
domenica 31 gennaio 2021
Immortalità ed eternità

sabato 30 gennaio 2021
La messa cristiana e i riti del sacrificio nella religione etrusca

Le affinità fra la liturgia del sacrificio degli Etruschi con quella del sacrificio o “Messa” dei Cristiani sono evidenti, numerose e pure stringenti, per cui c’è da pensare a una fondamentale derivazione della liturgia cristiana da quella etrusca, però per via indiretta, cioè per il tramite di quella romana. Più esattamente i Cristiani hanno derivato molti elementi della loro liturgia sacrificale da quella dei Romani - ovviamente caricandoli di assai differenti contenuti religiosi e dogmatici - e i Romani in precedenza li avevano derivati da quelli degli Etruschi. Particolarmente importante e significativa è la continua presenza nel sacrificio etrusco del pane e della sua consumazione, del vino, dell’acqua e dell’incenso, della presenza di lumi accesi, del calice d’oro e della sua elevazione, della patena, quasi esattamente come risulta nel sacrificio cristiano
giovedì 28 gennaio 2021
Il secolo della ragione era costellato dall'aspetto magico cavalcato dalla massoneria che andava consolidandosi in Francia con il Grande Oriente

mercoledì 27 gennaio 2021
Roma. l’Ipogeo di Vibia


sabato 23 gennaio 2021
Il Viaggio in Egitto di Renè Guenon
Angelo Iacovella
in “Orientalia” da Secolo d’Italia di venerdì 11/02/05

Nel 1930, Rene Guénon compie un viaggio in Egitto in compagnia di Madame Dina, una ricca americana vedova dell’ingegnere egiziano Hasan Farid Dina. Lo scopo ufficiale della visita? Procurarsi rari trattati di esoterismo islamico, altrimenti irreperibili. La sua amica ritornò in Francia dopo qualche mese, mentre il grande metafisico francese decise, nello sconcerto dei più, di trattenersi al Cairo, dopo aver procrastinato più volte il viaggio di ritorno. Privo di un qualunque legame parentale in patria, si lasciò assorbire completamente dalla vita e dall’ambiente circostante, conducendo un’esistenza ritirata e dedita alla sua nuova famiglia, alle meditazioni e allo studio.
Iniziato alla confraternita Hamîdiyya Shâdhiliyya, guidata dallo sceicco Abd al-Rahmân al-Elish al-Kabîr, Guénon – stando alla testimonianza dei suoi amici e dei suoi conoscenti locali – riusciva a raggiungere, durante le cerimonie sufi, stati intensi di estasi, probabilmente grazie alla pratica dello dhikr individuale (o “menzione ripetuta del nome di Allah”) cui doveva indulgere nel suo ritiro cairota. Il professor ‘Abd al-Hamîd Mahmûd, teologo dell’università di al-Azhar, una volta recatosi con lui nella moschea del sultano Abû al-’Alâ, lo descrive con queste parole: «Avendo preso posto in un gruppo che faceva lo dhikr, René Guénon cominciò a bisbigliare fra sé e sé e a scuotersi, quindi le sue parole divennero udibili e i suoi movimenti si intensificarono; infine ecco che egli si immergeva e sprofondava completamente nello dhikr; dovetti in seguito svegliarlo finché si riscosse violentemente con un fremito; ho pensato che tornasse da contrade lontane e ignote».
Considerando la mole dei suoi studi e delle sue ricerche, i saggi dedicati specificatamente all’Islam non occupano, tutto sommato, che una fetta esigua delle monografie guénoniane. Si tratta per lo più di brevi articoli la cui ampiezza totale non supera qualche decina di pagine. Ciò nonostante, al di là della sua scelta personale, Guénon rappresenta tuttora per l’Occidente uno dei punti di riferimento più importanti per l’approccio alla cultura e alla religione islamica Questo enigma ci sembra possa essere, almeno in parte, sciolto dai numerosi riferimenti alla tradizione musulmana che si trovano disseminati nei suoi contributi sull’interpretazione dei simboli, e dei contenuti-chiave delle religioni tradizionali orientali e non, costituendo una sorta di trama sottile o di leit-motiv che ricorre e che fa da sfondo a tutte le sue trattazioni. In realtà ci sembra di poter affermare che l’influenza che egli ha esercitato e continua ad esercitare in maniera crescente sulle generazioni occidentali si possa attribuire al modo in cui per primo egli si è accostato all’Islam senza pregiudizi di sorta, esaltandone anzi la grande eredità spirituale. Sino a quel momento, la considerazione che si aveva dell’Islam in Europa era, al massimo, di carattere puramente e strettamente “culturale”, legata agli ambienti accademici ufficiali talvolta essi stessi contaminati da tesi preconcette e parziali. In alcune pagine illuminanti de L’ésoterisme islamique Guénon sintetizza in modo magistrale quelli che sono i due aspetti fondamentali dell’Islam: l’aspetto essoterico e quello esoterico (o in termini più prosaici la dottrina legalista ufficiale e la mistica via dei sufi) fornendo, al tempo stesso, la sua interpretazione personale che trovava nel secondo, e soltanto in esso, la vera giustificazione dell’essenza del primo.
«Di tutte le dottrine tradizionali, la dottrina islamica è forse quella in cui più nettamente è segnata la distinzione tra due parti complementari l’una all’altra, che si possono designare come essoterismo ed esoterismo. Esse sono, seguendo la terminologia islamica, es-shariyah, cioè letteralmente la “grande strada” comune a tutti, e el-haqîqah, cioè la “verità” interiore, riservata all’élite, non in virtù di una decisione più o meno arbitraria, ma per la natura stessa delle cose, perché non tutti possiedono l’attitudine o le “qualificazioni” richieste per pervenire alla sua conoscenza. Le si compara spesso, per esprimere il loro carattere rispettivamente “esteriore” e “interiore”, alla “scorza” e al “nocciolo” (el-qishr wa el-lobb), o ancora alla circonferenza e al suo centro. La shariyyah comprende tutto quello che il linguaggio occidentale designerebbe come propriamente “religioso”, e soprattutto l’aspetto sociale e legislativo che nell’Islam si integra essenzialmente alla religione. Si potrebbe dire che essa è prima di tutto regola d’azione, mentre la haqîqah è “conoscenza pura”; ma dev’essere ben chiaro che è questa conoscenza che dà alla shariyyah stessa il suo senso superiore e profondo, e la sua vera ragion d’essere».
Luoghi Di Potere: I Templi di Demetra in Italia

venerdì 22 gennaio 2021
La Giocondina
La Gioconda del Prado non è l'unica copia, per così dire, della Gioconda; che possiamo ribattezzare "Giocondina" perché mostra la stessa modella del dipinto parigino, ma di almeno dieci anni più giovane:
Noto come "Earlier Mona Lisa" o "Isleworth Mona Lisa", questo dipinto è rimasto per quasi 40 anni in un caveau svizzero in attesa di autenticazione; finalmente, nel 2012 studiosi, scienziati e critici d’arte che l'avevano studiato nel corso degli anni, hanno decretato che non è da escludere che si tratti di un'opera autentica di Leonardo, dipinta probabilmente tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento, perché i numerosi test di "geometria sacra" effettuati sul dipinto, hanno rivelato che la versione del Louvre e questa presentano la stessa struttura geometrica nelle proporzioni e nelle dimensioni, che poi è la stessa dell'uomo vitruviano. Ma nulla è certo perché i pareri, come spesso succede in questi casi, sono più che mai discordi.
Decisamente più giovane e più sorridente della Gioconda francese, quella di Isleworth ha una storia curiosa, che spiega anche il suo nome...
Poco prima della Grande Guerra l'eccentrico collezionista d'arte inglese Hugh Blaker adocchiò il dipinto in una vecchia casa padronale del Somerset, dov'era rimasto appeso a prender polvere per almeno un centinaio d'anni. Intravedendone la bellezza sotto lo strato di sporcizia, Blaker comprò il dipinto e se lo portò a casa a Isleworth (quartiere a ovest di Londra)... ed ecco spiegata l'origine del soprannome. Non molto tempo dopo il patrigno di Blaker, John R. Eyre, pubblicò una monografia sull'opera per consolidare l'idea che il quadro fosse un originale di Leonardo, così come credevano i vecchi proprietari, che lo avevano acquistato a suo tempo come originale.
Non fu da meno anche il nuovo proprietario del dipinto, il collezionista americano Henry F. Pulitzer (cugino del creatore dell'omonimo premio giornalistico), il quale, dopo esserne venuto in possesso, pubblicò a sua volta un trattato in cui cercava di consolidare la teoria della paternità leonardesca del dipinto. Ma la comunità scientifica internazionale non si è mai convinta definitivamente e, alla morte di Pulitzer il dipinto è sparito dalle scene per alcuni decenni. Ha fatto la sua ricomparsa nel 2003, quando è stato acquistato da un consorzio internazionale e, nel frattempo, è stata istituita la Mona Lisa Foundation, con sede a Zurigo, allo scopo di accertare l'autenticità del quadro.
FUNERALI E PROSTITUZIONE NELLA ROMA IMPERIALE

mercoledì 20 gennaio 2021
Il sarcofago di Melfi


venerdì 15 gennaio 2021
l'AvorioBarberini,

La potenza della parola

Moriremo di parole scritte,
dimenticandoci come si fa
a pronunciarle.
H. Offman
giovedì 14 gennaio 2021
lunedì 11 gennaio 2021
L'ESICASMO E LA PREGHIERA DEL CUORE
Parliamo della preghiera del cuore e delle tecniche che le sono associate. L'utilità di quanto andiamo a esporre è nella sua messa in pratica; la preghiera è vecchia come il mondo e la sua efficacia è indiscutibile. "Gli egiziani raffigurano il cielo, che non può invecchiare poiché è eterno, con un cuore posato su un braciere la cui fiamma alimenta il suo ardore...." (Plutarco: Iside e Osiride). L'oriente cristiano, come l'induismo, possiede il proprio yoga, una tecnica mistica di unione al Verbo Divino attraverso la preghiera, preghiera perpetuamente ininterrotta, come il respiro o il ritmo cardiaco. - Viene chiamata la "Preghiera del cuore" ed è la vera "Via Cardiaca". Non è una semplice e banale sensibilità ma, al contrario, esige una padronanza speciale, una tecnica della preghiera, una scienza spirituale alla quale i monaci si consacrano completamente. Il metodo della preghiera interiore o spirituale conosciuta sotto il nome di "Esicasmo" (dal nome di San Esichio del Sinai del VIII secolo) appartiene alla tradizione ascetica della Chiesa d'Oriente e risale all'antichità. Si trasmette oralmente da maestro a discepolo, con l'esempio e la direzione spirituale, come in India o in Tibet. Questa disciplina fu messa per iscritto all'inizio del secolo XI ma si trovano tracce di essa presso i grandi mistici del III secolo e in alcuni testi dove certi attributi del Cristo sono legati alla teoria dei Nomi Divini o Nomi di Potere/Potenza della Cabala. Già San Giovanni Crisostomo ci dice che: "Perché il Nome del nostro Signore Gesù Cristo discenda nel profondo del tuo cuore, e perché vi vinca il dragone che vi devasta i pascoli, e inoltre salvi l'anima e la vivifichi, aggrappati senza cessa al Nome del Signore Gesù affinché il tuo cuore beva il Signore e il Signore il tuo cuore, e che così i due divengano una cosa sola...." Come possiamo osservare, nell'Esicasmo, per realizzare l'unione divina luminosa, collaborano indissolubilmente la Grazia essenziale di Dio e la tecnica psicologica umana. Vediamo le regole generali di questa tecnica. L'Esicasta pratica questo tipo di operazione all'ora del tramonto (ora canonica dei Vespri) dalle ore 18 alle ore 21 solari, nella sua cella silenziosa e oscura. Alcuni testi dicono di pregare seduti. E la tradizione cristiana orientale indica invariabilmente l'orante rivolto a Est dove deve essere tracciata, sul muro una croce Non si fa cenno a fumigazioni effettuate nella cella, ma si ritiene che queste possano aiutare lo sviluppo del misticismo, a condizione che l'incenso sia stato sacralizzato. Nella tradizione dell'Oriente cristiano, le Icone riflettono il principio dell'Incarnazione delle "Sante Immagini" dall'alto nel nostro mondo imperfetto. Sono insomma gli Archetipi Divini che vengono materializzate seguendo un metodo estremamente occulto oltre che elevato. Innanzitutto, l'Icona deve riflettere solo immagini di pace e di luce: la Madonna e il Bambino, la Natività, l'Ascensione, i Grandi Arcangeli (Michael, Gabriele, Raffaele) o i Santi. L'Icona non deve mai materializzare (ho usato di proposito il verbo materializzare e non rappresentare) immagini di sofferenza, di dolore o di punizione. I monaci ai quali è affidato il compito di realizzarle, devono lavorare a digiuno, in stato di grazia, in ginocchio e a certe ore canoniche. Le dipingono su pannelli di legno ponendo successivamente degli strati di pittura speciale, le cui formulazioni risalgono ai primi secoli, contenente elementi minerali, vegetali ed animali. Il monaco associa dunque i tre regni a questa incarnazione salvatrice, del divino. Associa a questa ascesa purificatrice la natura intera, decaduta per colpa del primo uomo. Una volta stesi gli strati di pittura, dipinge il soggetto dell'icona, inserendovi quanto più oro possibile. L'icona deve essere di forma scavata affinché "la terra rifletta l'impronta del Cielo" secondo la tradizione. L'icona viene poi benedetta con una formula speciale, con fumigazioni abbondanti e frequenti di incenso, ponendo attorno ad essa o davanti ad essa, delle piccole luci: lumini a olio (rossi) o ceri di cera di api. La "Preghiera del cuore" deve, in effetti, essere una "adorazione" e non una domanda, secondo la regola secolare. Viene poi la recita del mantra. Per l'esicasta consiste nel pronunciare interiormente la seguente immutabile formula: "KYRIE ISSU CHRISTE IE THEU ELEISON IMAS AMARTANON" cioè "SIGNORE GESÙ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETÀ DI ME PECCATORE" Le liturgie orientali e latine fanno uso frequente della formula: "Kyrie eleison ... Christe Eleison" e le vibrazioni sonore sono vicinissime le une alle altre nella formula cristiana. Prima di cominciare, l'esicasta dovrà meditare sulla morte, l'umiliazione di sé, la visione (naturalmente esoterica) del Giudizio finale con il quale ha termine la creazione presente e alla quale seguirà l'Eone futuro. Mediterà sulla "ricompensa", che è la fissazione delle anime attraverso il Fuoco- Principio, Fuoco che in qualche modo le immerge. Fissazione che può essere buona o malvagia, che deriva dal giudizio di tutte le creature, uomini o Angeli. Dovrà prendere coscienza di essere il più corrotto di tutti gli uomini, più malvagio degli stessi spiriti malvagi e, di conseguenza, di meritare il rigetto finale. Da questo stato d'animo interiore devono nascere la contrizione, la tristezza e le lacrime. Se questo stato di "trasmutazione" dell'essere interiore, analogo alla "putrefazione" alchemica, è raggiunto, l'esicasta deve rimanervi fino a quando questo stato scompare naturalmente. Ma se l'anima è rimasta insensibile a questa preparazione, la tradizione dell'esicasmo consiglia di pregare per ottenerlo, come una grazia. Faccio notare che non si tratta affatto di fare dell'esicasta un pessimista, un disperato. Al contrario, la regola afferma che deve vivere allegro, di buonumore e felice di sentirsi sulla buona via. Ma questa "putrefazione" deve essere raggiunta fin dal momento in cui si comincia gli esercizi. Il rosario serve a ritmare, a verificare il numero e lo svolgimento delle litanie del mantra. È consigliato un rosario composto da otto serie di otto grani (in ricordo delle otto beatitudini) separate ognuna da un grano più grosso, per un totale quindi di 72 grani (in ricordo dei 72 nomi divini della Shemamphorash). Per ognuno dei 64 grani ordinari si potrà usare la formula breve: KYRIE ISSU CHRISTE IE THEU ELEISON e pronunciare per gli otto grani che separano le serie, la formula lunga: KYRIE ISSU CHRISTE IE THEU ELEISON IMAS AMARTANON. La respirazione deve essere regolare, ritmata dalla formula che deve essere pronunciata durante la aspirazione, aspirazione effettuata unicamente attraverso il naso, e la recitazione è puramente interiore, mai verbale. L'esicasta respinge ogni desiderio di prodigio, fugge i poteri psichici, come mezzi usati dalle entità inferiori per distoglierlo dal suo cammino spirituale. Riporto quanto diceva un esicasta dei primi secoli: "Volendo contemplare la faccia del Padre Celeste, non sforzarti di vedere durante la tua preghiera qualche immagine o figura ... Fuggi il desiderio di vedere sotto una forma sensibile gli Angeli, le Potenze o il Cristo. Altrimenti rischi di sprofondare nella follia, di prendere il lupo per il pastore e di adorare i demoni al posto di Dio ... L 'inizio dell'errore è nel desiderio dello spirito di percepire la Divinità in una immagine o in una figura". Questa tecnica è spesso concomitante con grandi tentazioni, infestazioni, ossessioni e apparizioni demoniache. Colui che nel corso delle evocazione magiche sarà riuscito a vedere il mondo demoniaco e, senza esserne posseduto, sarà rimasto padrone di sé stesso, avrà la propria fede confermata per sempre. Abbiamo visto che la litania, il mantra, comporta otto parole in greco (formula completa) e sei parole solo nella formula abbreviata. La formula è pronunciata, lo ripeto, interiormente, durante la aspirazione visualizzando la formula, come veicolata con l'aria ispirata, discendere nel nostro cuore con l'immagine del Cristo. Se facciamo il raffronto con lo yoga tantrico, dove si parla di un "Loto del cuore", vediamo quanto esicasmo e yoga siano vicini. I rari documenti dell'esicasmo non fanno cenno alcuno alle fumigazioni: queste fanno parte delle istruzioni orali passate da maestro a novizio. È infatti evidente che l'aria elementare, quella che noi respiriamo, è molto impura. Sappiamo dalla tradizione cristiana (San Paolo, Lettera agli Efesini) che l'atmosfera è l'habitat del mondo demoniaco. Ecco quindi la necessità di purificarla con una fumigazione, la cui formula di sacralizzazione sia un corto ma efficace esorcismo. Sul risveglio di quello che il tantrismo chiama la Kundalini, una specie di energia psichica di natura ignea e che tutti i trattati affermano essere pericolosa da maneggiare, anzi addirittura mortale se non si è guidati da un vero maestro, le scritture giudeo-cristiane affermano: "L'eterno tuo Dio è un fuoco divorante" Deuteronomio IV, 24 "La mia parola è come un fuoco" Geremia XXIII, 29 "Farò uscire dalle tue viscere un fuoco che ti divorerà ... Tutti voi avete, acceso in voi, un fuoco che vi brucia, voi siete avvolti da fiamme. Camminate nella luce di questo fuoco che avete preparato, nelle fiamme che avete acceso... "Isaia L, 2 "Il fuoco che esce dall'uomo che contempla, lo divora" Hekhalot Rabbati III,4 Vi è in effetti un duplice aspetto di questo Fuoco. Sappiamo che il Tempio di Salomone, replica del Tabernacolo, fu realizzato da Salomone secondo i disegni ricevuti attraverso David, suo padre, dalle mani del profeta Nathan, depositano dell' esoterismo di Israele. Sappiamo che il Tempio fu costruito a immagine di Dio, dell'uomo e dell'universo e che studiano significa studiare l'uno e l'altro. Vi erano due Altari sui quali bruciavano due fuochi differenti: uno era l'Altare dei Profumi, sul quale, all'alba, a mezzogiorno e alla sera, veniva offerto a Dio dell'incenso di adorazione e di lodi. L'altro Altare, era l'Altare dei Sacrifici, sul quale i sacrificanti offrivano le vittime consacrate. L'Altare dei Profumi è l'immagine del nostro cuore, delle nostre buone azioni. L'Altare dei Sacrifici è la immagine del nostro cervello e del sacrificio che dobbiamo fare delle nostre passioni, rappresentate dagli animali. Ognuno dei cinque oggetti consacrati: l'Arca dell'Alleanza, il Candeliere a sette braccia, l'Altare dei Profumi, l'Altare dei Sacrifici e il Mare di Rame, corrisponde a uno dei nostri centri psichici essenziali nel tempio interiore che portiamo in noi. Da qui le parole del rosacrociano Robert Fludd: "Quando il Tempio sarà consacrato, le sue pietre morte ritorneranno viventi, il metallo impuro sarà trasmutato in oro e l'uomo riscoprirà il suo stato primitivo". domenica 10 gennaio 2021
Heidegger, il Nulla e la Kabbalah
venerdì 29 aprile 2016
Dopo il furore iconoclasta che ha investito l’idolo Heidegger nel corso degli ultimi anni, in occasione della prima pubblicazione dei suoi Quaderni neri, da qualche tempo non ci sono che alcune sparute fiammate, perlopiù in difesa del filosofo tedesco, in attesa forse di un prossimo secondo round quando saranno pubblicati gli altri volumi.
Nel frattempo vale forse la pena dare un’occhiata da vicino ad un particolare affermazione che la filosofa Donatella Di Cesare ha ritenuto di dover fare, e che appare piuttosto spericolata, sottolineando una “convergenza tra il pensiero di Heidegger e la mistica ebraica” a proposito del concetto di Nulla.
La filosofa romana, a lungo vicepresidente della Martin Heidegger-Gesellschaft, società di studi intitolata al filosofo tedesco, a pagina 218 del suo Heidegger e gli ebrei scrive: «Lungi dall’essere un oggetto, o un ente qualsiasi, il niente è “ciò che rende possibile” l’ente per l’esserci umano. È dal ni-ente che l’ente di volta in volta emerge (...) Ma non è incauto pensare un tale intreccio? A ben guardare, ancor più incauto è mettere per tal via in dubbio l’antico assioma metafisico ex nihili nihil fit, dal nulla non viene nulla».
Ed è qui che, secondo Di Cesare, «Heidegger non esita a rovesciare addirittura questo assioma: dal nulla viene ogni ente».
I greci in effetti non hanno mai accennato alla “creatio ex nihilo” che noi moderni diamo per scontata come indiscutibile pensiero dogmatico circa la creazione, che appartiene oggi alla tradizione religiosa di tutti e tre i monoteismi.
Loro piuttosto, i greci, «hanno sempre immaginato un caos primordiale che viene ordinato in un kósmos, che prende dunque forma».
Ma, aggiunge la filosofa con un sorprendente coup de théâtre, «l’eccezione è la Kabbalah. Sono stati i kabbalisti a scorgere tra le falde silenziose della creazione il baratro oscuro del nulla (...) Non si può, dunque, non constatare questa sorprendente convergenza, nel nulla, e nella creazione dal nulla, tra Heidegger e la Kabbalah». Cioè tra il filosofo nazista e la mistica dell’ebraismo spagnolo del XII-XIII secolo.
E sono ancora i kabbalisti a ricordare come «Aìn [ciò che non è] si volge in Anì [ciò che è], dal nulla l’Io» e che, temerari, «spingono il nulla fino a Dio, il nulla è Dio stesso nel suo aspetto più nascosto». Con questa frase davvero apodittica si avvia a conclusione il terzo capitolo - “La questione dell’Essere e la questione ebraica” - che è il più corposo del suo libro.
È però proprio il punto forte del ragionamento della filosofa romana - il pensiero greco sarebbe confutato in primis da quello kabbalista che introdurrebbe il Nulla nella storia del pensiero - che lascia perplessi.
Perché ampiamente contraddetto dai tanti e articolati saggi “sul Nulla” oggi esistenti.
Basta citarne un paio - Storia del nulla di Sergio Givone o Da zero a infinito. La grande storia del nulla di J. D. Barrow - per venire a sapere che la creatio ex nihilo, cioè l’idea di un Nulla originario da cui deriverebbe tutto il creato (e quindi l’essere) fu il parto delle infinite discussioni fra teologi e gnostici cristiani del II secolo e che questo stesso ambiente originò, un paio di secoli più tardi, quella particolare riflessione sull’essenza di Dio conosciuta come “teologia negativa” (Dio è ineffabile e non può quindi essere descritto per ciò che è, ma solo per ciò che non è). Qualche secolo dopo essa si concretizzò nella speculazione mistica che identificava Dio con il Nulla stesso, diffusa sia nel mondo cristiano che in quello islamico.
Solo a partire dal X secolo l’idea di “creazione dal nulla” fu accolta nella teologia ebraica e solo con il XII secolo l’idea, effettivamente temeraria, che identificava Dio con il Nulla veniva fatta propria dalla Kabbalah.
Il demerito (ma c’è il sospetto che per Di Cesare sia un merito) della mistica ebraica sarebbe quindi di aver veicolato nella cultura occidentale una sorta di vuoto originario, concetto che nasce invece altrove e da lì si dispiega poi in tutto il mondo allora conosciuto (eccezion fatta per l’Estremo Oriente che percorreva sentieri diversi, ma non così dissimili) grazie alle culture dominanti, non certo per uno sparuto gruppetto di mistici giudeo-spagnoli.
La Kabbalah, se mai ha avuto quello che a noi appare realmente come un merito, è stato di rifiutare esplicitamente l’ascetismo tipico della mistica cristiana per proporre come elemento fondamentale della realizzazione umana il rapporto uomo-donna («Un uomo non può essere definito uomo fino a che non è “uno” con la donna»). Una particolarità messa in evidenza da tutti gli studiosi specialisti, che caratterizza quindi la Kabbalah per un aspetto, il rapporto uomo-donna nella sua realtà carnale, non allegorica, che ben difficilmente può aver a che fare con un “nulla” ontologico interpretabile come incolmabile mancanza originaria, una specie di “peccato originale” in salsa giudaica.
Da qui la perplessità, come abbiamo detto, verso l’assunto della filosofa romana; ci si chiede perché abbia voluto tracciare una linea di connessione tra il filosofo tedesco, antisemita e nazista - lei stessa lo definisce così a chiare lettere - e la mistica ebraica e non, piuttosto, con la ben più diffusa tradizione islamica o con quella cristiana, cui accenna solo in una noterella a margine in cui ricorda il grande mistico tedesco del XIII secolo, Meister Eckhart, di cui Heidegger era appassionato studioso.
È noto che la filosofa romana ha dato una controversa definizione del pensiero di Heidegger, riassumendo così il risultato della sua esplorazione dei Quaderni neri: «Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale». Giustamente la filosofa Roberta De Monticelli si è chiesta: «ma che cosa ci sarà di così “elevato”?».
Finale caustico, ma condivisibile.
Se per Donatella Di Cesare il pensiero di Heidegger è “il più elevato” viene il dubbio che lei abbia denunciato apertamente l’antisemitismo del Maestro in omaggio alle proprie origini ebraiche, ma che, nello stesso tempo, ne volesse in qualche modo salvaguardare la filosofia agli occhi del mondo ebraico stesso, nonostante gli strali, numerosi e parecchio pungenti, che le sono piovuti addosso proprio da quel mondo, allibito e forse intimamente ferito dalla sua sostanziale difesa del filosofo di punta del III Reich.

