la metafora
rimanda ad altro, non si è cristallizzata in maniera, non vive di vita
propria. Dadaisti e surrealisti, secoli dopo, vi si specchieranno come
ci si specchia nell'opera di un precursore o di un profeta...
Ma se ne colgono la sconvolgente meraviglia, ciò che è andato perduto è
lo struggente sentimento del tempo che la rendeva possibile e
comprensibile, non gioco, ma rivelazione, non puro artificio ma
corrispondenza fra segni e concetti. L'universo di un umanista, appunto,
e non il palcoscenico di un prestigiatore.
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