
domenica 31 gennaio 2021
Immortalità ed eternità

sabato 30 gennaio 2021
La messa cristiana e i riti del sacrificio nella religione etrusca
Le affinità fra la liturgia del sacrificio degli Etruschi con quella del sacrificio o “Messa” dei Cristiani sono evidenti, numerose e pure stringenti, per cui c’è da pensare a una fondamentale derivazione della liturgia cristiana da quella etrusca, però per via indiretta, cioè per il tramite di quella romana. Più esattamente i Cristiani hanno derivato molti elementi della loro liturgia sacrificale da quella dei Romani - ovviamente caricandoli di assai differenti contenuti religiosi e dogmatici - e i Romani in precedenza li avevano derivati da quelli degli Etruschi. Particolarmente importante e significativa è la continua presenza nel sacrificio etrusco del pane e della sua consumazione, del vino, dell’acqua e dell’incenso, della presenza di lumi accesi, del calice d’oro e della sua elevazione, della patena, quasi esattamente come risulta nel sacrificio cristiano
giovedì 28 gennaio 2021
Il secolo della ragione era costellato dall'aspetto magico cavalcato dalla massoneria che andava consolidandosi in Francia con il Grande Oriente

mercoledì 27 gennaio 2021
Roma. l’Ipogeo di Vibia

sabato 23 gennaio 2021
Il Viaggio in Egitto di Renè Guenon
Angelo Iacovella
in “Orientalia” da Secolo d’Italia di venerdì 11/02/05
Nel 1930, Rene Guénon compie un viaggio in Egitto in compagnia di Madame Dina, una ricca americana vedova dell’ingegnere egiziano Hasan Farid Dina. Lo scopo ufficiale della visita? Procurarsi rari trattati di esoterismo islamico, altrimenti irreperibili. La sua amica ritornò in Francia dopo qualche mese, mentre il grande metafisico francese decise, nello sconcerto dei più, di trattenersi al Cairo, dopo aver procrastinato più volte il viaggio di ritorno. Privo di un qualunque legame parentale in patria, si lasciò assorbire completamente dalla vita e dall’ambiente circostante, conducendo un’esistenza ritirata e dedita alla sua nuova famiglia, alle meditazioni e allo studio.
Iniziato alla confraternita Hamîdiyya Shâdhiliyya, guidata dallo sceicco Abd al-Rahmân al-Elish al-Kabîr, Guénon – stando alla testimonianza dei suoi amici e dei suoi conoscenti locali – riusciva a raggiungere, durante le cerimonie sufi, stati intensi di estasi, probabilmente grazie alla pratica dello dhikr individuale (o “menzione ripetuta del nome di Allah”) cui doveva indulgere nel suo ritiro cairota. Il professor ‘Abd al-Hamîd Mahmûd, teologo dell’università di al-Azhar, una volta recatosi con lui nella moschea del sultano Abû al-’Alâ, lo descrive con queste parole: «Avendo preso posto in un gruppo che faceva lo dhikr, René Guénon cominciò a bisbigliare fra sé e sé e a scuotersi, quindi le sue parole divennero udibili e i suoi movimenti si intensificarono; infine ecco che egli si immergeva e sprofondava completamente nello dhikr; dovetti in seguito svegliarlo finché si riscosse violentemente con un fremito; ho pensato che tornasse da contrade lontane e ignote».
Considerando la mole dei suoi studi e delle sue ricerche, i saggi dedicati specificatamente all’Islam non occupano, tutto sommato, che una fetta esigua delle monografie guénoniane. Si tratta per lo più di brevi articoli la cui ampiezza totale non supera qualche decina di pagine. Ciò nonostante, al di là della sua scelta personale, Guénon rappresenta tuttora per l’Occidente uno dei punti di riferimento più importanti per l’approccio alla cultura e alla religione islamica Questo enigma ci sembra possa essere, almeno in parte, sciolto dai numerosi riferimenti alla tradizione musulmana che si trovano disseminati nei suoi contributi sull’interpretazione dei simboli, e dei contenuti-chiave delle religioni tradizionali orientali e non, costituendo una sorta di trama sottile o di leit-motiv che ricorre e che fa da sfondo a tutte le sue trattazioni. In realtà ci sembra di poter affermare che l’influenza che egli ha esercitato e continua ad esercitare in maniera crescente sulle generazioni occidentali si possa attribuire al modo in cui per primo egli si è accostato all’Islam senza pregiudizi di sorta, esaltandone anzi la grande eredità spirituale. Sino a quel momento, la considerazione che si aveva dell’Islam in Europa era, al massimo, di carattere puramente e strettamente “culturale”, legata agli ambienti accademici ufficiali talvolta essi stessi contaminati da tesi preconcette e parziali. In alcune pagine illuminanti de L’ésoterisme islamique Guénon sintetizza in modo magistrale quelli che sono i due aspetti fondamentali dell’Islam: l’aspetto essoterico e quello esoterico (o in termini più prosaici la dottrina legalista ufficiale e la mistica via dei sufi) fornendo, al tempo stesso, la sua interpretazione personale che trovava nel secondo, e soltanto in esso, la vera giustificazione dell’essenza del primo.
«Di tutte le dottrine tradizionali, la dottrina islamica è forse quella in cui più nettamente è segnata la distinzione tra due parti complementari l’una all’altra, che si possono designare come essoterismo ed esoterismo. Esse sono, seguendo la terminologia islamica, es-shariyah, cioè letteralmente la “grande strada” comune a tutti, e el-haqîqah, cioè la “verità” interiore, riservata all’élite, non in virtù di una decisione più o meno arbitraria, ma per la natura stessa delle cose, perché non tutti possiedono l’attitudine o le “qualificazioni” richieste per pervenire alla sua conoscenza. Le si compara spesso, per esprimere il loro carattere rispettivamente “esteriore” e “interiore”, alla “scorza” e al “nocciolo” (el-qishr wa el-lobb), o ancora alla circonferenza e al suo centro. La shariyyah comprende tutto quello che il linguaggio occidentale designerebbe come propriamente “religioso”, e soprattutto l’aspetto sociale e legislativo che nell’Islam si integra essenzialmente alla religione. Si potrebbe dire che essa è prima di tutto regola d’azione, mentre la haqîqah è “conoscenza pura”; ma dev’essere ben chiaro che è questa conoscenza che dà alla shariyyah stessa il suo senso superiore e profondo, e la sua vera ragion d’essere».
Luoghi Di Potere: I Templi di Demetra in Italia

venerdì 22 gennaio 2021
La Giocondina
La Gioconda del Prado non è l'unica copia, per così dire, della Gioconda; che possiamo ribattezzare "Giocondina" perché mostra la stessa modella del dipinto parigino, ma di almeno dieci anni più giovane: Noto come "Earlier Mona Lisa" o "Isleworth Mona Lisa", questo dipinto è rimasto per quasi 40 anni in un caveau svizzero in attesa di autenticazione; finalmente, nel 2012 studiosi, scienziati e critici d’arte che l'avevano studiato nel corso degli anni, hanno decretato che non è da escludere che si tratti di un'opera autentica di Leonardo, dipinta probabilmente tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento, perché i numerosi test di "geometria sacra" effettuati sul dipinto, hanno rivelato che la versione del Louvre e questa presentano la stessa struttura geometrica nelle proporzioni e nelle dimensioni, che poi è la stessa dell'uomo vitruviano. Ma nulla è certo perché i pareri, come spesso succede in questi casi, sono più che mai discordi.
Decisamente più giovane e più sorridente della Gioconda francese, quella di Isleworth ha una storia curiosa, che spiega anche il suo nome...
Poco prima della Grande Guerra l'eccentrico collezionista d'arte inglese Hugh Blaker adocchiò il dipinto in una vecchia casa padronale del Somerset, dov'era rimasto appeso a prender polvere per almeno un centinaio d'anni. Intravedendone la bellezza sotto lo strato di sporcizia, Blaker comprò il dipinto e se lo portò a casa a Isleworth (quartiere a ovest di Londra)... ed ecco spiegata l'origine del soprannome. Non molto tempo dopo il patrigno di Blaker, John R. Eyre, pubblicò una monografia sull'opera per consolidare l'idea che il quadro fosse un originale di Leonardo, così come credevano i vecchi proprietari, che lo avevano acquistato a suo tempo come originale.
Non fu da meno anche il nuovo proprietario del dipinto, il collezionista americano Henry F. Pulitzer (cugino del creatore dell'omonimo premio giornalistico), il quale, dopo esserne venuto in possesso, pubblicò a sua volta un trattato in cui cercava di consolidare la teoria della paternità leonardesca del dipinto. Ma la comunità scientifica internazionale non si è mai convinta definitivamente e, alla morte di Pulitzer il dipinto è sparito dalle scene per alcuni decenni. Ha fatto la sua ricomparsa nel 2003, quando è stato acquistato da un consorzio internazionale e, nel frattempo, è stata istituita la Mona Lisa Foundation, con sede a Zurigo, allo scopo di accertare l'autenticità del quadro.
FUNERALI E PROSTITUZIONE NELLA ROMA IMPERIALE

mercoledì 20 gennaio 2021
Il sarcofago di Melfi


venerdì 15 gennaio 2021
l'AvorioBarberini,

La potenza della parola
Moriremo di parole scritte,
dimenticandoci come si fa
a pronunciarle.
H. Offman
giovedì 14 gennaio 2021
lunedì 11 gennaio 2021
L'ESICASMO E LA PREGHIERA DEL CUORE

domenica 10 gennaio 2021
Heidegger, il Nulla e la Kabbalah
venerdì 29 aprile 2016
Dopo il furore iconoclasta che ha investito l’idolo Heidegger nel corso degli ultimi anni, in occasione della prima pubblicazione dei suoi Quaderni neri, da qualche tempo non ci sono che alcune sparute fiammate, perlopiù in difesa del filosofo tedesco, in attesa forse di un prossimo secondo round quando saranno pubblicati gli altri volumi.
Nel frattempo vale forse la pena dare un’occhiata da vicino ad un particolare affermazione che la filosofa Donatella Di Cesare ha ritenuto di dover fare, e che appare piuttosto spericolata, sottolineando una “convergenza tra il pensiero di Heidegger e la mistica ebraica” a proposito del concetto di Nulla.
La filosofa romana, a lungo vicepresidente della Martin Heidegger-Gesellschaft, società di studi intitolata al filosofo tedesco, a pagina 218 del suo Heidegger e gli ebrei scrive: «Lungi dall’essere un oggetto, o un ente qualsiasi, il niente è “ciò che rende possibile” l’ente per l’esserci umano. È dal ni-ente che l’ente di volta in volta emerge (...) Ma non è incauto pensare un tale intreccio? A ben guardare, ancor più incauto è mettere per tal via in dubbio l’antico assioma metafisico ex nihili nihil fit, dal nulla non viene nulla».
Ed è qui che, secondo Di Cesare, «Heidegger non esita a rovesciare addirittura questo assioma: dal nulla viene ogni ente».
I greci in effetti non hanno mai accennato alla “creatio ex nihilo” che noi moderni diamo per scontata come indiscutibile pensiero dogmatico circa la creazione, che appartiene oggi alla tradizione religiosa di tutti e tre i monoteismi.
Loro piuttosto, i greci, «hanno sempre immaginato un caos primordiale che viene ordinato in un kósmos, che prende dunque forma».
Ma, aggiunge la filosofa con un sorprendente coup de théâtre, «l’eccezione è la Kabbalah. Sono stati i kabbalisti a scorgere tra le falde silenziose della creazione il baratro oscuro del nulla (...) Non si può, dunque, non constatare questa sorprendente convergenza, nel nulla, e nella creazione dal nulla, tra Heidegger e la Kabbalah». Cioè tra il filosofo nazista e la mistica dell’ebraismo spagnolo del XII-XIII secolo.
E sono ancora i kabbalisti a ricordare come «Aìn [ciò che non è] si volge in Anì [ciò che è], dal nulla l’Io» e che, temerari, «spingono il nulla fino a Dio, il nulla è Dio stesso nel suo aspetto più nascosto». Con questa frase davvero apodittica si avvia a conclusione il terzo capitolo - “La questione dell’Essere e la questione ebraica” - che è il più corposo del suo libro.
È però proprio il punto forte del ragionamento della filosofa romana - il pensiero greco sarebbe confutato in primis da quello kabbalista che introdurrebbe il Nulla nella storia del pensiero - che lascia perplessi.
Perché ampiamente contraddetto dai tanti e articolati saggi “sul Nulla” oggi esistenti.
Basta citarne un paio - Storia del nulla di Sergio Givone o Da zero a infinito. La grande storia del nulla di J. D. Barrow - per venire a sapere che la creatio ex nihilo, cioè l’idea di un Nulla originario da cui deriverebbe tutto il creato (e quindi l’essere) fu il parto delle infinite discussioni fra teologi e gnostici cristiani del II secolo e che questo stesso ambiente originò, un paio di secoli più tardi, quella particolare riflessione sull’essenza di Dio conosciuta come “teologia negativa” (Dio è ineffabile e non può quindi essere descritto per ciò che è, ma solo per ciò che non è). Qualche secolo dopo essa si concretizzò nella speculazione mistica che identificava Dio con il Nulla stesso, diffusa sia nel mondo cristiano che in quello islamico.
Solo a partire dal X secolo l’idea di “creazione dal nulla” fu accolta nella teologia ebraica e solo con il XII secolo l’idea, effettivamente temeraria, che identificava Dio con il Nulla veniva fatta propria dalla Kabbalah.
Il demerito (ma c’è il sospetto che per Di Cesare sia un merito) della mistica ebraica sarebbe quindi di aver veicolato nella cultura occidentale una sorta di vuoto originario, concetto che nasce invece altrove e da lì si dispiega poi in tutto il mondo allora conosciuto (eccezion fatta per l’Estremo Oriente che percorreva sentieri diversi, ma non così dissimili) grazie alle culture dominanti, non certo per uno sparuto gruppetto di mistici giudeo-spagnoli.
La Kabbalah, se mai ha avuto quello che a noi appare realmente come un merito, è stato di rifiutare esplicitamente l’ascetismo tipico della mistica cristiana per proporre come elemento fondamentale della realizzazione umana il rapporto uomo-donna («Un uomo non può essere definito uomo fino a che non è “uno” con la donna»). Una particolarità messa in evidenza da tutti gli studiosi specialisti, che caratterizza quindi la Kabbalah per un aspetto, il rapporto uomo-donna nella sua realtà carnale, non allegorica, che ben difficilmente può aver a che fare con un “nulla” ontologico interpretabile come incolmabile mancanza originaria, una specie di “peccato originale” in salsa giudaica.
Da qui la perplessità, come abbiamo detto, verso l’assunto della filosofa romana; ci si chiede perché abbia voluto tracciare una linea di connessione tra il filosofo tedesco, antisemita e nazista - lei stessa lo definisce così a chiare lettere - e la mistica ebraica e non, piuttosto, con la ben più diffusa tradizione islamica o con quella cristiana, cui accenna solo in una noterella a margine in cui ricorda il grande mistico tedesco del XIII secolo, Meister Eckhart, di cui Heidegger era appassionato studioso.
È noto che la filosofa romana ha dato una controversa definizione del pensiero di Heidegger, riassumendo così il risultato della sua esplorazione dei Quaderni neri: «Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale». Giustamente la filosofa Roberta De Monticelli si è chiesta: «ma che cosa ci sarà di così “elevato”?».
Finale caustico, ma condivisibile.
Se per Donatella Di Cesare il pensiero di Heidegger è “il più elevato” viene il dubbio che lei abbia denunciato apertamente l’antisemitismo del Maestro in omaggio alle proprie origini ebraiche, ma che, nello stesso tempo, ne volesse in qualche modo salvaguardare la filosofia agli occhi del mondo ebraico stesso, nonostante gli strali, numerosi e parecchio pungenti, che le sono piovuti addosso proprio da quel mondo, allibito e forse intimamente ferito dalla sua sostanziale difesa del filosofo di punta del III Reich.